Nella prestigiosa collana Brill’s Plutarch Studies, diretta da Lautaro Roig Lanzillotta e Delfim F. Leão, è uscita questa doviziosa edizione di un curioso opuscolo morale di Plutarco, il Mulierum Virtutes, per le cure di un giovane studioso di scuola salernitana, Fabio Tanga, che a questo scritto ha nel tempo dedicato vari studi preparatori.
Mi piace ricordare che a Salerno, nell’ultimo trentennio, si è concretizzato il più cospicuo revival di studi plutarchei in Italia, per le cure soprattutto del compianto Italo Gallo, il cui forte impegno culturale e scientifico in tal senso è stato proseguito in anni più recenti da Paola Volpe e dalla sua scuola, presso cui Tanga si è formato (il frutto più concreto è rappresentato dalla collana del Corpus Plutarchi Moralium, purtroppo rimasta incompleta e che si spera possa tornare presto a nuova vita).
In linea di continuità con i presupposti metodologici della scuola plutarchea di Salerno, l’edizione di Tanga è costruita soprattutto lungo due direttrici in fecondo, reciproco scambio dialettico: da un lato, la piena rivisitazione della tradizione manoscritta, col supporto di un minuzioso approfondimento di lingua e di stile che permette un concreto ancoraggio nel mare magnum del corpus degli scritti morali (e non solo) di Plutarco; dall’altro, l’attenta indagine dello specifico letterario dell’opuscolo, inquadrato nelle dinamiche del genere letterario, dei modelli seguiti, della riflessione morale, filosofica e antropologica del Cheronese.
Si tratta, dunque, di una meritoria indagine a tutto tondo, come si evince dalla ricca sezione iniziale, così ripartita: l’Introduzione (pp. IX-XXXII), I manoscritti (cap. 1, pp. XXXIII-L), Il titolo dell’opera (cap. 2, pp. LI-LIX), Lo stile dell’opera (cap. 3, pp. LX-LXIII), Plutarco e le donne nel Mulierum Virtutes (cap. 4, pp. LXIV-LXXII), Il rapporto con gli Stratagemata di Polieno (cap. 5, pp. LXXIII-LXXVI). Dopo il Conspectus siglorum et compendiorum (p. LXXVII) e l’elenco delle precedenti edizioni (pp. LXXVIII-LXXIX), segue il testo critico stabilito da Tanga, con apparato critico positivo, elenco di loci paralleli e traduzione italiana a fronte (pp. 2-71). A concludere, un ricchissimo apparato di ben 636 note (pp. 72-228), una dettagliata Bibliografia finale (pp. 229-267) e l’Index verborum ad mulierum virtutes relatorum (pp. 268-269).
Il Mulierum Virtutes ha una struttura particolare: la sezione introduttiva, in cui Plutarco discute i giudizi sulla virtù femminile in Tucidide e in Gorgia, sostenendo la posizione di quest’ultimo, è indirizzata alla sacerdotessa Clea, figlia dei dedicatari dei Coniugalia Praecepta, Lucio Flavio Polliano Aristione e Memmia Euridide e forse allieva dello stesso Plutarco, che le dedicherà anche il De Iside et Osiride. A seguire, il testo si articola in 27 episodi che vedono protagonisti, nei primi 15, gruppi di donne, che manifestano in modo collettivo la loro virtù, mentre nei restanti 12 il focus si concentra su singole personalità. Le protagoniste sono tratte sia dal mito sia dalla storia, per un arco temporale che spazia dai poemi omerici al I sec. a.C.: sono coinvolte donne da Occidente a Oriente, con la peculiarità di un ciclo di quattro storie (nn. 20-24) ambientate in Galazia.
Tanga discute con puntualità tutti gli aspetti relativi alla natura dell’opuscolo. In larga misura condivisibili molte delle sue conclusioni: lo scritto è «per certi versi riconducibile al genere dei Parallela» (p. XXV), in un misto di storiografia e di aneddotica, da cui emerge con evidenza anche l’influsso della letteratura catalogica (cfr. pp. XVII-XIX), riscontrabile, ad esempio, anche nella letteratura de mirabilibus. Non a caso lo studioso dedica pagine interessanti (pp. LV-LVII) all’influsso esercitato da questo scritto morale sull’opuscolo mitografico Περὶ ἀπίστων, tràdito unicamente dal Vaticanus Graecus 305, che offre spunti di conferma sulla circolazione, forse anche in autonomia rispetto al corpus (nel cap. VIII, con riferimento alla nostra opera, si parla di μονόβιβλος) e col titolo Περὶ ἀρετῆς γυναικῶν dotato, secondo Tanga, «di una certa attendibilità e verosimilmente coerente con quanto dichiarato dal’autore» (p. LVII). Non manca un cenno, che si sarebbe voluto più approfondito, anche alla dimensione eziologica che pure è presente nell’opuscolo (ad esempio nell’episodio 18 in cui alla protagonista Lampsace sono riservati onori divini che Plutarco definisce ancora persistenti), a conferma dell’influsso significativo sul Cheronese della cultura ellenistica (nella pur ricca bibliografia manca il volume assai utile curato da A. Casanova, Plutarco e l’età ellenistica. Atti del Convegno internazionale di studi – Firenze, 23-24 settembre 2004, Firenze 2005). Un desideratum di chi scrive sarebbe stato anche una riflessione in merito a Plutarco “romanziere”: lo scrittore, qui come altrove (ad esempio nelle Amatoriae narrationes), soprattutto negli scritti che afferiscono alla cosiddetta “macrotematica delle donne” (per ricorrere alla nota definizione di Gennaro D’Ippolito, che Tanga opportunamente richiama a p. XXI, n. 81), dimostra l’indubbia capacità di variare, sul piano retorico, i colores della narrazione, accentuando talora i tratti patetici, talora quelli parenetici e moraleggianti, dando sempre prova (come del resto anche nelle Vite) di saper delineare in modo mirabile l’aspetto psicologico delle protagoniste, la cui ἀρετή risulta, pertanto, valorizzata al massimo grado, e in maniera assolutamente naturale.
Quanto alla natura della virtù, Tanga, che ben dimostra come lo spettro semantico del lessema ἀρετή copra un’ampia casistica di qualità morali e non possa ridursi alla semplice equivalenza con la forza eroica, la colloca, in piena coerenza col pensiero plutarcheo, nell’alveo della tradizione platonica. Le figure prese in esame sono sicuramente esemplari e degne di memoria per quanto compiuto, ma, come nota lo studioso, si tratta di donne spesso “ordinarie”, spose, madri, mogli, fanciulle innamorate o vittime della violenza maschile, prive di tratti dichiaratamente eroici o fuori dalla misura comune. Si potrebbe aggiungere che, se nelle Vite Plutarco ricerca la dimensione umana dell’eroe, qui sembra voler dimostrare come spesso le scelte coraggiose ed eticamente elevate possano essere proprie anche di figure, per così dire, marginali nel contesto sociale e, in ogni caso, estranee alle logiche del potere, politico o militare.
Qualche osservazione di dettaglio: nelle nn. 14-15 a p. 77, Tanga giustamente evidenzia le parole di Plutarco di elogio della pratica romana della laudatio delle donne, forse in sottesa polemica con quanto riporta il Pericle tucidideo (2, 45, 2) che si limita a rivolgere una breve esortazione alle vedove dei caduti chiedendo loro di non dare occasione di discorso tra gli uomini, né in positivo né in negativo. Sarebbe stato, tuttavia, di certo utile e proficuo menzionare l’ottima monografia di C. Pepe, Morire da donna. Ritratti esemplari di «bonae feminae» nella «laudatio funebris» romana, Pisa 2016. Così come, a proposito della natura terapeutica della musica, si cita il prezioso lavoro di A. Provenza, La musicoterapia nell’antica Grecia, ancora nella forma di dissertazione (Palermo 2007), mentre è ora disponibile in forma di saggio (La medicina delle Muse. La musica come cura nella Grecia antica, Roma 2016). Nutro, invece, qualche perplessità sull’influsso del genere consolatorio, su cui Tanga insiste (ad es. a p. XIX, n. 67, in cui scrive che «gli exempla storici addotti a sostegno della tesi principale dell’opera sono riconducibili, per alcuni versi, anche al serbatoio topico della riflessione consolatoria», o, in forma più argomentata, a p. 78, n. 17, in cui si parla di adattamento «della topica consolatoria, assimilata nel periodo della propria formazione scolastica, a persone e situazioni dell’occasione compositiva»). La pratica dell’exemplum come strumento per avvalorare una tesi e dimostrarne l’efficacia argomentativa è una strategia retorica ampiamente ricorrente (si veda la raccolta di Valerio Massimo, in cui assistiamo anche alla catalogazione dei vari exempla per temi, oltre alla ripartizione tra romani ed externa). Dubito che la lunga conversazione non priva di παραμυθίας φιλοσόφου, intercorsa tra Plutarco e Clea dopo la morte di Leontis, antica conoscente del Cheronese e forse della stessa Clea (242F), debba essere interpretata nel senso “tecnico” di una consolatio, visto che manca il presupposto fondamentale della discussione sul destino dell’anima post mortem. Qui si allude, a mio avviso, al conforto recato dalla parola, dalla costruzione di λόγοι, che potenziano il valore terapeutico dei discorsi, raffinato e potenziato, e qui Tanga ha ragione a sottolineare l’influsso delle scuole di retorica, dall’utilizzo degli exempla.
In merito, invece, alla constitutio textus, lo studioso si è mosso quasi sempre con ragionevole prudenza, senza schemi preconcetti, valutando caso per caso nel pieno rispetto della lingua e dello stile di Plutarco: non a caso, ogni discussione testuale è sempre accompagnata da una robusta argomentazione linguistica che supporta in modo convincente le scelte effettuate. Si aggiunga, inoltre, il fatto che Tanga ha saputo valorizzare anche le traduzioni umanistiche, da lui studiate accuratamente in precedenti lavori, e gli esempi di possibile tradizione indiretta, a iniziare dalle riprese in Polieno e nel già menzionato opuscolo Περὶ ἀπίστων. La traduzione a fronte riproduce con fedeltà il dettato spesso non facile dell’originale greco, attento a cogliere, al netto di qualche inevitabile asperità, i vari registri stilistici.
Si tratta, in conclusione, di un lavoro molto buono che si pone come un prezioso e imprescindibile riferimento per chiunque affronterà in futuro lo studio del Mulierum Virtutes.