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Il volume, curato da Bell e du Plessis, uscito per i tipi della Edinburgh University Press, si prefigge lo scopo di indagare il diritto arcaico romano da un punto di vista interdisciplinare, grazie soprattutto ai nuovi apporti dell’archeologia e dell’antropologia. Il volume è composto da dieci saggi raccolti in tre sezioni (Part I: The Materiality of Roman Law: New Archeological Discoveries; Part II: Constructing Early Roman Law: Sources and Methods; Part III: Roman Law in Historiography and Theory), preceduti dall’introduzione The Dawn of Roman Law.
Nell’introduzione, i curatori del volume presentano le motivazioni scientifiche di questa raccolta di saggi rilevando come già nel Digesto la riflessione sulle origini del diritto romano rappresentava un elemento rilevante tanto da essere incluso a principio dell’opera (D.1.2: De Origine Iuris et Omnium Magistratuum et Successione Prudentium), subito dopo la presentazione dei concetti di giustizia e legge (D.1.1: De Iustitia et Iure). I curatori si soffermano sul fatto che gran parte della sezione[1] è composta da un lungo passaggio tratto da Pomponio (liber singularis enchiridii) del quale risaltano due aspetti: il primo è che il testo si presenta come una ‘narrazione’ della nascita e dello sviluppo del diritto romano dalle sue origini fino al III secolo d.C., lasciando un vuoto di tre secoli fino all’epoca della stesura del Digesto, evidentemente ritenendo opportuno focalizzarsi sul momento glorioso dell’Impero romano e non sulla successiva epoca di declino. Il secondo aspetto è che Pomponio si fa portatore dell’idea consolidata nella tradizione storiografica secondo cui il diritto romano prende il suo avvio dalle Leggi delle XII tavole mentre prima di esse l’ordine legale si basava sulle leggi regie e sulle consuetudini. Lo scopo del volume è indagare proprio i prodromi delle Leggi delle XII tavole, leggendo queste ultime non come un inizio ma come una transizione ‘from one phase to the next’ (p. 2), fornendo una visione ampia e differenziata costruita sugli apporti specialistici dei singoli autori. Il volume si offre così come uno studio, congiunto e complesso, attento a questa fase di passaggio, e su temi che non sempre vengono affrontati in altri studi e sono di non facile accesso.
Nella prima parte The Materiality of Roman Law: New Archeological Discoveries tre contributi si concentrano sulle nuove scoperte archeologiche ed epigrafiche in grado di contribuire alla ricostruzione della nascita e dello sviluppo del diritto romano arcaico. James Clackson, nel suo Roman Law in its Italic Context, indaga le origini del diritto romano tenendo in considerazione tre fattori: la tradizione orale, le tradizioni legali del territorio italico e quelle del Mediterraneo. Questi tre possibili affluenti non sono in contraddizione e possono aver interagito dando luogo a qualcosa di ‘new and different’ (p. 9). Clackson conduce una ricerca lessicale sull’etimologia dei termini latini del diritto, rinvenendo origini nelle lingue indoeuropee, a volte condivise con le non-indoeuropee, e nei termini di origine greca; più complesso il riconoscimento dell’origine di leggi o di specifiche formule legali (p. 10). Clackson propone, così, un’analisi comparata di testi prelatini, iscrizioni su vari supporti[2] per concludere che i testi italici di natura legale sembrano, per un verso, mantenere la struttura greca delle formule e, per l’altro, generare uno sviluppo proprio; l’analisi offre in tal modo un contesto alla nascita del diritto romano arcaico. Con Central Italian Elite Groups as Aristocratic Houses in the Ninth to Sixth Centuries B.C.E. di Matthew Naglak e Nicola Terrenato, si entra nell’ambito dell’archeologica: l’intervento si concentra, in particolare, sugli scavi di Gabii. Gli autori muovono dall’assunto che le XII tavole comparvero probabilmente grazie a un nuovo assetto sociopolitico e statale che non può che essersi manifestato nello sviluppo abitativo e nelle relazioni tra i gruppi che hanno fondato e abitato nuovi insediamenti. Gli studiosi utilizzano il modello della ‘société à maisons’ (House Society Model) di Lévi-Strauss, secondo cui il bagaglio materiale e immateriale di un gruppo sociale si trasmette attraverso le generazioni successive mantenendo nomi o alleanze. Gabii presenta una struttura auto-regolamentata, possibilmente frutto di mediazione e negoziazione, il cui scopo è rendere le interazioni tra le Houses in grado di ridurre i conflitti in seno a una visione isonomica; tale visione avrebbe poi trovato esiti nello sviluppo, anche ideologico, del diritto romano successivo[3]. L’archeologia in questi casi offre strumenti fondamentali per la ricostruzione dell’ambito sociale e del diritto, soprattutto laddove le fonti letterarie sono scarse o assenti.
Chiude la prima parte il saggio di Patrick Gregory Warden e Adriano Maggiani, Authority and Display in Sixth-Century Etruria: The Vicchio Stele, dedicato all’analisi della ‘Stele di Vicchio’ di Poggio Colla, una fonte del VI secolo a.C. importante per le leggi sacre etrusche di epoca arcaica. Dopo una descrizione del santuario in cui fu rinvenuta e un’analisi delle caratteristiche della stele, gli autori passano all’approfondimento del testo dell’iscrizione. La stele dimostra il potere e l’egemonia delle élite sacrali; si tratta, infatti, di una legge accessibile a pochi, ma la cui autorità e capacità di essere criterio delle azioni umane doveva apparire chiara a tutti.
Dunque, la Part I del volume mostra come nel territorio italico preromano si andassero delineando le concezioni di potere, le strutture sociali e sacrali che è possibile ritrovare negli sviluppi romani successivi.
La seconda parte del volume, Constructing Early Roman Law: Sources and Methods, entra nel merito del diritto romano arcaico. I cinque interventi che la costituiscono si muovono tra le Leges regiae e le XII tabulae. Carlos Felipe Amunátegui Perelló, in The Twelve Tables and the Leges regiae: A Problem of Validity, si concentra sulla natura delle Leges e la loro possibile vicinanza al diritto greco nonché sulla connessione con le XII tavole. Mentre la tradizione sembra avere pochi dubbi sulla connessione tra il diritto greco e le XII tavole[4], rispetto alle Leges regiae l’indagine deve essere ancora svolta in profondità. L’autore nota che le XII tavole sono leggi vincolanti che prescindono dalla figura del legislatore, elemento invece fondamentale nel mondo greco e medio-orientale. In tal senso, esse appaiono come un superamento delle Leges regiae perché si propongono come ‘the first secular and modern law recorded in Western history, separating their nature from the earlierl laws of the kings’ (p. 71). Marco Rocco nel suo contributo The Leges regiae in Livy: Narratological and Stylistic Strategies si concentra sull’opera di Tito Livio, Ab Urbe Condita, quale sostanziale fonte latina sulle Leges regiae. La dimensione comunicazionale istituita da Tito Livio ha lo scopo di trasmettere la sua visione della storia, in particolare di individuare nelle leges regiae un modello positivo per la crisi del suo tempo. Alle Leges regiae si dedica anche Rossella Laurendi con The Leges regiae through Tradition, Historicity and Invention: A Comparison of Historico-Literary and Jurisprudential Sources. Laurendi si approccia alla complessa tradizione letteraria delle Leges regiae e, in particolare, della legge concernente la paelex che, attribuita a Numa, ha, secondo la studiosa, chiare origini arcaiche. Dal suo studio deriva che le Leges, sebbene abbiano subito un processo di adattamento linguistico e quindi di arricchimento e sebbene non si possano attribuire con certezza a Numa Pompilio né far coincidere con lo ius Papirianum, siano sostanzialmente autentiche e vadano ascritte al periodo arcaico del diritto romano. Dall’altro canto, in The Laws of the Kings – A View from a Distance di Christopher Smith la prospettiva adottata è quella della interdisciplinarietà, per dimostrare che delle Leges è possibile parlare se si tiene in considerazione tutta una serie di elementi ‘esterni’ che ne caratterizzano il contesto, tra cui le informazioni archeologiche e gli elementi religiosi, necessari a caratterizzare la figura dei re e del necessario equilibrio socio-politico che deve esserci stato nella configurazione di una società competitiva bisognosa di mediazione e accordi per potersi reggere. Le XII tavole deriverebbero da questa mediazione precedente: si deve dunque riconoscere ‘a prehistory in the Archaic period’ (p. 124).
La seconda sezione si chiude con un saggio di Jeremy Armstrong, Beyond the Pomerium: Expansion and Legislative Authority in Archaic Rome, che affronta l’espansione territoriale, ma anche concettuale e simbolica, dell’autorità romana e della sua legislazione. L’autore si riferisce ai comitia tributa come primo elemento identitario nello sviluppo di Roma oltre il Pomerium. I romani dovevano necessariamente tenere conto dei poteri locali per cercare “to align legal authority with the existing social reality on the ground” (p. 149): di fatto è in questa loro capacità di inserirsi nei contesti al di fuori dell’urbe che sta la loro forza espansiva.
La terza parte del volume raccoglie due saggi, quello di Luigi Capogrossi Colognesi, Niebuhr and Bachofen: New Forms of Evidence on Roman History, e quello di Alain Pottage, Finding Melanesia in Ancient Rome: Mauss’s Anthropology of nexum, entrambi dedicati alla trattazione di Roma antica all’interno di diversi quadri storiografici. Il primo contributo ruota intorno a Barthold G. Niebuhr e J. Jakob Bachofen, eminenti storiografi tra fine Settecento e Ottocento connessi in maniera differente a Savigny, il primo scopritore del palinsesto contente le Istituzioni di Gaio, il secondo noto per la sua teoria del matriarcato che seppe modificare sostanzialmente le prospettive interpretative sempre volte alla preponderanza del patriarcato, allontanandosi in tal modo dal metodo della Scuola storica tedesca. Entrambi questi giuristi, seppur su posizioni contrastanti, hanno segnato in maniera sostanziale lo studio del diritto romano e l’autore ne ripercorre le vicende nonché la successiva ricezione. Il contributo di Pottage si concentra sull’antropologia di Marcel Mauss e il suo Saggio sul dono, centrato sulla reciprocità del dare e ricevere, per approfondire il nexum romano anche secondo le tendenze critiche attuali, rilevandone il valore anche per il diritto privato attuale.
Il testo è ben curato, non si rilevano refusi e gli apparati bibliografici sono ricchi ed aggiornati.
Il volume si dimostra un validissimo strumento soprattutto in una fase di rinnovato interesse per il diritto romano e i diritti antichi in generale: scardina per molti versi le tradizionali visioni del diritto romano e ne rilancia la discussione e l’approfondimento.
Authors and titles
Paul J. du Plessis and Sinclair W. Bell, “Introduction: The Dawn of Roman Law”
Part I: The Materiality of Roman Law: New Archaeological Discoveries
James Clackson, “Roman Law in its Italic Context”
Matthew C. Naglak and Nicola Terrenato, “Central Italian Elite Groups as Aristocratic Houses in the Ninth to Sixth Centuries B.C.E.”
P. Gregory Warden and Adriano Maggiani, “Authority and Display in Sixth-Century Etruria: The Vicchio Stele”
Part II: Constructing Early Roman Law: Sources and Methods
Carlos Felipe Amunátegui Perelló, “The Twelve Tables and the Leges regiae: A Problem of Validity”
Marco Rocco, “The Leges regiae in Livy: Narratological and Stylistic Strategies”
Rossella Laurendi, “The Leges regiae through Tradition, Historicity and Invention: A Comparison of Historico-Literary and Jurisprudential Sources”
Christopher Smith, “The Laws of the Kings – A View from a Distance”
Jeremy Armstrong, “Beyond the Pomerium: Expansion and Legislative Authority in Archaic Rome”
Part III: Roman Law in Historiography and Theory
Luigi Capogrossi Colognesi, “Niebuhr and Bachofen: New Forms of Evidence on Roman History”
Alain Pottage, “Finding Melanesia in Ancient Rome: Mauss’s Anthropology of nexum”
Notes
[1] Dopo un breve estratto da Gaio, libro primo ad legem duodecim tabularum, in cui il giurista afferma di voler andare alle origini, ossia al principio del diritto romano ripartendo dalle antiche leggi. Gli autori, qui, accennano alla possibilità di intravedere una connessione tra questo passaggio di Gaio e il pensiero greco antico, e scrivono: “While there is no doubt some Greek philosophy latent in this statement, it is not the main focus of our discussion here”, p. 1.
[2] L’autore si occupa del testo sacro della tavoletta di Lavinio, dell’iscrizione di Vestine ‘Aveia 1’ e quella degli Osci, Vibo 2, per poi passare ai testi scritti in dialetti sabellici -osco-umbri-, quali la Tabula Bantina e le Tabulae Iguvinae, giungendo infine all’ambito etrusco.
[3] “The revolutionary concept was introduced of a rule that impinged directly on what was customarily understood to be within the jurisdiction of each House. Much of the legislation that characterised Roman society would follow in this original wake and would progressively erode and curtail the traditional prerogatives of the aristocrats, without ever eliminating them entirely”, p. 36.
[4] Si veda, e.g, M. Ducos, L’influence grecque sur la loi des douze tables. Presses Universitaires de France: Paris, 1978.