Oggetto di questa recensione è la terza monografia di Andrea Debiasi. L’Autore ha in precedenza pubblicato, sempre presso lo stesso Editore, L’epica perduta. Eumelo, il Ciclo, l’occidente (2004),1 Esiodo e l’occidente (2008)2 ed una curatela, insieme ad altri studiosi, di scritti in onore di Lorenzo Braccesi.3
L’Autore deve la sua formazione a due esponenti di prima grandezza del classicismo italiano, Lorenzo Braccesi e Domenico Musti. Con estrema acribia e con Nachdenklichkeit, l’Autore ha sviluppato la capacità di coniugare esegesi letteraria, riflessione storica, meditazione iconografica. Poiché quest’approccio risulta massimamente convincente e l’Autore lo porta avanti con rigore, dovizia di documentazione, estrema puntigliosità, il giudizio generale è assai positivo. Infatti, il metodo di lavoro dell’Autore è solidamente storico e filologico, ed anche arricchito dall’ampiezza di prospettive e dalle notevoli implicazioni dovute all’impiego sapiente delle evidenze iconografiche. Testi e arti figurative si aiutano reciprocamente a ricostruire il quadro mitico. Inoltre, l’opera gode di un’amplissima disamina critica del materiale bibliografico. Si tratta di un lavoro assai pregevole, che impiega proficuamente il rapporto tra filologia, storia e archeologia; di passaggio, va piacevolmente sottolineato che il libro appare (cosa non comune per l’editoria scientifica) in un’elegante veste editoriale.
Nell’area di ricerca entro la quale si colloca il volume, la competenza raggiunta dall’Autore è massima. In primo luogo, va ricordato che egli frequenta questi temi da circa vent’anni. Infatti, come esplicitamente dichiarato nella Premessa, quest’opera trova la genesi attraverso una costante rielaborazione di studi, destinati dapprincipio ad articoli, seminari e convegni e che, per questo motivo, in prima pubblicazione sono apparsi in altra collocazione. L’Autore dichiara che essi sono stati ripensati, rivisti o aggiornati in vista di questo volume unitario e informa sul fatto che, avendo fatto tesoro di considerazioni e suggerimenti, offre una formulazione più piena e coesa, dando ulteriore pregnanza e solidità alle singole parti qui riunite.4 Queste ultime appaiono il frutto di un progressivo ampliamento e di un meditato approfondimento di un’area di interessi che appare in continuità col nucleo individuato già nelle monografie precedenti, rispettivamente rielaborazione della dissertazione di laurea e della dissertazione dottorale. Per questo motivo, è ventennale la frequentazione da parte dell’Autore dell’epica arcaica extraomerica.
La materia del volume è sostanzialmente divisa come indica il titolo: una prima parte è dedicata a Eumelo: un poeta per Corinto e una seconda parte a ulteriori divagazioni epiche. La prima sezione è la più ampia e si estende per 170 pagine, contando 5 capitoli. La seconda parte comprende rispettivamente 2 capitoli per il poema epico frammentario Alcmeonis, un capitolo per il poema epico frammentario Naupaktia e un capitolo per i frammentari Miniade e Atthís. Chiudono il volume una notevolissima bibliografia (34 pagine) ed un utilissimo indice analitico.
La prima parte ha il suo centro nell’individuazione di testi che possono essere attribuiti alla figura di Eumelo di Corinto. Egli, secondo quanto argomenta l’Autore, fu cantore dell’età bacchiade e riunì i principali filoni mitici, piegandoli e talora manipolandoli, anche con una certa libertà. Richiamando gli elementi che attribuissero centralità nel quadro mitico alla sua patria, nobilitò Corinto ed esaltò il genos al potere al suo tempo, cui egli stesso appartenne. Lavorando sull’asse genealogico, l’aedo inserì in un’opera unica parecchie rapsodie, che l’Autore cerca di rintracciare. Nei capp. I-II vengono trattati POxy XXX 2513 e POxy LIII 3698, vergati dalla medesima mano. L’Autore li attribuisce ai Korinthiaká di Eumelo e, partendo da quest’assunto, cerca di ricondurre ad un’unità tematica i testi, incentrati su Ifigenia e le nozze di Giasone e Medea. Inoltre, la facies di questi testi è indubitabilmente arcaica. Il capitolo III tratta dell’Arca di Cipselo dedicata presso il santuario di Olimpia, un manufatto artistico noto per tradizione indiretta (descrizione in Pausania 17,5-19,10). Una delle peculiarità della cassa è quella di presentare, oltre alle scene istoriate, delle iscrizioni. Le scritte, in caratteri arcaici, in alfabeto corinzio, disposte in modo lineare o spiraliforme, si accordano con l’uso narrativo e decorativo della ceramica corinzia coeva. Pausania attribuisce con riserva le iscrizioni ad Eumelo. A causa del problema cronologico (Eumelo è d’età bacchiade, mentre il manufatto è datato al VI a.C.), la critica ha ignorato o rifiutato l’opinione di Pausania; tuttavia l’Autore, esaminando le scene istoriate e le scritte, suppone che l’intera decorazione derivi dai Korinthiaká e che sottolinei la sostanziale continuità politica tra Bacchiadi e Cipselidi. Nei capitoli 4 e 5 centro del discorso è Dioniso. Secondo l’Autore, l’interesse di Nonno di Panopoli si sarebbe concentrato sull’ Europia di Eumelo, scritto (poema? rapsodia?) spiccatamente dionisiaco in stretta connessione con la Titanomachia e i Korinthiaká). Nel canto di Eumelo Dioniso occupò un ruolo rilevante perché posto strettamente in relazione a Tebe, per sottolineare il rinnovato dialogo politico-culturale tra Corinto e Tebe nell’età bacchiade. All’ Europia l’Autore riconduce anche due frammenti esametrici ( POxy XXX 2509 e Apollodoro III 4, 4 § 32) relativi ad Atteone, reo d’aver bramato Semele, la futura madre di Dioniso.
Dal capitolo VI in avanti si tratta l’epica minore: l’ Alcmeonis viene collocata dall’Autore all’interno della cultura corinzia dell’epoca dei Cipselidi. A mio parere, la parte più convincente del volume, per l’impianto metodologico che sorregge l’argomentazione. I Naupaktia, che Pausania ritiene essere di Carcino di Naupatto, vengono attribuiti all’evanescente Epimenide di Creta. A mio parere, il tentativo meno convincente del volume, per l’esile fondatezza dell’attribuzione. Chersia di Orcomeno, citato da Pausania come autore di due epigrammi funebri dedicati ad Esiodo, è indicato come probabile autore dell’epos locale Miniade, che doveva incentrarsi sulla mitistoria di Orcomeno. Nel poema si profilano personaggi quali Meleagro, Teseo, Piritoo ed Eracle. Queste figure si rivelano congruenti anche con l’ Atthis di Egesino, un altro epos ricostruito a partire da testi esigui e testimonianze indirette in Pausania. Queste due opere omologhe – se non coincidenti – mostrano un’interazione di elementi beotici e attici che acquistano rilievo se letti a confronto con i Korinthiaká.
Una prima lettura ha messo in luce un aspetto non positivo: in pagine differenti intere espressioni assai simili si ripetono. Forse, il caso più evidente, perché si colloca all’inizio del libro e riguarda frasi intere (quasi uguali) in due capoversi è il seguente:
Ora, è estremamente significativo che l’episodio degli Argonauti a Corcira, tutto imperniato sul matrimonio, presenti, così com’è narrato da Apollonio Rodio, tratti riconducibili all’epos di Eumelo. Il quale nel suo poema, riguardante – a partire dai prodromi mitici – Corinto e il suo territorio, assegnava ampio spazio alla saga argonautica, assimilando la maga e alchimista Medea della leggenda con l’entità omonima, dai tratti ctonii marcati, radicata nelle più antiche tradizioni corinzie.
In quest’opera anche le nozze di Medea e Giasone risultavano funzionali a Corinto e alla sua mitistoria, sancendo formalmente un’unione tra le due casate—quella di Elio, nonno di Medea, e quella di Sisifo, prozio paterno di Giasone—succedutesi l’una di seguito all’altra nella gestione del regno corinzio.
La parte di testo (qui riportata in corsivo e senza le note dell’Autore) si ritrova uguale sia a p. 18 che a p. 26. Questo fenomeno, mentre appare ammissibile in una miscellanea di saggi variamente apparsi, in presenza di un’esplicita dichiarazione di rivisitazione, aggiornamento o riscrittura dei contributi (a p. 9), appare meno giustificabile. Il lettore è indotto a chiedersi se queste tre azioni fossero realmente giunte a sufficiente maturazione e può sospettare che ci sia stata un’eccessiva fretta. Inoltre, per tutta l’opera, fa bella mostra di sé una forma grafica della lettera κ che ha il difetto di non appartenere al medesimo set tipografico del font selezionato per i caratteri del greco antico. Tali sviste mi hanno suscitato la sensazione di una mancanza di sufficiente cura editoriale.
Una seconda impressione non positiva (però, soggettiva): l’opera aderisce al genere del saggio filologico, usandone molti stilemi tipici; ma, secondo il mio gusto, la forma espositiva non consente una leggibilità sufficiente. Il lettore è fiaccato da un periodare eccessivamente articolato, da un fraseggio non lineare, appesantito da una mole di note a piè di pagina, decisamente impegnative, che affaticano la lettura. Dubitativamente, la volontà di restare fedele alle caratteristiche del genere, ha impedito all’Autore un diverso dosaggio delle informazioni tra note e corpo del testo e una formulazione più piana.
Andando oltre le due impressioni non positive, si deve entrare nel merito. Va sottolineato che l’Autore, pur impegnato in un’esegesi caratterizzata da un elevato numero di congetture e pur impiegando un tono complessivamente troppo poco dubitativo, maneggia solo testi frammentari e testimonianze indirette e, quindi, non potrebbe operare altrimenti. Sarebbero da valutare i percorsi ipotetici tracciati dall’Autore; ma, quest’operazione, per evidenti limiti di spazio, non può avvenire qui. Per discutere le singole posizioni dell’Autore c’è necessità di altrettanti saggi.
La mia lettura di quest’opera è stata pervasa da questa sensazione: incessantemente, quest’opera stimola la stesura di saggi. Ogniqualvolta interrompevo la lettura, dovevo tornare a completarla. È un libro magnetico. I ragionamenti sono tutti in parte opinabili, ma ciò offre un continuo stimolo a scrivere. Se avessi annotato ogni riflessione che il testo mi ha spinto a fare, adesso avrei un’enciclopedia davanti. Poiché è oggettivo che l’Autore sviluppa ragionamenti caratterizzati da rigore logico e buon senso, essi, quand’anche fossero non del tutto convincenti, non sono mai liquidabili. Vanno analizzati, valutati, discussi, e almeno altrettanto bene controargomentati, se si vogliono controbattere. Se le parole dell’Autore non possono mai essere tralasciate, questo è il suo imprescindibile successo: aver creato un punto di riferimento ineludibile per lo studio dell’epica arcaica extraomerica.
È indubitabile che il volume sia pregevolissimo, di grandissimo spessore, fondato su un approccio lucidissimo, accompagnato da un ricchissimo corredo bibliografico puntualmente vagliato e discusso. Il tempo renderà un classico quest’opera di Debiasi.
Notes
1. Debiasi, A. L’epica perduta. Eumelo, il Ciclo, l’occidente. Roma: « L’Erma » di Bretschneider, 2004.
2. Debiasi, A. Esiodo e l’occidente. Roma: « L’Erma » di Bretschneider, 2008.
3. Bassani M. – Debiasi A. – Pastorio E. – Raviola F. L’indagine e la rima. Scritti per Lorenzo Braccesi. Roma: « L’Erma » di Bretschneider, 2013.
4. Cap. I = POxy LIII 3698: Eumeli Corinthii fragmentum novum? in ZPE 143, 2003, 1-5; Cap. II = POxy XXX 2513: Ifigenia nei Korinthiaká di Eumelo in ZPE 184, 2013, 21-36; Cap. III = Eumeli Corinthii fragmenta neglecta? in ZPE 153, 2005, 43-58; Cap. IV = fusione di Riflessi di epos corinzio (Eumelo) nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli in P. Angeli Bernardini (a cura di), Corinto: luogo di azione e luogo di racconto, Pisa-Roma, 2013, 107-137 e Trame euboiche (arcaiche ed ellenistiche) nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli: Eumelo ed Euforione in F. Raviola, M. Bassani, A. Debiasi e E. Pastorio (a cura di), L’indagine e la rima. Scritti per Lorenzo Braccesi, Roma 2013, pp. 503-545; Cap. V = Dioniso e i cani di Atteone in Eumelo di Corinto (Una nuova ipotesi su POxy. XXX 2509 e Apollod. 3.4.4), in A. Bernabé, M. Herrero de Jáuregui, Jiménez San Cristóbal e R.M. Hernández (a cura di), Redefining Dionysos, Berlin-Boston: De Gruyter, 2013, 200-234; Cap. VI = versione accresciuta di Alcmeonis in M. Fantuzzi, C. Tsagalis (eds.), The Greek Epic Cycle and Its Ancient Reception. A Companion, Cambridge: Cambridge University Press, 2015; Cap. VII = abbozzato online su CHS Research Bulletin e in inglese The ‘Norm of the Polyp,’ the Alcmeonis and the Oracle of Amphiaraus in Trends in Classics 5, 2013, 195-207; Cap. VIII = in Eikasmós 14, 2003, 91-101; Cap. IX = nessuna informazione; Cap. X = presentato al convegno “Tradizioni locali e generi letterari nella Grecia arcaica. Epos minore, lirica ed elegia, storiografia” (Venezia 2006) e pubblicato come Orcomeno, Ascra e l’epopea regionale ‘minore’ in E. Cingano (a cura di), Tra panellenismo e tradizioni locali: generi poetici e storiografia, Alessandria, 2010, 255-298.