BMCR 2020.11.02

The kingdom of Priam: Lesbos and the Troad between Anatolia and the Aegean

, The kingdom of Priam: Lesbos and the Troad between Anatolia and the Aegean. Oxford classical monographs . Oxford; New York: Oxford University Press, 2019. Pp. xxv, 350. ISBN 9780198831983. $105.00.

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Il volume, rielaborazione di una dissertazione dottorale, vuole essere una storia regionale dell’isola di Lesbo e della Troade dall’età arcaica all’epoca imperiale. Esso si apre con una breve introduzione, nella quale Ellis-Evans anzitutto illustra i presupposti metodologici della ricerca da lui condotta, a cominciare dalla necessità di abbandonare l’approccio più tradizionale allo studio di realtà geografiche antiche – in primo luogo, isolane – con l’ottica dei confini interstatali stabilitisi solo in epoca contemporanea. Suddetto approccio, infatti, per restare all’ampia area scelta dall’autore come oggetto di indagine, farebbe per esempio perdere di vista i rapporti molto stretti intrattenuti dall’isola di Lesbo con la prospiciente costa anatolica, dall’epoca antica fino al disfacimento dell’impero ottomano. Sempre nell’introduzione, l’autore pone in evidenza il fil rouge che percorre il volume: l’analisi della costante tensione tra coesione regionale e particolarismo locale. Tale analisi è scandita nei sei capitoli del volume, dedicati ad altrettanti ambiti identificabili all’interno del più ampio spazio geografico in esame: Ilio, il monte Ida, la media valle dello Scamandro, la peraia di Mitilene, l’isola di Lesbo, l’Eolide. L’esigenza di individuare, per così dire, un denominatore comune è dovuta alla sostanziale autonomia – in termini sia spaziali sia cronologici – con cui i singoli capitoli si configurano.

Il primo capitolo è incentrato sulla città di Ilio e il suo territorio durante l’epoca ellenistica, momento di massima fioritura per la polis. Volendone indagare la storia, l’autore prende le mosse dalle pagine che a essi dedica Strabone nella sua trattazione della Troade. L’importanza della testimonianza straboniana sta, secondo la prospettiva di Ellis-Evans, nel far cogliere il ruolo simbolico che Ilio, in quanto erede della Troia omerica, assume progressivamente a partire dal IV secolo a.C. e che ne spiega il grande prestigio e la prosperità di cui godrà nel I secolo. Nello stesso tempo, tuttavia, si rilevano i limiti dell’immagine della Troade restituita dal Geografo come regione unitaria e coesa orbitante intorno a Ilio. Essa non è, infatti, che una costruzione «anti-historical» di Strabone nella sua veste di strenuo difensore della auctoritas di Omero contro quanti (su tutti, Eratostene) la mettevano in discussione, quanto meno sul piano dell’informazione geografica (pp. 19-22). Aiutano a comprenderlo innanzi tutto le serie monetali emesse nel periodo in questione dalle zecche della regione. Il loro studio, infatti, delinea un quadro tutt’altro che unitario della Troade; emergono, in buona sostanza, due Troadi afferenti a networks economici distinti: una settentrionale, nella quale rientra Ilio, proiettata verso il Bosforo e il Ponto Eusino, e una meridionale, rivolta viceversa alla costa anatolica e al mar Egeo (p. 45). Tuttavia, a superare la dicotomia tra l’unità e la pluralità della Troade è il koinon di Atena Iliaca, fondato verso la fine del IV secolo e comprensivo di poleis tanto della Troade settentrionale quanto di quella meridionale: tra tutte emerge distintamente Ilio, capace di trasformare il prestigio cultuale, derivatole dall’essere sede del santuario della dea e delle feste del koinon, in prestigio politico ed economico. Strabone, l’evidenza numismatica, quanto si conosce del koinon riflettono dunque, su Ilio, prospettive diverse ma tra loro correlate (p. 17), dove la correlazione si spiega se, secondo un’idea espressa da Pierre Vidal de la Blache e da Ellis-Evans accolta convintamente (p. 16), si assimila l’identità di una regione geografica alla personalità umana,[1] ovverosia, tra le altre cose, a una realtà sfaccettata, che racchiude in sé «a multitude of elements which clash with and contradict one another».

Il proposito dell’autore di illustrare l’eterogeneità della Troade si sposta sul versante prettamente geografico-ambientale nel secondo capitolo, che trova principale oggetto di indagine nel rapporto tra il comprensorio del monte Ida, zona boschiva e selvatica, e l’area fortemente antropizzata e urbanizzata della pianura. A partire, da un lato, dalle tradizioni orali e dalle pratiche cultuali dei Tahtaci, attuali abitanti di stirpe turca dell’Ida (pp. 61-65); dall’altro, dalla testimonianza fornita dagli scritti botanici di Teofrasto, frutto di ricerche autoptiche (pp. 70-75), Ellis-Evans delinea un quadro di relazioni economiche strettissime – si arriva a parlare di «symbiotic relationship» – tra le due aree. Tali relazioni, di cui entrambi gli attori beneficiano, costituiscono per Ellis-Evans riprova della validità del paradigma interpretativo dell’economia mediterranea in epoca premoderna proposto da Peregrine Horden e Nicholas Purcell, secondo il quale l’eterogeneità ambientale non solo non è fattore divisivo, ma anzi promuove attivamente l’integrazione a livello regionale.[2] Il monte Ida, però, è tema ricorrente anche nella tradizione poetica, da Omero a Catullo (pp. 65-70), che ne restituisce un’immagine di ambiente desolato e selvaggio, ostile alla presenza umana. L’autore ne è ben consapevole, invitando conseguentemente il lettore a non confondere il piano della realtà da quello dell’immaginario: in altre parole, a prestare attenzione «to how […] forests were imagined as to how they are actually used» (p. 60). Il capitolo, infine, è corredato di una breve appendice (pp. 100-106), nella quale sono registrati, in ordine alfabetico, i passi teofrastei delle Ricerche sulle piante, in cui sono menzionate diverse specie della flora dell’Ida.

Fulcro della trattazione dedicata, nel terzo capitolo, alla media valle dello Scamandro è l’allevamento su larga scala dei cavalli reali, ricordati in primo luogo in un aneddoto della Vita di Eumene di Plutarco (8,3-4). È da questo passo che l’autore prende avvio per soffermarsi sulla consistenza storica di tale attività. Anzitutto, incrociando i dati derivanti dalle fonti letterarie, cerca di precisare le dimensioni di questo allevamento (pp. 118-120); in secondo luogo, tenendo conto del fattore ambientale come delle informazioni ricavabili dalla tradizione letteraria e dall’evidenza numismatica, dimostra convincentemente che esso sia da localizzare proprio nella media valle dello Scamandro (pp. 121-134); infine, ne suggerisce l’esistenza fin dalle epoche più remote, per essere definitivamente potenziato dagli Achemenidi e poi dai successori di Alessandro (pp. 111-118, 134). Appurato tutto questo, ci si chiede quale fosse l’impatto socio-economico avuto dalla cura e dalla gestione delle mandrie – senz’altro dispendiosissime (pp. 134-143) – sulle comunità coinvolte. Trattandosi inoltre di cavalli da combattimento destinati agli eserciti reali, Ellis-Evans conclude che il loro allevamento, per le comunità in questione, «did not represent an economic opportunity, but rather a crushing burden» (p. 140), fardello dal quale esse erano però impossibilitate a esimersi. A fronte di un’analisi fino a questo punto dettagliata e limpida, non è immediatamente perspicuo, almeno a giudizio di chi scrive, il nesso che l’autore ravvisa tra la pratica dell’allevamento equino e risvolti politici (sinecismi e regimi di sympoliteia), che in età ellenistica interessarono varie poleis dell’area (pp. 145-152). A risultare chiaro è che entrambi i fenomeni sono da intendere come fattori di coesione territoriale, ancorché a discapito di alcuni degli attori coinvolti, in termini di spese gravose per la popolazione e, almeno per le comunità più piccole, di perdita di sovranità politica e della propria identità.

Nel quarto capitolo, l’attenzione dell’autore si sposta su una realtà – la polis di Mitilene – fisicamente separata dal continente anatolico, ma che è a esso intimamente legata. La città lesbia, infatti, non solo intrattiene intensi rapporti economico-commerciali con numerosi centri della costa prospiciente (troadici ed eolici), ma addirittura detiene il controllo politico su alcuni di questi centri, situati nella Troade costiera e nell’Eolide settentrionale: in altre parole, i centri costituenti la sua peraia. Di quest’ultima Ellis-Evans prende in esame la storia, in particolare nel V secolo a.C. Preliminare a questo è l’esatta definizione topografica della peraia mitilenese (pp. 159-188), attraverso una serie testimoniale (le liste dei tributi ateniesi, in particolare relative agli anni 425/4 e 422/1) che, sebbene indiretta, resta a suo avviso (p. 158) la migliore fonte di informazione sia per ricostruire la composizione della peraia sia per precisare – con l’ausilio anche della comparazione con quanto è noto di altre peraiai (pp. 177-188) – la natura del rapporto che Mitilene ha con essa. Quanto a quest’ultimo, momento di svolta è il 427, anno della rivolta della polis lesbia contro Atene. L’epilogo fallimentare della rivolta ebbe, infatti, tra le conseguenze, la fine del controllo politico diretto esercitato da Mitilene sui centri della peraia, che a partire dal 425/4 compaiono tra i membri della lega delio-attica, nel distretto tributario creato ad hoc delle Ἀκταῖαι πόλες. Il 427, però, non incrina le relazioni economico-commerciali tra la città lesbia e i centri ormai sottratti al suo controllo: queste anzi vengono consolidate. Lo dimostra bene la prontezza con cui tali centri (ma anche altri, della Troade come dell’Eolide) adeguano la propria monetazione – in termini di metallo, nominali, stile, ma soprattutto standard ponderale – alla nuova coniazione avviata da Mitilene verso la fine del 427 o immediatamente dopo (pp. 189-196). Tale adeguamento è emblematico della volontà di suddetti centri di preservare con i Mitilenesi un rapporto commerciale privilegiato.

Argomento del quinto capitolo è il koinon dei Lesbi in età ellenistica. A dispetto di una idea diffusa, secondo la quale la rifondazione, attorno al 200 a.C., di questo organismo esprimerebbe la volontà delle comunità isolane di dare vita a una formazione politica unitaria, l’autore sostiene che loro intento fosse piuttosto solo quello di promuovere forme di cooperazione interpoleica su cui contare in specifiche circostanze. Più precisamente, il koinon avrebbe la sua principale ragione di essere nella necessità avvertita di creare un organo in grado di garantire alcune azioni comuni, in primo luogo di fronte a minacce esterne: tale caratteristica lo assimilerebbe al Panionion istituito durante la rivolta ionica, e decisamente meno ai koina coevi della Grecia continentale. A tali conclusioni Ellis-Evans giunge attraverso il riesame (pp. 202-222) di tutta la documentazione superstite sul koinon rifondato, a cominciare ovviamente dal suo testo costitutivo, il trattato restituito da IG XII Suppl. 136 (testo e apparato del documento sono riportati in un’apposita appendice alle pp. 243-247). La rifondazione del koinon, col suo carattere peculiare, è occasione per interrogarsi, con sguardo retrospettivo, sul ruolo avuto sui centri dell’isola dalla condivisione di una medesima identità (pp. 222-243).

Il sesto e ultimo capitolo costituisce una ideale conclusione del quarto, dedicato qual è al rapporto tra Mitilene e la sua peraia in epoca romana, precisamene tra il I secolo a.C. e il successivo. Il fatto che i Mitilenesi si prodighino in occasione di dispute territoriali, ricostruibili a partire da testimonianze epigrafiche (pp. 251-260), per preservare il loro legame con l’Eolide sta a testimoniare l’importanza che la terraferma per essi aveva (e ancor più aveva avuto nei secoli precedenti). Nella medesima direzione va l’impegno profuso dalle élites cittadine, nel momento in cui cercavano di instaurare un dialogo privilegiato con i dominatori romani, a difendere i diritti della loro comunità sul territorio dell’Eolide, fondandosi, oltre che su dati documentali, sulle proprie tradizioni mitiche, com’è ovvio opportunamente rimodellate e orientate (pp. 260-276). Della vitalità del legame tra Mitilene (e più in generale Lesbo) e la terraferma anatolica sembrano consapevoli gli stessi Romani, come dimostra l’inserimento dell’isola nella provincia d’Asia.

A completamento del volume sono una succinta conclusione, la bibliografia, l’indice dei passi citati e l’indice generale.

Quello di Ellis-Evans è certamente un volume che si fa apprezzare, per la capacità dell’autore di mettere bene a frutto serie testimoniali (su tutte, il dato numismatico) diverse dalla tradizione letteraria; oppure per l’abilità a restituire il contesto – nella più ampia accezione del termine – in cui gli eventi e i processi storici indagati si inseriscono. Non poche, inoltre, sono le riflessioni che esso stimola, ad esempio sul fatto che conflitti insorti tra le poleis portino queste ultime a manipolazioni del proprio passato (anche quello mitico) che vengono recepite dalle fonti coeve: le stesse fonti cui poi si deve ricorrere per la ricostruzione della storia più antica di queste comunità. Qualche riserva suscita, invece, la scelta del titolo, che, se risponde all’esigenza dell’autore di trovare un nome per un’area composita qual è quella presa in considerazione, può risultare fuorviante. Evocare Priamo e il suo regno lascia presagire una trattazione fondata in prevalenza sulla testimonianza omerica e nella quale siano le epoche più risalenti a trovare ampio spazio. Nel volume, invece, Omero è presenza occasionale ed è senza dubbio l’età ellenistica a essere maggiormente rappresentata.

Notes

[1] L’idea è formulata da P. Vidal de la Blache, Tableau de la géographie de la France, Paris 1903, p. 6, a partire dalla celebre definizione della Francia data da J. Michelet, Histoire de la France, II 3, Paris 1861, p. 103, dove si dice che «la France est une personne». Ellis-Evans parla frequentemente nel corso del capitolo di personality di Ilio ellenistica.

[2] P. Horden, N. Purcell, The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History, Oxford 2000.