L’incontro tra Creso e Solone è uno degli episodi più affascinanti delle Storie. L’elogio di ideali elevati a confronto con una mera prosperità materiale, il riferimento allo phthonos theon e alla precarietà della condizione umana riecheggiano più volte nelle pagine erodotee. Solone, uno dei principali ‘saggi consiglieri’ dell’opera, è costruito in modo radicalmente opposto rispetto ai tanti uomini di potere che Storie si affannano a possedere sempre più fino a perdere tutto. Uno di questi è di certo Creso che comprende le profonde considerazioni dell’Ateniese nell’ultimo momento possibile, quando ha ormai perso il regno. Il sovrano lidio, che scaccia Solone accusandolo di amathie, è tutto concentrato sulla prosperità materiale. Sebbene sia traviato da un oracolo pitico e debba scontare le colpe di un suo antenato, Creso appare tutt’altro che incolpevole nella sua caduta. Alla fine, dopo aver a sue spese esperito la fragilità della prosperità umana, assumerà le vesti del ‘wise adviser’, cercando di consigliare altri potenti dell’opera.
Per questa ricchezza di significati, l’incontro tra Creso e Solone ha attirato l’attenzione non soltanto degli antichi, ma anche dei moderni, come illustra il libro curato da L. Moscati Castelnuovo, che raccoglie gli Atti di una giornata di studi tenutasi a Macerata nel marzo del 2015. Il volume, pur tralasciando esplicitamente alcuni generi e aree del sapere, propone un’interessante analisi delle variazioni letterarie, filosofiche e iconografiche di questo celebre confronto nella produzione culturale occidentale. Dieci contributi ripercorrono cronologicamente la fortuna del dialogo, fino ad arrivare ai nostri giorni. Tre saggi si concentrano più nel dettaglio sulla Grecia antica, mentre alla curatrice, che in una breve ma efficace introduzione (7-14) spiega l’intento della ricerca, è affidato il compito di traghettare il lettore dal mondo antico all’età bizantina.
L. Porciani (15-28) Il dialogo tra Solone e Creso nell’opera di Erodoto: temi e problemi ripercorre la sezione erodotea. Lo studioso, che dimostra di conoscere bene l’ampia bibliografia sull’argomento, non si sofferma soltanto su questioni più ‘tecniche’, come la cronologia e la storicità dell’incontro, ma si cimenta anche con il senso più profondo del dialogo. Secondo Porciani, “il contrasto non è certo di tipo meramente filosofico-moralistico”, in termini di opposizione tra la vita dei comuni cittadini e lo splendore della corte, va bensì letto in chiave filosofico-politica. Creso rappresenta una “realtà imperiale”, a contrasto con modelli di semplici cittadini che rispettano le poleis di appartenenza. Porciani nota inoltre alcuni punti di contatto tra il soma autarkes a cui fa riferimento Solone e l’ autarkeia che Tucidide cita in due passi molto importanti: l’epitaffio di Pericle per i caduti del 431 e la peste di Atene. Emergono velati riferimenti alla realtà politica contemporanea e in particolare all’Atene democratica, in cui l’ autarkeia, “come programma di potenza, ci appare un vessillo ideologico e propagandistico”.
F. Gazzano, Μᾶλλον ὁ Φρύξ. Creso e la sapienza greca (29-50) indaga il rapporto tra Creso e i sette sapienti prendendo spunto da un proverbio riconducibile ad un episodio storico. Secondo la versione di Zenobio, Creso si sarebbe interrogato sulla sua felicità in un’altra occasione e avrebbe convocato alcuni saggi, preferendo la risposta del frigio Esopo che lo esaltava grandemente. Il re avrebbe dunque esclamato “meglio il Frigio!”, coniando un’espressione che sarebbe risuonata ancora per diversi secoli. In età bizantina, infatti, diverse fonti trattano nuovamente l’episodio in modo più esauriente, aggiungendo dettagli significativi (Fozio, la Suda e Apostolio/Arsenio). La studiosa analizza il rapporto tra Creso e la sapienza greca, a cominciare da Erodoto che associa il re lidio non soltanto a Solone, ma anche a Biante (o Pittaco) e a Talete. Gazzano suggerisce l’esistenza di una tradizione di origine delfica: il ‘mondo pitico’ è connesso infatti sia al sovrano lidio sia ai sette saggi le cui sentenze erano incise sulle pareti del santuario. A suo avviso, il detto doveva indicare “una scelta proverbialmente stolta e/o irragionevole, fondata su una percezione ‘barbara’ e fallace della realtà”, secondo una tradizione che escludeva ogni responsabilità dei sapienti greci nella caduta di Creso e ribadiva la superiorità della saggezza “apollinea” su quella popolare.
Il terzo contributo di A. Fermani Chi è l’uomo più felice sulla terra? Il modello eudaimonistico di Solone nella testimonianza aristotelica (51-66) studia la rielaborazione aristotelica delle concezioni soloniane sulla felicità. In effetti Aristotele, soprattutto in un luogo dell’ Etica Nicomachea, sembra conoscere il passo delle Storie o quanto meno attribuisce a Solone idee simili a quelle che riscontriamo anche in Erodoto. Aristotele instaura a proposito della eudaimonia un confronto serrato con Solone che si dimostra un punto di partenza imprescindibile per indagare la felicità umana. Solone e Aristotele concordano sul carattere duraturo della felicità che non può essere qualcosa di episodico, ma lo Stagirita, secondo Fermani, contesta all’Ateniese l’idea che si possa essere felici soltanto nel momento della morte. La felicità rappresenterebbe per Aristotele il contraltare della morte e andrebbe dunque valutata durante la vita, tenendo ben presente le sfortune che possono abbattersi sugli uomini.
L. Moscati Castelnuovo si è occupata delle rielaborazioni del dialogo dal tardo ellenismo fino all’età bizantina ( Fra aneddotica e filosofia. Rivisitazioni del dialogo tra Solone e Creso dal tardo ellenismo all’età bizantina, 67-80). Secondo la studiosa è soprattutto Solone a subire le trasformazioni maggiori, distaccandosi sempre più dal personaggio erodoteo e da quello storico per divenire interprete di alcune dottrine filosofiche. Moscati Castelnuovo distingue molto felicemente la tradizione, cioè la trasmissione dei testi, dalla ricezione, intesa come “risposta creativa o reinvenzione del testo tradito”. Già il Solone di Diodoro e di Plutarco propone delle concezioni che rievocano le riflessioni dei Cinici. È soprattutto a questa scuola filosofica che Solone viene in qualche modo connesso. I dialoghi di Creso con Menippo di Gadara e Diogene il cinico, narrati in Luciano, in un epigramma dell’ Antologia Palatina e in uno di Ausonio sarebbero dei rimaneggiamenti proprio del confronto tra il Lidio e Solone. La studiosa, dopo aver affrontato una riconsiderazione del dialogo in chiave stoica proposta da Cicerone e da uno scolio ben più tardo, di scuola aristotelica, sottolinea il ruolo svolto dalle scuole filosofiche nella reinvenzione del dialogo che hanno favorito la diffusione di quel celebre incontro.
Nel corso della sua lunga e feconda ricezione nella cultura dell’Europa moderna il racconto erodoteo di Creso e Solone è stato sottoposto a un mutevole gioco di scomposizioni tematiche che rispondono alle strategie poetiche dell’uno o dell’altro autore, e riflettono al tempo stesso le diverse sensibilità culturali in epoche diverse. Iniziando dal contributo di Silvia Fiaschi ( Rivisitazioni umanistiche di una storia antica, 81-104), in età umanistica il recupero dell’episodio di Creso e Solone segue vie nuove rispetto alla tradizione medievale e vede una sua prima notevole espressione nel De casibus virorum illustrium di Boccaccio (che però non contiene il dialogo con Solone); ma un’anticipazione si ritrova nei Rerum memorandarum libri di Francesco Petrarca, in cui sorte e felicità umana si trovano collegate al Solone di Erodoto. L’influsso esercitato da Luciano (in particolare nel Caronte), che assegna un’impronta satirica alla storia di Creso e Solone, pone l’accento sulla miseria umana e sulla precarietà dell’esistenza. Attraverso le traduzioni latine e le epitomi che vengono realizzate delle principale fonti greche sul dialogo il tema assume una fisionomia più definita: Plutarco in primis, accanto a Luciano e ovviamente Erodoto, il cui recupero ufficiale, seppur parziale, inizia con la traduzione del Valla (nel 1474 esce postuma l’ editio princeps). Altro testimone importante, strettamente legato all’opera petrarchesca, è Francesco Filelfo, autore della prima rielaborazione letteraria dell’incontro tra Creso e Solone basata sul testo dello storico greco. Di seguito, nella tradizione italiana rinascimentale (Manuela Martellini, Virtù morale e politica tra Quattrocento e Cinquecento: la ricchezza, la fortuna, la felicità, 104-120) il dialogo erodoteo si intreccia con un ampio spettro di elementi diversi, dallo stoicismo all’epicureismo fino a quello cristiano. Il tema della fortuna e del destino degli uomini ha uno spazio di rilievo in Machiavelli e Guicciardini, che lo declinano all’interno della tensione tra fortuna e virtù. Un’altra linea di sviluppo è quella dominata dal rapporto tra felicità e possesso di denaro: dagli stessi Machiavelli e Guicciardini fino a Romei e Tassoni la riflessione su questo aspetto mette in luce la dialettica tra due forme di felicità (quella che dipende dalla virtù e l’altra che richiede anche il concorso delle circostanze esterne). I correlati aneddoti soloniani di Tello e di Cleobi e Bitone alimentano a loro volta la meditazione sulla felicità perfetta e il suo rapporto con la mediocrità, da Leon Battista Alberti a Ludovico Zuccolo.
Sotto questo aspetto non stupisce che una ricognizione della presenza del tema nella letteratura francese prenda inizio dagli Essais di Montaigne (Patrizia Oppici, Echi francesi del dialogo erodoteo, 121-134). Il motivo del rovescio della sorte è in particolare destinato a trovare spazio nella letteratura successiva: dal Cardinal Fleury alle molte pagine ispirate dalla morte di Napoleone la riflessione di Montaigne viene ripresa e rielaborata, alla scoperta di nuovi significati, filtrando così il racconto di Erodoto nella letteratura successiva. Ivi compresa la ripresa polemica che ne fa Voltaire nella voce del Dictionnaire dedicata al souverain bien (1764).
Luciana Gentilli, Solone e Creso nell’emblematica spagnola (135-157) indaga la fortuna del racconto di Creso nell’emblematica spagnola nel quadro della cultura post-tridentina e della sua ricerca del princeps cristiano esemplare. Motivo conduttore è qui l’idea che una buona conclusione della vita sia necessariamente l’effetto di una ars vivendi basata su fede e opere. Sotto questo aspetto la cultura “pagana” è inserita in un denso processo osmotico e l’episodio erodoteo si adatta allo spirito controriformistico di cui sono espressione gli Emblemata, sia riguardo al tema della buona morte livellatrice e indifferente ai privilegi, sia a quello del disprezzo delle ricchezze terrene (di chiara impronta stoica). Le “ perfomances ricreative” offerte dagli Emblemata vanno oltre il limite del luogo comune e agiscono come una “cornucopia topica” che invita a riflettere sull’unicità irrimediabile della morte. La fortuna della narrazione erodotea è approfondita da Carla Carotenuto nella letteratura italiana dal Novecento all’inizio di questo secolo ( La vicenda di Solone e Creso nelle rivisitazioni di Alberto Albertini e Giovani Mariotti, 159-177). Per Albertini il racconto si presta efficacemente a esprimere il disagio della caduta degli italiani sotto il giogo fascista, come pure nel romanzo di Mariotti ( Creso, 2001) la storia dell’ultimo sovrano lidio si adatta a letture contemporanee. In entrambi i casi il nodo centrale resta il problema della felicità e del suo conflittuale rapporto col potere.
Indagando le proiezioni nella pittura moderna dell’episodio erodoteo di Solone e Creso, Roberto Cresti ( Erodoto “pittore” tra l’antico e il moderno, 179-213) individua un elemento di interesse nella riscoperta e valorizzazione del mito nel XX secolo, in reazione alle ideologie riduzioniste che fin dal XVII secolo tendono a emarginarlo dal discorso culturale. Adottando il modello del mitologema di K. Kerényi (di derivazione junghiana), da un lato, e dall’altro quello di “forma ed evento” di Carlo Diano, l’A. si propone l’individuazione dell’elemento archetipico che dal racconto erodoteo agisce anche “nei miti della pittura moderna”. In questa prospettiva le figure di Solone e Creso assumono valore paradigmatico: la forma dell’umanità enunciata da Solone (“l’uomo è tutto symphorè ”) corrisponde all’evento ‘fondante’ della sventura di Creso e mira ad esprimere la complessità del mondo e al tempo stesso la condizione tragica dell’uomo. Il tema erodoteo ispira numerosi pittori, da van Steenwijck a Franken il Giovane, fino a Vignon e van Honthorst. In particolare, la scena di Creso prigioniero si colora di valori cristologici (un elemento che emergeva già nel contributo di L. Gentilli). Altri echi, diversamente declinati, si scorgono in letteratura nelle pagine di Daniel Defoe, e poi in altre passaggi della storia intellettuale europea fino al Novecento di A. Thibaudet e di F. Marc, testimoni attoniti della feroce violenza della Grande Guerra.