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Presso una piccola casa editrice di Scicli trova ospitalità l’ultima monografia di Massimo Frasca, professore ordinario di Archeologia classica, presso l’Università degli studi di Catania, dedicata ad un tema a lui caro fin dai tempi del suo esordio accademico. La sua tesi di laurea, assegnatagli dal prof. Giovanni Rizza, aveva come tema lo studio delle necropoli del Monte Finocchito nei pressi di Noto (SR), scoperte ed esplorate da Paolo Orsi alla fine dell’Ottocento.1 E partendo da quello studio, Frasca ha ampliato il suo spettro di indagine, valorizzando al meglio i risultati che la ricerca archeologica aveva nel frattempo raccolto dai vari siti del comprensorio ibleo. Dopo anni di studi settoriali, coscienziosamente suddividi per periodi storici e per ambiti geografici, in quel continente in piccolo che rappresenta la Sicilia nel mondo mediterraneo, si è sempre sentita l’urgenza di un lavoro di sintesi che possa fare un ragionevole sunto della ricerca archeologica. Dopo il mancato volume dedicato alla Sicilia da Paolo Orsi e l’opera ben più enciclopedica di Biagio Pace e quella fondamentalmente più classificatoria di Luigi Bernabò Brea e del suo epigono Sebastiano Tusa, la restrizione all’ambiente ibleo (oggi amministrativamente suddiviso nelle tre ex province di Siracusa, Ragusa e Catania ma antropologicamente e culturalmente omogeneo e compatto), permette a Frasca di esaminare con maggior profondità le dinamiche che portarono all’indomani dell’arrivo dei coloni greci nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., all’acculturazione e allo sviluppo delle società indigene locali, in quel processo spesso definito di “ellenizzazione”.
Convinto che sia da correggere la tendenza tutta accademica di interpretare supinamente il dato archeologico al fine di confermare gli elementi della tradizione storica, Frasca cerca di sfatare alcuni “miti”. L’arrivo dei coloni chiude la c.d. fase di Pantalica Sud (850-733 ca. a.C.), terzo dei quattro periodi in cui Bernabò Brea aveva suddiviso la protostoria isolana. Gli insediamenti siculi, privi di fortificazioni, erano di solito posti sulla sommità di una collina alle cui pendici si estendeva la o le necropoli costituite da piccoli gruppi di tombe a grotticelle. A Siracusa e nel colle di Metapiccola a Lentini, furono rinvenuti resti di capanne sia di forma circolare che quadrangolare, ma la loro datazione risale al periodo precedente l’arrivo dei coloni, ovvero alla fase di Cassibile (1050-850 a.C.). Gli unici dati utili provengono dallo studio delle vaste (e saccheggiate) necropoli indigene: i corredi superstiti costituiscono gli unici indizi per determinare le usanze funebri dell’epoca, dove ad esempio, gli oggetti in ferro, ancora metallo raro, sono presenti sotto forma di ornamenti femminili e non come armi (segno questo forse di un’assenza di classe di guerrieri). La ceramica, probabilmente di uso domestico ed individuale e prodotta al tornio da botteghe, è rappresentata da un repertorio limitato di forme, alcune delle quali di origine peninsulare. L’analisi dei siti della prima età del Ferro (Pantalica, Monte Alveria, Avola antica, Monte Finocchito) fa ritenere come solo gli ultimi due abbiano realmente interagito nella successiva fase storica con i coloni greci, subendone l’influsso culturale e politico.
I contatti “precoloniali” che gli accenni nelle fonti antiche lasciano intuire trovano un supporto archeologico nei materiali rinvenuti nella necropoli (sostanzialmente inedita) di Villasmundo, nella valle del fiume Marcellino, nei pressi di Megara Iblea, dove si dovrebbe anche secondo Frasca identificare la capitale Hybla del re siculo Hyblon, che aiutò i Megaresi ad installarsi nel sito costiero. 2 La presenza inoltre di ben 23 scarabei egizi appartenenti al Terzo periodo intermedio (1070-656 a.C.), simili ad esemplari rinvenuti a Pitecusse, testimoniano gli stretti contatti del sito con il commercio euboico e fenicio. La stessa impronta euboica mostrano le necropoli (ed i relativi villaggi ignoti) che si trovavano attorno al sito della futura colonia calcidese di Lentini. Ciò testimonierebbe così la tradizione di una convivenza pacifica dei due gruppi etnici all’indomani della fondazione la quale, anziché interrompersi con un atto violento si sarebbe risolta pacificamente con l’inglobamento degli indigeni nel corpo civico della apoikia greca. Decisione che potrebbe spiegare l’accertato incremento demografico sia di Lentini che di Megara Iblea e l’adozione da parte dei coloni di tecniche edilizie per le abitazioni e di alcune pratiche di sepoltura indigena nelle necropoli civiche.
Sull’isoletta di Ortigia, così come nella vicina penisola di Thapsos, sono state rinvenute tracce di villaggi siculi databili alla prima e media età del Bronzo, che all’arrivo dei Greci furono totalmente abbandonati. Tracce di presenza indigena però nei corredi funebri della necropoli arcaica del Fusco di Siracusa, così come nel santuario di Athena, fanno pensare ad una convivenza più o meno pacifica all’interno della nuova polis. Interpretazione questa che smentisce la vulgata della cacciata dei Siculi ed il loro asservimento da parte dei Corinzi di Archia. Già alla fine dell’VIII secolo a.C., i Siracusani inviarono un contingente di Siculi (o ne occuparono un sito abitato) alla foce del fiume Eloro (odierno Tellaro), fondandovi un emporion, piuttosto che un semplice phrourion o sub-colonia. Ciò spiegherebbe anche l’assenza del sito nell’excursus tucidideo sull’espansione siracusana nella cuspide sudorientale della Sicilia. Rimane dubbia però l’origine dei primi abitati di Eloro, dato che i materiali ceramici più antichi rinvenuti da Elio Militello e ritenuti imitazione indigena di ceramica greca, potrebbero essere invece prodotti di imitazione coloniale greca.3 Rispetto alla prima fase, il sito sul Monte Finocchito mantiene inalterata la sua cultura materiale, ma mostra dei piccoli segnali di cambiamento nelle pratiche funebri. Oltre all’importazione di ceramica greca di tipi attinenti all’attività simposiale (segno questo di un’avvenuta adozione del rituale greco per evidenziare lo status sociale del defunto), si ritrova nei corredi una ceramica indigena ibrida, nata dall’incontro della tradizione locale con gli influssi corinzi ed euboico-calcidesi. L’incremento demografico del sito sul Monte Finocchito va interpretato come effetto di una sorta di sinecismo spontaneo, all’indomani dell’arrivo dei Greci sulla costa.4 La scelta di questo sito, motivata non soltanto dalla sua relativa difendibilità ma anche dalla sua posizione strategica di transito da e per l’altipiano acrense, rispecchierebbe l’atteggiamento ambivalente dell’elite indigena, gelosa sì della sua indipendenza ma affascinata dalla cultura greca che i Corinzi, così come i Calcidesi nella zona settentrionale iblea, diffusero tramite anche i matrimoni misti. Alla successiva fondazione di Acre (664 a.C.) si ricollega la fine dell’insediamento indigeno sul Monte Finocchito, i cui abitanti potrebbero essere stati asserviti o forse integrati nel corpo civico della prima sub-colonia siracusana.5 La zona tra il fiume Irminio ad ovest e il Tellaro ad Est presenta scarse tracce di abitazione nel periodo precedente alla facies di Finocchito, quando si assiste alla creazione di grossi villaggi indigeni lungo le rive dei due fiumi (Irminio e Fiumara di Modica) che costituirono le principali vie di penetrazione per il commercio euboico già dalla fine dell’VIII secolo a.C. La compresenza di Greci nei siti indigeni prima ancora della fondazione di Camarina (598 a.C.) lascia supporre come Siracusa abbia tentato di assicurarsi il controllo della zona creando un emporion nel sito di contrada Maestro nel basso corso dell’Irminio. La stessa fondazione di Casmene (644 a.C.) avrebbe avuto non solo il compito di perseguire i contatti con la neonata ma attivissima Gela (680 a.C.) ma anche la funzione di controllo del valico di Buccheri che i Calcidesi stavano usando per giungere alla costa meridionale. Sul Monte Casasia, rilievo di spicco degli Iblei nordoccidentali, l’indagine archeologica ha portato alla scoperta di una necropoli e del relativo insediamento indigeno. Dallo studio dei materiali ceramici, appartenenti alla facies di Licodia Eubea, si deduce che la vita nell’abitato (dalla metà del VII alla fine del V secolo a.C.) sia stata influenzata dalle potenti poleis siceliote che tentarono alternativamente di assicurarsene il controllo: i Calcidesi di Lentini nel loro tentativo di farsi strada fino al Mediterraneo, avrebbero assunto il ruolo di controllori, anche se Gela ed in parte Siracusa riuscirono a far sentire la loro influenza, fino al momento in cui la zona ricadde nella chora della ribelle Camarina, al cui destino rimase legata fino alla distruzione cartaginese (405 a.C.). Anche nell’area di Acrille, sub-colonia acrense o siracusana del VI secolo a.C., furono rinvenute tracce di necropoli indigene ad inumazione che hanno restituito materiali ceramici della facies di Licodia Eubea e importazioni greche. Su una delle ultime propaggini occidentali degli Iblei, su di un colle posto a 20 chilometri ad Est di Camarina, in località Castiglione, sono stati rinvenuti un sito indigeno e due necropoli poste alle sue due estremità occidentale ed orientale. Il grosso agglomerato fortificato che si venne a formare quale nuovo esempio di sinecismo indigeno ha permesso di chiarire alcuni fenomeni di acculturazione tramite lo studio dei ricchi corredi funebri nelle sue necropoli (ad inumazione e a grotticelle). Correggendo l’edizione recente di Mercuri,6 Frasca ritiene che la vita dell’insediamento (e delle necropoli) sia partita dal 670-650 a.C. e che sia terminata alla fine del VI secolo per mano probabilmente delle armate geloe di Ippocrate. La scoperta della monumentale scultura funebre di un Guerriero nella necropoli orientale fa ritenere agli scopritori che anche qui ci fosse stato uno stanziamento greco, dedotto da Camarina per scopi commerciali.
Nelle sue conclusioni, Frasca basandosi su una mole di dati che gli permettono di tracciare un quadro storico ben più articolato del precedente, pur con qualche vuoto fisiologico (sono poco presenti i dati provenienti dall’altipiano acrense) e con qualche aporia ancora aperta (il rituale della tomba del Guerriero di Castiglione non potrebbe essere di origine geloa?), restituisce quindi, come già notato, una maggiore importanza al dato archeologico, troppo spesso usato a supporto delle ricostruzioni storiche basate sulle fonti.
In una veste tipografica più che dignitosa e quasi del tutto priva di refusi, con un apparato fotografico leggermente datato ma variegato, la pubblicazione è purtroppo priva di un estratto in qualsivoglia lingua straniera, e rischia dunque di trovar minore attenzione da parte del pubblico non italofono. D’altro canto però, il prezzo accessibile rende merito alla giovane casa editrice che può aggiungere così un’altra perla al suo piccolo catalogo amorevolmente dedicato alla grande isola di Sicilia.
Indice
Premessa (pp. 7-8)
Introduzione (pp. 9-13)
Capitolo 1: La prima età del Ferro. Le comunità indigene dell’altipiano ibleo prima dei Greci (pp. 15-50)
Capitolo 2: La seconda età del Ferro. I Greci negli Iblei. Gli indigeni tra Leontini e Megara Iblea (pp. 51-67)
Capitolo 3: La fondazione di Siracusa. Eloro, Acre e i Siculi di Monte Finocchito (pp. 69-96)
Capitolo 4: Gli Iblei centrali. I Siculi tra il Tellaro e l’Irminio (pp. 97-123)
Capitolo 5: Monte Casale e Monte Casasia: un sinecismo negli Iblei occidentali (pp. 125-147)
Capitolo 6: Gli Iblei occidentali. Castiglione: ancora un sinecismo tra l’Irminio e l’Ippari? (pp. 149-166)
Conclusioni (pp. 167-176)
Bibliografia (pp. 177-188)
Notes
1. P. Orsi, “La necropoli sicula del terzo periodo al Finocchito presso Noto (Siracusa)”, BPI, XX, 1894, pp. 23-26 e 37-71. Idem, “Nuove esplorazioni nella necropoli sicula del Monte Finocchito presso Noto (Siracusa)”, BPI, XXIII, 1897, pp. 157-197.
2. Fra i tanti cfr. M. Frasca, “Iron Age Settlements and Cemeteries in Southeastern Sicily: an introductory survey”, in R. Leighton (ed.), Early Societies in Sicily. New development in archaeological research, (London, 1996), p. 143.
3. Cfr. F. Copani, “Paesaggio ed organizzazione del territorio nella colonia siracusana di Eloro”, ASAtene, 83 (2005), p. 265. P.G. Guzzo, Fondazioni greche. L’Italia meridionale e la Sicilia (VIII e VII sec. a.C.), (Roma, 2011), p. 206.
4. M. Frasca, “La necropoli di Monte Finocchito”, in M. Frasca – D. Palermo, “Contributi alla conoscenza dell’età del Ferro in Sicilia: Monte Finocchito e Polizello”, CronA, XX, (Catania, 1981), p. 9. V. La Rosa, “Processi di formazione ed identificazione culturale ed etnica delle popolazioni locali in Sicilia dal Medio-Tardo Bronzo all’Età del Ferro”, in M. Barra Bagnasco, E. De Miro, A. Pinzone (eds.), Magna Grecia e Sicilia: Stato degli studi e prospettive di ricerca. Atti dell’incontro di studi (Messina, 2-4 dicembre 1996) Pelorias, 4, (Messina, 1999), p. 165.
5. Interessantissimi dati per l’altipiano acrense sono di recente stati offerti da S.A. Cugno, Dinamiche Insediative nel Territorio di Canicattini Bagni e nel Bacino di Alimentazione del Torrente Cavadonna (Siracusa) Tra Antichità e Medioevo, BAR International Series 2802, (Oxford, 2016). Per una bibliografia completa su Akrai, cfr. P.D. Scirpo, “Akrai/Acrae. A selected bibliography (1558-2015)”, in R. Chowaniec (ed.), Unveiling the past of an ancient town. Akrai/Acrae in south-eastern Sicily, (Warsaw, 2015), pp. 327-362.
6. L. Mercuri, La necropoli occidentale di Castiglione di Ragusa (Sicilia) (scavi 1969-1971), MonLincei, 68, (Roma, 2012).