La presente edizione dei frammenti e delle testimonianze di Cecilio di Calatte è parte di un più ampio progetto editoriale dedicato da Woerther alla retorica di epoca ellenistica, che ha già visto la pubblicazione, nella Collection des universités de France, delle edizioni di Ermagora di Temno (BMCR 2012.12.61) e, successivamente, di Apollodoro di Pergamo e Teodoro di Gadara. Una nota introduttiva fornisce una sintesi delle scarse informazioni in nostro possesso sulla vita e sulle opere di Cecilio, personaggio di origine servile e di fede ebraica, di cui si ignora la data di nascita, ma la cui attività di insegnante di retorica è verosimilmente da collocarsi in epoca augustea. La sua ampia produzione viene ricondotta da Woerther a sei ambiti: 1) la storiografia, documentata da due titoli: Sulle guerre servili e Sulla storia; 2) la dottrina retorica, incentrata sull’argomentazione e a cui sarebbe da ricondurre anche la testimonianza di un’anonima Ars rhetorica (P. Oxy. 3708, frg. 2, p. 73.36-44 Haslam), che attribuisce a Cecilio la codificazione del τόπος della ὑπόληψις “pregiudizio” (questo testo, non ancora presente nell’edizione di Ernst Ofenloch, Leipzig 1907, è stato inserito tra i frammenti di Cecilio solo a partire dall’edizione di Irene Augello, Cecilio di Calatte. Frammenti di critica letteraria, retorica e storiografia, Roma 2006, frg. 44 di sede incerta); 3) la dottrina delle figure retoriche, che, a quanto pare, non comprendeva i tropi; 4) la dottrina del sublime, oggetto degli attacchi dello ps.Longino; 5) osservazioni critiche sugli oratori (Antifonte, Demostene, Eschine, Isocrate, Lisia), che riguardano l’autenticità e la cronologia relativa delle orazioni, forniscono notizie sulla vita e sulla formazione dell’oratore, esprimono valutazioni sullo stile e sulla struttura delle orazioni; questi materiali provengono dai trattati: Comparazione di Demostene e Cicerone; Comparazione di Demostene e Eschine; Su Demostene: quali sono i suoi discorsi autentici e quali quelli apocrifi; Le differenze tra il gusto attico e quello asiano, che testimonia la partecipazione di Cecilio al dibattito su asianesimo e atticismo; Il carattere stilistico dei dieci oratori, la cui perdita è particolarmente grave perché il trattato consentirebbe di fare luce sul dibattuto problema del canone dei dieci oratori; 6) gli studi di lessicografia, che documentano l’interesse di Cecilio per i termini giuridici e storici, ma che potrebbero essere legati anche alla polemica tra asianesimo e atticismo, come sembra testimoniare il lessico Contro i Frigi (in ordine alfabetico). Le testimonianze e i frammenti sono organizzati in sei sezioni: notizie preliminari sulla vita e sull’opera del retore; la dottrina retorica, dove vengono collocate le testimonianze relative alla teoria dell’argomentazione; la teoria delle figure; la concezione del sublime; osservazioni critiche sugli oratori e su altri autori; definizioni di termini tecnici. L’edizione è corredata da due utili strumenti: un indice dei termini retorici greci e latini e un repertorio bio-bibliografico delle fonti, che si rende particolarmente necessario, perché alcuni dei testi e degli autori citati possono risultare meno noti al lettore non specialista di retorica o richiedere una competenza settoriale, come ad es., oltre alla sopra citata Ars rhetorica, il frammento di una anonima biografia De Aeschine (v. infra).
L’edizione di Woerther presenta significative innovazioni rispetto a quella di Ofenfloch, che ha costituito per lungo tempo l’edizione di riferimento, e a quella più recente della Augello: innanzitutto viene tracciata una distinzione tra testimonianze e frammenti, ossia le citazioni verbatim dell’opera di Cecilio; inoltre vengono pubblicati solo i frammenti e le testimonianze esplicitamente attribuiti dalle fonti a Cecilio, secondo un condivisibile principio inaugurato dalla edizione della Augello; l’edizione di Woerther si differenzia da quelle precedenti anche per il taglio delle testimonianze e dei frammenti, che esclude il cotesto, cioè l’immediato contesto verbale, che è oggetto di analisi nell’ampio ed esauriente commento, una scelta editoriale che consente una migliore messa a fuoco delle informazioni riguardanti specificamente Cecilio senza nulla togliere all’esatta comprensione del contesto in cui la testimonianza si inquadra. Notiamo però che l’Editrice non è sempre coerente nell’applicazione di questo criterio: della testimonianza della Souda (T 588 Hesychius, IV p. 549.14-21 Adler = T 3 Woerther), secondo cui Cecilio fu contemporaneo del retore Timagene, viene citato sia il cotesto che precede la frase contenente le notizie su Cecilio (“Timagene insegnò… sotto Cesare Augusto e in seguito, durante la stessa epoca di Cecilio”), sia quello successivo, che, a ben vedere, riguarda solo Timagene e viene pertanto escluso dalle edizioni di Ofenloch e della Augello. Tra le innovazioni della edizione di Woerther è da segnalare anche l’esclusione di Quintiliano 8.3.35, inserito da Ofenloch tra i frammenti di sede incerta (frg. XIV 168) e dalla Augello tra quelli di incerta attribuzione (frg. 45): Caecilius a Sisenna ‘albenti caelo’ (scil. putat primum dictum esse); la motivazione è che la lezione c(a)ecilius sarebbe documentata solo dal testimone più recente, l’Harleianus 2662 (sec. XV), per cui l’Editrice si attiene al testo dell’ Institutio oratoria pubblicato da Michael Winterbottom (Oxford 1970), che stampa, considerandola irrimediabilmente corrotta, la lezione cincilius di A (Ambrosianus lat. E. 153 sup., sec. IX). Preciserei però che la lezione caecilius è già attestata dal più antico T (Turicensis lat. 288, sec. XI) e viene pertanto accolta nell’edizione dei libri ottavo e nono dell’ Institutio oratoria curata da Jean Cousin (Paris 1978); l’obiezione di Woerther (p. xxv-xxvi)1 secondo cui Cecilio, pur essendo autore di una Comparazione di Demostene e Cicerone, non avrebbe avuto una conoscenza della letteratura latina sufficientemente approfondita per stabilire se l’espressione albenti caelo fosse stata introdotta da Sisenna, non mi sembra decisiva, perché non è possibile stabilire con esattezza quale fosse il livello di competenza del retore di Calatte in materia di lingua e letteratura latina. Notiamo, infine, che Woerther mantiene tra i frammenti di Cecilio, classificandolo come incertum, l’ Ineditum Vaticanum (Vat. gr. 435, fol. 220), una raccolta di “apoftegmi romani di Pluta[rco o] Cecilio”, come recita il titolo del manoscritto; il testo era già presente nell’edizione di Ofenloch ( Appendix, p. 206.6-210.27 = F 4 Woerther) ma è stato escluso dalla Augello. Woerther (p. 143) avanza dubbi sulla tesi di Michel Humm,2 che considera l’ Ineditum Vaticanum un florilegio di citazioni storiche e filosofiche verosimilmente compilato in epoca augustea da Cecilio di Calatte, perché la forma in cui sono riportati i discorsi dei personaggi citati e il commento filosofico e storico che li accompagna non sembrano riflettere un approccio proprio di Cecilio. Il testo pubblicato da Woerther riproduce quello di Ofenloch, che è stato verificato sul manoscritto della biblioteca Vaticana; le divergenze rispetto al testo di Ofenloch sono limitate a qualche errore (p. 27.8 Woerther περίττας; Ofenloch περιττὰς; p. 29.14 Woerther τῶν θαλαττίαν; Ofenloch τῶν θαλαττίων; p. 29.29 Woerther ἐπιμεμαρτυρημένεα; Ofenloch ἐπιμεμαρτυρημένα).
Il testo critico non presenta significative innovazioni rispetto a quello delle precedenti edizioni di Cecilio: eventuali divergenze sono da attribuire, nella maggior parte dei casi, all’uso di edizioni di riferimento più recenti o considerate più affidabili, e del relativo apparato critico. Woerther, ad es., mantiene ἀνάλλαξιν stampato nell’edizione della Bibliotheca di Fozio (Codex 259, 485 b 14-21 = T 35 Woerther = frg. VII 103 Ofenloch = frg. 25 Augello) curata da René Henry (Paris 1959-1991), da cui riprende anche la traduzione “inversion des termes”, da intendersi con riferimento alla violazione dell’”ordine naturale dei concetti” τῆς φυσικῆς αὐτῶν ( scil. νοημάτων) ἀκολουθίας; il lemma, però, non è registrato nei principali lessici greci ( TGL, LSJ, Geoffry William Hugo Lampe, A Patristic Greek Lexicon, Oxford 1961) e non è accettato dalla Augello, che, pur citando dall’edizione di Henry, stampa ἐνάλλαξιν, che Ofenloch riporta in apparato come lezione dei codici e che compare nell’edizione di Immanuel Bekker (Berolini 1825). La lezione ἐνάλλαξιν è dubbia perché non indica l’”inversione”, come traduce la Augello, ma il cambiamento di caso, tempo, persona, numero, genere (ps.Longin. De subl. 23.1), una figura che Cecilio non denomina ἐνάλλαξις ma ἀλλοίωσις (T 25 Woerther = Tiberius De figuris Demosthenicis, 47.1-3, p. 42.10-12 Ballaira). Per questo motivo appare plausibile l’emendamento ἐξάλλαξιν di Blass accettato da Ofenloch e basato sullo stretto parallelo tra il testo di Fozio (τροπὴν δὲ ἐκ τοῦ πανούργου καὶ ἀνάλλαξιν) e il frg. 50.3 Patillon-Brisson di Cassio Longino (τροπὴ ἐκ τοῦ πανούργου καὶ ἐξάλλαξις), citato da Woerther a p. 106-107; Patillon e Brisson attribuiscono al termine il senso di “entorses à l’usage”, secondo un uso documentato in Alessandro di Numenio ( De figuris sententiarum et elocutionis 1.2 Rhet. Gr. 3.11 Spengel), che definisce le figure di parola o di significato ἐξάλλαξις λόγου, ossia un mutamento del linguaggio che devia rispetto all’uso ( ibid. οὐκ ἐπ’εὐθείας ἐκφέρεται ὁ λόγος). Di tutta questa complessa problematica critico- testuale non c’è traccia nell’apparato di Woerther. Tra gli interventi dell’Editrice mi limito a segnalare l’emendamento Ἀλβανῷ ( Souda T 588 Hesychius, IV p. 549.14-21 Adler = T 3 Woerther) per Ἀλβάνῳ (emendamento stampato da Adler, per Δαβάνῳ della tradizione manoscritta), che non tradurrei, però, “à Albe” ma “nella campagna di Alba” ἐν Ἀλβανῷ ( scil. ἀγρῷ: cfr. supra ἐν ἀγρῷ… Τουσκλάνῳ λεγομένῳ).
Consideriamo ora alcuni luoghi meritevoli di discussione. Ps.Longino ( De subl. 1.1-2 = T 28 Woerther) conclude la sua critica al trattato di Cecilio sul sublime elogiandone “il proposito e lo zelo” (Woerther: “son dessein lui-même et son ingéniosité”); mi sembra però che questa ammissione sia indizio troppo labile per trarne la conclusione che “sans doute faut-il en conclure qu’il a été le tout premier auteur à avoir traité de la notion de sublime” (p. 99). Nella coeva teoria retorica di Dionigi di Alicarnasso l’ὕψος è classificato tra le virtutes dicendi accessorie ( De Thuc. 23.6), a cui corrisponde nel sistema dei genera dicendi l’ὑψηλὸς χαρακτήρ ( De Dem. 33.3); la mancanza di elementi che consentano di fissare una cronologia relativa del trattato di Cecilio e delle opere di Dionigi rende impossibile dimostrare che il retore di Calatte sia stato il primo a codificare la nozione di sublime.
Secondo una anonima vita [De Aeschine] (p. 6.9-18 Dilts = T 39 Woerther) Cecilio avrebbe contestato l’affermazione di Demetrio Falereo, secondo cui Eschine sarebbe stato allievo di Socrate e di Platone, con la motivazione che lo stile di Platone è εὔρυθμον mentre quello dell’oratore risulta κεχηνυῖα ( scil. ἡ ἰδέα τοῦ λόγου), “grossière”, secondo la traduzione di Woerther, che segue la Augello: “sboccata”. Questa interpretazione appare però insoddisfacente perché, nella terminologia della stilistica, χαίνω descrive l’ampia apertura della cavità orale durante l’articolazione dello iato: Filodemo Poet. Tractatus primus (PHerc. 994) coll. 33.21-34.1 Sbordone τὸ δ’ (ἐ)κ τῶ(ν φ)ωνηέντων πως [φώ]νημά τ[ι] κεχηνότι τῶ<ι> στόματι τὴν τοῦ συμ<π>επεδηκ(ότ)ος καὶ συνηρμένου φαντασίαν δυνατὸν γίνεσθαι “Il suono poi che risulta in qualche modo dal succedersi di vocali stando a bocca aperta è capace di diventare l’impressione di ciò che impaccia ed è tenuto legato” (trad. Sbordone). Κεχηνυῖα indica quindi uno stile pieno di iati, come ha convincentemente dimostrato Jan Fredrik Kindstrand, The Stylistic Evaluation of Aeschines in Antiquity, Uppsala 1982, p. 43 (non citato da Woerther); Kindstrand porta a sostegno di questa interpretazione l’uso di κεχηνέναι riferito a uno stile pieno di iati in Ermogene De id. 2.1.32 e Schol. in Herm. De id. p. 891 Walz, dove uno stile κεχηνυῖα e pieno di iati è definito anche ἄρρυθμος; a queste testimonianze aggiungerei τὸ κεχηνώδες “ciò che forma iato” in Schol. in Dionys. Thr. GG 1.3 p. 146.34 Hilgard. Non costituisce valida obiezione all’interpretazione di Kindstrand il fatto che Cicerone ( Orat. 110) riconosca a Eschine la levitas, la “levigatezza” che deriva dall’eliminazione dello iato (Cic. De orat. 3.171), perché fonti diverse possono esprimere valutazioni divergenti in merito a uno stesso autore.
Nel complesso il volume rappresenta uno strumento valido e affidabile per lo studio della figura di Cecilio in quanto prosegue in quella condivisibile operazione critica, iniziata da Irene Augello, che mira a rimuovere dalle testimonianze sul retore di Calatte materiali spuri o di dubbia attribuzione, anche se è possibile che qualche lettore possa manifestare perplessità su questa consistente sfrondatura.
Notes
1. Tesi sostenuta da Ludwig Radermacher, “Caecilius von Kaleakte oder Verrius Flaccus bei Quintilian?”, Wiener Studien 52, 1934, pp. 105-115, a p. 110.
2. “Des fragments d’historiens grecs dans l’ Ineditum Vaticanum ? in Marie-Laure Freyburger, Doris Meyer (éd.), Visions grecques de Rome. Griechische Blicke auf Rom, Paris 2007, pp. 277-318, a p. 288-289.