Il volume di Michele Solitario presenta una edizione con introduzione, testo e commento dell’Ermotimo, un’opera tra le più lunghe e complesse di Luciano di Samosata. Un commentario atteso per l’impegno e l’interesse filosofico dell’opera, che si pone subito tra i migliori lavori di questo tipo sull’autore, e che richiama per la qualità e la mole critica il Parassita di H.-G. Nesselrath[1] e il Timone di G. Tomassi.[2]
In quest’opera troviamo in azione Licino, alias di Luciano e voce satirica, che nel dialogo serrato mette in discussione le certezze di Ermotimo, l’allievo attempato che da vent’anni segue ciecamente il suo maestro stoico. La discussione serve a mettere in luce i limiti e le contraddizioni dei filosofi e delle loro scuole nel contesto culturale contemporaneo. Licino, secondo le più efficaci strategie satiriche di Luciano, ottiene un raro successo nella sua impresa critica.
Il volume comprende una introduzione (pp. 1-90), il testo greco (p. 91) con una nota critica delle differenze rispetto all’edizione oxoniense di Macleod (p. 126), una traduzione (p. 132). Segue il ricchissimo commentario (pp. 171-580), che al suo interno inserisce anche passo dopo passo le osservazioni sulle scelte testuali, sui problemi, sulle lezioni. In conclusione troviamo una vasta bibliografia aggiornata (pp. 581-612) e gli utili indici analitici (pp. 613-646).
L’introduzione è articolata in due parti, la prima sull’opera in relazione ai contesti storico-culturali, la seconda dedicata alle strutture e ai contenuti. Si inizia tra retorica e filosofia per valutare la creazione lucianea nella sua originalità della forma dialogica, che «assume la forma del διά-λογος, vale a dire di una discussione dinamica e aperta» (1.1, pp. 1-4). Per la datazione con molto equilibrio si valutano le indicazioni interne, che chiaramente possono essere problematiche. L’elaborazione formale vuole in ogni caso che il dialogo appartenga alla fase più tarda della produzione lucianea (1.2, pp. 5-11). Luciano abbandona il βραχὺ διαλέγεσθαι socratico-platonico per una performance dialogica con lunghi interventi. Ottimo il confronto con Cicerone per valutare le strategie di una prudentia cum eloquentia. Quello che emerge è «l’immagine di una parola filosofica nuova e impostata in termini di chiarezza e pragmatismo». Con in più la funzione satirica (1.3, pp. 11-22). L’autore muove il suo attacco contro ogni dogmatismo filosofico. Si può valutare una disposizione alla maniera scettica, ma, come osserva Solitario, Luciano non manca di criticare anche gli Scettici. Ossia lo Scetticismo diventa un riferimento per l’elenchos lucianeo, ma senza diventare un modello assoluto (1.4, pp. 22-29). In relazione agli Scetticismi di età imperiale, Pirroniani e Accademici, Luciano ha conoscenza specifica di entrambe le correnti, che mescola nell’Ermotimo per «l’avversione verso ogni vana pedanteria linguistica e concettuale, che accomuna entrambi gli indirizzi scettici», secondo schemi diffusi negli ambienti della Seconda Sofistica (1.5, pp. 29-38).
Favorino sprezzantemente è detto da Luciano polymathes (Demon. 12), ma sicuramente ci sono anche elementi di apprezzamento. «In coerenza con la sua impostazione scettica, Favorino avrebbe contribuito attivamente alla controversia antistoica, fino a scontrarsi apertamente con i maggiori esponenti contemporanei della Stoà» (p. 40). Ma in ogni caso l’idea di una influenza di Favorino su Luciano risulta inverosimile (1.6, pp. 38-49).
Per i rapporti con Platone, viene messo in rilievo il riferimento del Teeteto per la discussione sul criterio della conoscenza. Il filosofo non possiede la verità, ma è perennemente alla ricerca. L’ἔλεγχος socratico di Licino conserva in maniera molto concreta ed evidente una forte disposizione pedagogica e costruttiva. È questa la potenzialità della «satira filosofica in veste dialogica» di Luciano (1.7, pp. 49-61).
Nella seconda parte Solitario definisce le strategie del dialogo. L’Ermotimo appare come l’esempio più significativo e il risultato più ambizioso del nuovo dialogo lucianeo. Si comincia dalla Bildersprache. Le numerose immagini, tra similitudini, metafore, analogie, diventano «l’elemento portante della dinamica comunicativa» e permettono «un vero e proprio “commercio di pensieri” tra i due interlocutori», con molteplici funzioni, euristica, sintetica, evocativa. Si uniscono retorica e tradizione diatribica con effetti notevoli. Il dialogo evita così i toni troppo teorici, mentre emergono le potenzialità insite nel linguaggio figurato e, in modo particolare, in quello comparativo-analogico, in funzione degli obiettivi satirici e antidogmatici (2.1, pp. 61-69).
Solitario illustra la tecnica argomentativa nella progressione del dialogo (2.2, pp. 72-90). L’esordio presenta il quadro dell’incontro con le domande sul cammino filosofico e sul maestro stoico di Ermotimo (2.2.1). Entra in opera la confutazione dei criteri della scelta. Le nuove domande di Licino sono all’insegna della philia e dell’ironia. Lo Stoicismo è l’unica via? qual è la filosofia migliore? Inutili sono i principi di maggioranza e dell’aspetto esteriore (2.2.2). È Licino stesso, che diviene a questo punto il parlante principale, a illustrare le qualità della città virtuosa, una nuova kallipolis dei filosofi in un ritratto formidabile. Ma per arrivarci bisognerebbe scegliere la guida giusta (2.2.3). Licino prova ad adottare il punto di vista di Ermotimo, ma da redivivi intervengono fittiziamente i filosofi del passato a interrogarlo secondo schemi che troviamo nella commedia e in altre opere lucianee. Con ottima intuizione di Solitario, la tecnica dell’interrogazione fittizia non ha solo una funzione chiarificatrice, ma serve a mediare la forza dell’ἔλεγχος scettico e attenua l’ostilità che inibirebbe ogni sviluppo positivo del dialogo e della satira (2.2.4). Con l’esempio del calice rubato dal tempio e della scelta delle coppie di atleti per gli agoni, Licino introduce l’idea che non ci può essere valutazione corretta senza valutare tutti i filosofi. La strategia di Licino è attentissima al destinatario: «nel corso del suo discorso confutativo cerca sempre un coinvolgimento diretto del proprio interlocutore» (2.2.5). Il dibattito si incentra sul metodo di ricerca migliore, nel vano tentativo di Ermotimo di trovare una via sicura. Ma in filosofia dalla parte non si può conoscere il tutto. L’ἔλεγχος scettico agisce attraverso le immagini del leone da ricostruire a partire da un’unghia o della botte piena di vino o di granaglie. L’ultima confutazione si compie per la voce del logos (2.2.6). È il momento della resa di Ermotimo. Una vita non basta per scegliere la filosofia giusta, e neppure si può riconoscere il maestro migliore (2.2.7). Le illusioni di Ermotimo sono come i sogni impossibili (non diversi da quelli paradigmatici del Navigium), ma, su schema platonico, sono simili a Ippocentauri, Chimere e Gorgoni, mostri che non esistono né potrebbero mai esistere (§ 72). Ritorna in evidenza anche la contraddizione tra le parole e le azioni del maestro stoico. Ermotimo, allora, accoglie i dubbi dell’ἔλεγχος. È questo il più grande successo possibile per il dialogo e per le strategie della satira (2.2.8, pp. 88-90).
La traduzione, che segue il testo greco e il catalogo delle divergenze rispetto all’edizione di Macleod, è ben condotta con sicurezza: è una traduzione scientifica che spiega il testo. Certo si possono fare anche scelte diverse, come p. es. al § 1, dove si potrebbe tradurre μηδένα καιρόν non «nemmeno un momento», ma «nessuna occasione». Così al § 3 ἀναβεβηκώς, non «ha terminato la salita» ma «ha compiuto la salita» (anche se c’è in gioco il problema della salita che non finisce mai). Oppure al § 61 ϕαῦλον per il vino si potrebbe dire non «un brutto vino», ma più correntemente un vino «cattivo» o «pessimo». Ma la traduzione è sicuramente precisa e piacevole da leggersi.
Del commentario si può dire che è un lavoro ricchissimo, che diventa subito uno strumento prezioso non solo per questo dialogo, ma anche in generale per le altre opere di Luciano. Perché le informazioni sul testo, sul lessico, sui motivi, e sui riferimenti culturali sono attente e approfondite. Sempre confortate da un’ampia e aggiornata documentazione bibliografica. Con una puntuale discussione sulle questioni più importanti tra la filosofia e la retorica, ma anche sulle cose minime.
Vediamo solo pochi esempi, con qualche minima osservazione. Si comincia dal titolo. Ermotimo non svolge il ruolo di guida del dibattito ma, al contrario, costituisce il bersaglio dell’attacco (cf. il Protagora o il Gorgia di Platone). Il nome richiama attraverso Hermes il logos degli Stoici, mentre -τιμος sembra indicare l’ambizione (pp. 171-176).
§§ 1-3, p. 176s. Nel dibattito introduttivo si rilevano i tratti di Ermotimo, con funzione propedeutica: l’andatura concitata, il movimento convulso delle labbra, i gesti involontari delle mani. Ogni dettaglio trova la sua spiegazione. La prima osservazione di Licino è sul libro nelle mani di Εrmotimo, un richiamo al Fedro, con tutto quel che ne consegue.
§5. Alla pretesa di Ermotimo di una felicità al di sopra di tutti gli uomini, nella risposta di Licino si può forse sottolineare meglio la potenza demistificante dell’ironia di parole e immagini, spesso ambigue, come συρϕετός, χαμαὶ ἐρχόμενοι, ὑπερνεϕέλους, che ritroviamo nell’Icaromenippo. Giusta ed equilibrata la scelta della lezione χαμαιπετεῖς sulla base dell’uso linguistico e dell’argomentazione (p. 210).
§ 7. Sono in contrapposizione il metodo dogmatico del maestro stoico e quello socratico-platonico di Licino. I principi lucianei della satira prevedono di non credere mai a nessuno. Vi si arriverà ai §§ 47 e 84. Ma già qui si avverte il problema, subito ben spiegato (p. 211s.).
§§ 9-13. È il primo attacco di Licino contro il maestro stoico di Ermotimo, con due episodi imbarazzanti. Solitario illustra con dovizia di riferimenti l’uso e le funzioni della chreia nella tradizione biografica antica. Ne valuta l’uso in Luciano nel Demonatte (con bibliografia). Si può parlare di contro-chreiai: i due aneddoti sul maestro servono a smascherarne i vizi. È il problema della discrepanza tra le parole e le azioni, uno dei motivi satirici più rilevanti. Per il primo racconto Solitario approfondisce la questione dell’insegnamento a pagamento, senza trascurare i minimi dettagli che diventano lo spunto per una più ampia discussione su tutto ciò che riguarda i filosofi, come p. es. l’uso del mantello. Il secondo breve racconto presenta la scena di un banchetto: i temi del simposio dei filosofi e della logomachia, diffusi in Luciano, richiamano anzitutto la satira menippea. È «il rovesciamento parodico del modello letterario del simposio» a partire dalla commedia: ma quella di Luciano è «una versione parodica personale». Solitario commenta ogni dettaglio, tra le urla, i brindisi (§ 11 ϕιλοτησίας προπινόντων), fino alla violenza fisica dello scontro tra i filosofi (p. 238-246).
§§ 22-24. Licino propone una immagine della città utopica dei saggi. Solitario ne illustra gli elementi e definisce i paradigmi dei paesi felici a partire dall’età dell’oro di Esiodo. Sull’automatos bios nella commedia andrebbe aggiunta M. Farioli, Mundus alter. Utopie e distopie nella commedia greca antica, Milano 2001. La rappresentazione «non è inquadrata in una dimensione irreale», ma è contraddistinta da «un lessico propriamente politico, che conferisce alla città immaginaria dei contorni meno vaghi e più aderenti a una dimensione reale». V’è il confronto con le utopie platoniche, ciniche, stoiche, con un approfondimento sui tratti distintivi: eirene, homonoia, eunomia, isotes, eleutheria (pp. 287-305).
§§ 30-31. Per l’idea dei filosofi redivivi, troviamo il confronto con il Piscator, e una valutazione sui paradigmi possibili, a cominciare dai Demoi di Aristofane. Per l’immagine dell’Etiope (p. 332), forse si potrebbero richiamare anche i frammenti di Senofane sulla raffigurazione degli dei.
§ 48. Impossibile è sapere tutto di tutte le scuole filosofiche. Bella la nota su Socrate e sul «sapere di non sapere», che assume tratti scettici (p. 381) e che diventa buon paradigma per la satira, con tutti i richiami lucianei e una discussione sugli studi.
§ 51. Licino è ὑβριστής e la sua azione un ἀποσκώπτειν. Possono valere per l’alter ego dell’autore, ma sono le ‘virtù’ dell’eroe satirico, che si contrappone ai sophoi (pp. 394s., 399). Quello che viene ben messo in rilievo è il problema della ricerca della verità in contrapposizione alle seduzioni dello pseudos: la parrhesia suscita ostilità.
§ 64. Il logos «immaginato sulla scena» (p. 458) diventa la voce critica che smonta definitivamente le certezze di Ermotimo secondo l’ἐξετάζειν socratico – buon fondamento della satira lucianea (pp. 459-462).
§ 69. Sulla σύντομος ὁδός dalla definizione di Alessandro di Seleucia, con giusta valutazione della relazione parodica (pp. 488s.) e dell’«efficacia figurativa» che rovescia le prospettive (cf. §§ 2-5).
§ 71. Licino smaschera le illusioni di Ermotimo. I sogni impossibili che funzionano da paragone (cf. Nav. 18-45), con le funzioni satiriche tra l’immagine del pungolo (νύξας) e quello dello schiavo che riporta alla realtà le fantasie del padrone. Nelle strategie della satira rientrano anche i tentativi di Licino che sperimenta le vie dell’amicizia e della familiarità per attenuare le reazioni ostili di Ermotimo (pp. 497-506).
§ 86. Nella conclusione del dialogo troviamo un esempio di successo dell’azione critica o satirica nei confronti del destinatario/bersaglio. Licino appare come un deus ex machina e ha la riconoscenza di Ermotimo, che gliela tributa per averlo liberato dagli inganni del maestro stoico: «Licino subisce così una rivalutazione tale da farlo apparire come l’eroe satirico vincente del dialogo» (p. 572).
Notes
[1] H.-G. Nesselrath, Lukians Parasitendialog. Untersuchungen und Kommentar, Berlin-New York 1985.
[2] G. Tomassi, Luciano di Samosata. Timone o il misantropo, Berlin-New York 2011.