Il volume di Daniele Foraboschi è uscito postumo, poco dopo la scomparsa dell’autore l’11 settembre 2018. Ne è curatrice Silvia Bussi, cui si deve anche un ritratto intellettuale di Foraboschi (seguito dalla bibliografia) appena pubblicato in Quaderni di Storia 89, 2019. Formatosi alla scuola di I. Cazzaniga prima e di E. Gabba poi, Foraboschi è stato studioso del mondo antico specialista in particolare di papirologia e numismatica, competenze che illuminano e sorreggono molte delle pagine di questo libro. Professore inizialmente a Pisa e poi a Milano, Foraboschi ha perseverato nell’analisi delle grandi dinamiche storiche, con speciale riguardo ai processi economici, che attraversano il mondo antico fino a determinarne la fine e accompagnare il passaggio verso uno spazio storico profondamente diverso. Va inoltre ricordata l’ampiezza di orizzonte che lo ha portato a esplorare il mondo orientale, così come quello del più lontano Occidente, alla ricerca di una visione più larga possibile e interessata alla contemporaneità del ricercatore tanto quanto alla riflessione sugli aspetti metodologici della ricerca storica.
Studioso raffinato, sempre attento a cogliere nel presente il senso degli studi sul passato e a dare rigore critico alla complessa questione dell’attualità dell’antico, Foraboschi ci consegna in quest’ultima opera una riflessione sulle forme di violenza nelle società antiche nutrita da una solida consapevolezza del dibattito teorico sul tema. Dove porre la radice della violenza, nella natura dell’uomo oppure nelle ingiustizie sociali? Un dilemma che coinvolge anche l’orizzonte culturale di riferimento: davvero le culture ‘primitive’ sono meno violente delle altre? E come si inscrive la guerra in questo orizzonte tematico? Già nella premessa l’Autore sottolinea la contiguità tra la violenza e la sfera del piacere, che trova la sua espressione più cruda e terribile nello stupro, in particolare in quello di massa.
Nonostante la ritrosia delle fonti, in particolare quelle di età classica, a darne una rappresentazione storiografica, Foraboschi non ha difficoltà a mostrare tuttavia la presenza della violenza in un ampio spettro documentario (in particolare epigrafia e papiri, soprattutto dell’Egitto romano). Ed è chiaro, percorrendo il volume, quanto lo studio dei documenti epigrafici e papiracei abbiano ispirato all’Autore, con l’estrema brutalità delle testimonianze di violenza, la necessità di dare spazio ad una meditazione sulla violenza e sulla lezione che lo studio dell’antico suggerisce all’osservatore contemporaneo.
Il volume è aperto da un’introduzione e una premessa e si articola in due ampie sezioni, seguite da una Conclusione senza conclusioni e dall’indice. La prima parte (Violenze e individuo, 11-50) passa in rassegna testimonianze antiche e moderne sulla violenza di massa e il suo stretto rapporto con l’obiettivo di umiliare il nemico, fino alle forme estreme (ma comuni) della tortura e dello stupro. Ma è nella documentazione offerta dai papiri egiziani, campo ben conosciuto all’Autore, che si può meglio tracciare la diffusione e la quotidianità della violenza privata in tutte le forme tipiche anche della cronaca nera, soprattutto nella polarizzazione maschio/femmina: colpiscono in particolare le violenze domestiche di cui Foraboschi sottolinea opportunamente la continuità nel tempo. Anche la tensione tra erotismo e violenza è analizzata lungo un ampio arco temporale e se ne colgono alcuni elementi nella teorizzazione che Sade farà della violenza come libidine (47-50).
Sullo stesso filo di continuità si colloca la violenza ideologica, dai massacri di Melo e dei Trenta Tiranni fino a quelli nell’Europa nazifascista (e oltre, come nel caso delle recenti guerre balcaniche e del genocidio in Ruanda). Lunghe e meditate pagine sono dedicate all’imperialismo terroristico di Roma che, nel 146, distrugge e rade al suolo Cartagine (riflessione poi ripresa nella seconda parte, 57: “i Romani avevano quasi un culto della violenza”). La panoramica sull’espansionismo militare di Roma conduce Foraboschi a focalizzare l’attenzione sull’impulso all’assoggettamento e ai mezzi per ottenerlo: “genetica o sociale che sia la crudeltà è un progetto” (40), per riprendere l’analisi di Foucault, cui l’Autore si richiama con frequenza. Ed è proprio nelle infinite manifestazioni della crudeltà che viene riconosciuto il più solido elemento di continuità dal passato più remoto alla contemporaneità, a prescindere dal presunto grado di civilizzazione (di cui anzi si svela l’inconsistenza di fondo).
La seconda parte del volume è dedicata alla fenomenologia delle violenze generate da disordine sociale o politico (51-120), in particolare legato all’economia schiavistica e alle tecniche del controllo sociale e politico. Anche in queste pagine si rileva la tensione consapevolmente irrisolta tra motivazioni ‘razionali’ (il controllo delle masse) e il ricorso a categorie psicologiche, come nel caso dell’analisi della violenza dei giochi gladiatori (59, “primitivo subconscio dell’uomo assassino”). Anzi, a proposito della violenza dei giochi gladiatori, l’Autore parla del “primitivo subconscio dell’uomo assassino” (59). In generale lo sguardo dello studioso si rivolge al trattamento del corpo delle vittime e ai comportamenti sadici del pubblico che assisteva alle esecuzioni così come ai ludi gladiatori. Foraboschi non lesina dettagli per lo più terrificanti che spingono il lettore a meditare sul nostro rapporto con il passato, in linea con la sua convinzione che la Storia antica sia sempre e inevitabilmente storia della contemporaneità, tanto più che è presente una consistente attenzione documentaria a pratiche altrettanto crudeli nella nostra contemporaneità: “da un passato di guerra si passa ad un futuro di guerra” (79). Significative in proposito le riflessioni sul rapporto tra identità e violenza, e la necessità di sottoporre la prima a critica, con importanti riferimenti alla riflessione filosofica e antropologica, da Lévi-Strauss a Amartya Sen (68-70).
L’altro aspetto, infine, tematizzato riguarda il rapporto tra economia e violenza nelle società del Mediterraneo antico: sono pagine in cui lo studioso mette a frutto la sua lunga esperienza di storia economica del mondo antico e di conoscenza dei problemi teorici collegati, in particolare per ciò che concerne gli aspetti monetari (84-101).
Nella breve conclusione Foraboschi rimarca la continuità tra violenze antiche e moderne (e sul nodo violenza/guerra/sopraffazione), un po’ il Leitmotiv di tutto il volume, ma al tempo stesso sottolinea, con opportuna prudenza, che non sembra lecito parlare di una legge universale dell’umanità. D’altronde, considerati anche i risultati della ricerca recente sulla violenza tra i mammiferi non carnivori, resta l’interrogativo posto in apertura sull’origine della violenza (“radicata nel profondo della psiche umana” o “reazione inevitabile a relazioni sociali squilibrate e ingiuste?”). Foraboschi non può (e non vuol) dare una risposta definitiva, ma indica la via di una ricerca incessante che innanzitutto sottolinea il valore del dubbio, tanto da concludere: “francamente il dubbio della ricerca prevale ancora su ogni certezza”(121). Resta il rammarico che a una riflessione importante, ampia e ricca di stimoli sia mancata un’ultima revisione dell’Autore, che avrebbe certamente riordinato le diverse parti evitando ripetizioni e ripulito il testo dai numerosi refusi.