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Il libro di Giovanni Brizzi è l’ultimo prodotto di una lunga serie di studi che si propongono di indagare i rapporti tra Romani e Giudei nel periodo della cosiddetta ‘Grande Rivolta’, scoppiata nel 66 d.C. Sono due le principali prospettive seguite dal volume: l’aspetto militare (in particolare il rapporto con la guerriglia, forma di combattimento in cui Roma non era versata) e il confronto con la cultura ebraica (un’ottica quasi teocentrica e ostinatamente contraria a qualsiasi dominazione straniera a livelli che l’Impero non incontrò più nel corso della sua storia).
Il volume è diviso in tre parti. La prima (pp. 3-122), organizzata in 10 capitoli, tratta del periodo precedente l’inizio della guerra giudaica e si configura come un’introduzione storica e culturale. La seconda (pp. 123-280), divisa in 14 capitoli, concerne specificamente lo svolgimento e le dinamiche della Guerra Giudaica. La terza e ultima parte (pp. 281-340), in 3 capitoli, è incentrata su questioni più tecniche, inerenti all’armamento, alla strategia e alla tattica, e contiene alcune riflessioni generali sulla presenza romana in Giudea. Concludono il volume tre appendici (pp. 341-366), che approfondiscono rispettivamente: la posizione di Roma di fronte a Giudaismo e Cristianesimo, avvertiti già alla metà del I sec. d.C. come realtà distinte; la rivolta degli Ebrei di Mesopotamia guidata da Anilaios; la cosiddetta ‘gloria partica’ di Traiano. Una tavola cronologica degli eventi completa il lavoro nella sua parte descrittiva.
L’analisi dei diversi modi cogitandi di Romani ed Ebrei è punto cardine del volume. Brizzi ripercorre da un lato l’ideologia romana, specialmente bellica, imperniata concettualmente sulla fides e attivamente sulla battaglia campale, dall’altro l’ideologia giudaica, che si rifà rigidamente alle leggi religiose ebraiche e non tiene conto in alcun modo, pertanto, della potenza militare raggiunta dai Romani («un rifiuto nei confronti di Roma che, nelle proporzioni almeno, rimase unico in tutta l’antichità», p. 6). Nella sconfitta di Crasso a Carre, Brizzi individua uno dei fattori scatenanti la presa di coscienza, da parte degli Ebrei, della possibilità di vincere i Romani in battaglia. La prima parte del libro si conclude, sostanzialmente, con una sintesi completa delle fasi della presenza romana in Giudea, includendo la campagna di Ventidio Basso, la figura di Erode (interpretata come centrale) e il suo regno, il regno di Archelao, la provincializzazione e la nascita del brigantaggio antiromano.
Nella seconda parte, dopo un’introduzione metodologica sulla tipologia delle fonti inerenti al periodo della Rivolta (di stampo mistico-profetico, dunque di difficile interpretazione), l’incompatibilità tra i rispettivi modi cogitandi di Ebrei e Romani è individuata come motore primo della Grande Rivolta. Causa di fatto è la «stolida vendetta» (p. 142) del governatore Floro contro i sobillatori del popolo, che sempre più apertamente avversavano lo strapotere romano (nonostante il fatto che l’influente legato di Siria fosse già intervenuto per tentare di venire a capo della situazione). Molto rilevanti sono le considerazioni sulla figura di Giuseppe Flavio, fonte principale dell’autore: Brizzi, rispetto ad altri studiosi come Emilio Gabba, delinea una personalità molto più acuta. Le capacità di Giuseppe Flavio emergono nell’analisi del rapporto tra forze romane messe in azione e territorio conquistato (troppo esiguo) e nelle sue valutazioni generali inerenti alle caratteristiche della forza romana. L’opinione di Brizzi è che lo scrittore ebreo sia stato tacciato a torto di una visione essenzialmente ed esclusivamente giudaica. Tale sottofondo culturale è certamente presente; nelle considerazioni di Giuseppe Flavio si trova, però, una comprensione di alcuni aspetti (come quelli militari sopra ricordati) che mostra un tentativo, piuttosto riuscito, di pensare come un Romano o un Greco, e non come un Giudeo. Inoltre, a Giuseppe Flavio è attribuita, con il beneficio del dubbio, un’ulteriore azione: per Brizzi, è verisimile che l’annuncio- omen dell’imminente salita al soglio imperiale di Vespasiano risponda a considerazioni politiche sviluppatesi in area orientale che vedevano nel generale il miglior candidato alla carica, anche in un momento di apparente solidità del trono (poco tempo prima era avvenuto il suicidio di Corbulone). Giuseppe Flavio sarebbe stato, di conseguenza, uno dei primi uomini politici ad intuire la piega politica dei futuri eventi, godendo del favore di Vespasiano proprio per l’appoggio (non solo suo, ma di un’intera area dell’Impero) della cui notizia era latore.
Di pari importanza è l’analisi di Brizzi delle scelte militari del legato Cestio e dei primi scontri tra Roma e Giudei, rivolta da un lato alle numerose divisioni politico-religiose interne degli Ebrei, dall’altro alla forza dell’elemento sorpresa che contraddistingue la tecnica di guerriglia giudaica. Riguardo a questa, Brizzi la caratterizza come un’ulteriore peculiarità della Grande Rivolta (anche se non va dimenticato che la guerriglia era già stata conosciuta dai Romani contro Sertorio in Spagna, dunque non era totalmente nuova per Roma, seppure la guerriglia celtiberica preceda di più di un secolo la Grande Rivolta; Sertorio non è nominato nel volume).
Proprio in questo frangente, Nerone nomina Vespasiano comandante dell’esercito di stanza in Giudea. Brizzi commenta positivamente la scelta di Vespasiano di mantenere unito l’esercito per una guerra d’assedio, nell’impossibilità di condurre una campagna usando la stessa tattica di guerriglia dei Giudei (p. 181). Prima impresa degna di nota della guerra giudaica è l’assedio di Iotapata, cui è dedicato l’intero cap. 13. L’analisi strutturale della città di Gerusalemme e la puntuale descrizione delle armate in campo, condotte con evidente esperienza di storia militare, fungono da introduzione tecnica al racconto dell’assalto alla città, diviso in momenti diversi spezzati dalle ripetute richieste di Tito di venire a patti con gli Ebrei per risparmiare la battaglia ad entrambi gli eserciti. Domina questa parte proprio la figura di Tito, non solo per la conduzione dell’assedio di Gerusalemme e per la risposta alla rivolta di Simone Bar Giora, ma anche per la sua particolare attitudine ‘filantropica’, dimostrata dalla ripetuta volontà del futuro princeps, secondo le fonti, di non concludere la guerra con una carneficina.
L’ultima, strenua resistenza ebraica convince infine Tito a proclamare che avrebbe «rigidamente applicato le leggi di guerra» (p. 267), un cambiamento di prospettiva che porta alla fine del conflitto, con la violenta repressione dell’ultima roccaforte, Masada (cap. 24), il cui assedio è descritto con rinnovata acribia, specie negli aspetti militari.
Nella terza parte, la divisione tra ‘briganti’ e ‘guerriglieri’ è affrontata allo scopo di definire la vera anima della resistenza giudaica. Brizzi sostiene significativamente che l’instabilità endemica della zona è dovuta al fatto che «i Romani stessi dovettero sottovalutare in modo grave la realtà locale, al punto da considerare a lungo la Giudea come una provincia resa turbolenta da fenomeni sociali, ma non veramente a rischio di sollevazione» (pp. 288 s.). Tuttavia, la dispersione dei guerriglieri e il carattere disorganico degli attacchi e delle battaglie non possono vietare che il concetto di bellum possa essere riferito alla Grande Rivolta: la guerriglia è considerata a tutti gli effetti una tattica di guerra. Per Brizzi, inoltre, la scelta lessicale di Giuseppe nel definire lestrikoì ‘briganti’ i combattenti clandestini ‒ scelta lessicale compiuta allo scopo di adattarsi al pensiero polemologico romano ‒ deriva dalla volontà di stemperarne le colpe: lestrikòs corrisponde al latro latino, la cui colpa è inferiore a quella del rebellis, colui che contro la fides ri- prende in mano le armi. Se ogni rebellis è latro, non ogni latro è rebellis, dunque anche questa accezione apparentemente negativa nasconde un significato più importante (p. 292). Segue queste considerazioni una descrizione dettagliata delle caratteristiche belliche dei popoli della zona, Parthi in primis. Molto interessante è la riflessione, nel capitolo 26, che individua tra i motivi della poca reattività dei soldati orientali del medio e basso Impero non solo ‒ e non tanto ‒ la loro pigrizia e neghittosità di fronte alle fatiche, ma soprattutto il loro assetto di guerra, specializzatosi non contro gli hippotoxótai parthici, bensì contro i fulminei guerriglieri ebrei (pp. 303 s.). L’ultimo capitolo è dedicato a riflessioni sul rapporto tra Roma e la guerriglia come forma di combattimento. Il periodo della II Guerra Punica, per l’autore, è curiosamente simile a quello della Grande Rivolta per la caparbietà con cui i Giudei, come i Romani di allora, si erano frapposti, quasi inspiegabilmente, al nemico, vincitore sotto tutti i punti di vista. In entrambi i casi, però, erano risultati vincitori i Romani, ai quali l’autore stesso, non senza ironia, attribuisce la visione di se stessi come ‘popolo eletto’ (p. 338), esattamente come lo erano i Giudei, ma in un’ottica tutta imperniata attorno alla civitas (altro aspetto culturale che Brizzi sottolinea).
Nel complesso, il volume è un passo avanti negli studi d’insieme inerenti al periodo della Grande Rivolta: la specializzazione storico-militare di Brizzi gli permette di descrivere puntualmente la portata bellica degli eventi, fornendone un’analisi accurata, ma non appesantita da tecnicismi. Inoltre, grande rilievo è attribuito all’evoluzione sociale e culturale dei rapporti tra Ebrei e Romani, campo di studi non troppo indagato. La ricchezza delle fonti, che spaziano da Giuseppe Flavio a testi ebraici della tradizione, e una ricca bibliografia garantiscono la possibilità di verificare e leggere di prima mano ogni punto di partenza da cui lo storico muove per le sue conclusioni.
Unica nota a lasciare perplesso il lettore può essere l’uso, per quanto riguarda le questioni di guerriglia, degli scritti di autori quasi contemporanei (tra i quali spicca Ernesto Guevara) per mostrare dinamiche e mentalità di combattenti che precedono di millenni tali fonti; una scelta forte, che contribuisce a rendere il testo più fruibile, inserendo il lettore in una forma mentis quando più simile possibile (mantenendo le ovvie distanze socio-culturali) a quella necessaria per comprendere appieno il fenomeno della guerriglia.
Table of Contents
PROLOGO (IX-XI)
PARTE PRIMA
1. Gli Ebrei: riflessioni su un’identità (5-27)
2. I precedenti: la prima fase della conquista (28-35)
3. 9 Giugno 53 a.C.: una data epocale? (36-46)
4. L’ascesa degli Idumei e i Parti al di qua dell’Eufrate (47-58)
5. La riconquista della Giudea (59-64)
6. Il regno di Erode (65-78)
7. I disordini alla morte di Erode e il regno di Archelao (79-90)
8. La nascita della provincia e i primi governatori (91-106)
9. Agrippa I: l’ultima occasione? (107-110)
10. I nuovi governatori: da Cuspio Fado (44 d.C.) a Porcio Festo (62 d.C.) (111-122)
PARTE SECONDA
11. La Grande Rivolta: i prodromi (125-138)
12. La Grande Rivolta: la prima fase (139-174)
13. La Grande Rivolta: Iotapata (175-195)
14. La Grande Rivolta: la riconquista della Galilea (196-204)
15. La Grande Rivolta: l’accerchiamento di Gerusalemme (205-212)
16. La Grande Rivolta: la guerriglia di Simone Bar Giora (213-219)
17. Le fortificazioni di Gerusalemme (220-225)
18. Le forze in campo (226-230)
19. La Grande Rivolta: la battaglia del Monte degli Ulivi (231-233)
20. L’assedio di Gerusalemme: la prima fase (234-241)
21. L’assedio di Gerusalemme: la seconda fase (242-258)
22. La battaglia per il Tempio (259-265)
23. L’ultima resistenza (266-273)
24. Masada (274-279)
PARTE TERZA
25. Briganti o resistenti? (283-299)
26. E dopo? Guerre e guerriglie degli Ebrei della Diaspora (298-333)
27. Roma di fronte alla guerriglia (334-339)
APPENDICI
I. Giudaismo e Cristianesimo di fronte a Roma (343-352)
II. Gli Ebrei di Mesopotamia (353-358)
III. Traiano e la ‘Gloria Partica’ (359-366)
CRONOLOGIA (367-370)
NOTE (371-384)
BIBLIOGRAFIA (385-404)
MAPPE (405-412)
INDICE DEI NOMI (413-420)
INDICE DEI LUOGHI (421-426)