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I temi della guerra nel mondo antico sono di attualità, come dimostra ad esempio l’attività di HiMA (Histoire militaire ancienne), rivista diretta da Giusto Traina. Questo volume ha argomento vario e anche diacronico. Dopo l’ allocution d’accueil di Michel Zink, attenta a tutte le Grecie, il primo contributo lo si deve a Monique Trédé e riguarda la storiografia greca classica. La Trédé sottolinea in particolare l’intensità degli scontri nel periodo 490-338 a.C. e richiama il famoso frammento eracliteo (53 DK: bisognerebbe però citare anche il fr. 80) sulla pervasività dei conflitti (ma di quale tipo di conflitto parlava il filosofo di Efeso? Militare? O dalla guerra egli mutuava solo il linguaggio?). Si sarebbe potuto citare anche l’associazione tra Polemos e Zeus in Crisippo ( SVF 636), il quale si richiamava sempre ad Eraclito. Al centro del contributo della Trédé ci sono Erodoto, Tucidide e Senofonte e il tema della tecnicità crescente dei metodi di combattimento (per esempio Temistocle e il potenziamento della flotta ateniese). Altri temi: il ruolo dell’intelligenza dei capi (con riferimento a J. de Romilly, Histoire et raison chez Thucydide, 1956), della libertà (con Erodoto e Atene liberatrice dell’Ellade), della pleonexìa e dei suoi pericoli.
Laurent Pernot si dedica, com’è naturale, all’oratoria. Il genere di predilezione—egli sottolinea—dell’eloquenza di guerra era quello « deliberativo » (quando al cospetto di un’assemblea si doveva persuadere o dissuadere dal fare guerra). Memorabile, direi, a tal proposito, lo scontro dialettico, nel sesto libro tucidideo, Nicia/Alcibiade, sulla campagna ateniese in Sicilia. L’esempio topico addotto da Pernot è Demostene ( Filippiche, Olintiache). Ma Pernot menziona anche i discorsi contenuti nell’opera tucididea (dunque un non-oratore, sebbene per gli antichi tra storiografia e oratoria vi fosse uno stretto legame). Pernot cita inoltre altri generi che potevano contenere elementi militari (genere giudiziario: Demostene, arringa Sulla corona; panegirici: Isocrate e Gorgia, frammenti del Dicorso olimpico). Egli fa anche riferimento alle allocuzioni ai soldati prima degli scontri armati (che a suo giudizio gli storici non inventano ma riscrivono) e al genere dell’epitafio. Ma gli oratori antichi—Pernot rileva—avevano un ruolo anche contro la guerra. Sul tema della pace sono ricordati Andocide, Isocrate e Demostene. Nella parte conclusiva dell’intervento è evocato il genere epidittico della Grecia di epoca imperiale con Elio Aristide (II d.C.), vate della pax Romana.
A proposito del bel contributo di Jacques Jouanna osservo che sulle opere da attribuire a Democrito (per esempio la Tattica e la Oplomachia) sussistono incertezze: il catalogo offerto da Diogene Laerzio (per quanto attribuito a Trasillo) potrebbe non essere pienamente attendibile (vedi il caso della Grande Cosmologia). Jouanna inoltre scrive (p. 35): « il n’était pas un professeur itinérant » (in realtà le fonti parlano dei suoi lunghi viaggi e di molte altre cose spesso contraddittorie e misteriose). Ancora non ripristinerei, per evidenti ragioni di contesto (vedi anche Plut. Non posse suaviter vivi secundum Epicurum 1100b = DK 68 B 157), la lezione polemikèn (al posto di politikèn) téchnen in Plut. Adv. Col. 1126a ( contra Jouanna « REG » 128, 2015, pp. 199- 213). Quanto a Platone (per esempio Leggi, 3, 690c), Jouanna rileva come egli si opponga alla legge del più forte (quella per esempio teorizzata e brutalmente applicata dagli Ateniesi sui Meli nel quinto libro tucidideo) proponendo il controllo della legge cui il cittadino obbedisce senza bisogno di violenza. L’arte della guerra (nelle stesse Leggi) continua comunque ad avere un posto importante nella città ideale di Platone. Jouanna conclude con Aristotele teorico, sia pur sottili distinzioni, della guerra ‘giusta’ (e cioè difensiva): l’obiettivo secondo lo Stagirita ( Politica, 7, 14, 1333b) non sarebbe infatti quello di rendere gli altri schiavi, ma anzitutto di non diventare noi stessi schiavi degli altri.
Pierre Ducrey tratta del combattimento oplitico, della sua genesi, a cominciare dal sistema di protezione del soldato. La vera e propria rivoluzione oplitica si sarebbe avuta con l’invenzione dello scudo di forma circolare, con elmo in bronzo di tipo corinzio, corazza e gambali (panoplia completa rappresentata nella celebre statuetta bronzea proveniente dal santuario di Dodona). Ma è un dato su cui non tutti concordano: J. Latacz nel 1977 mise in evidenza brani dell’ Iliade indicanti scontri non di massa ma in formazione già nell’ottavo secolo. Ducrey fa il punto della situazione senza tuttavia dare una precisa risposta considerando questioni come la tattica e la tecnica di combattimento (la falange) e ricordando alcuni contributi di riferimento sulla materia (Marcel Detienne, Victor Davis Hanson e altri: H. van Wees, Men of Bronze, 2013).
L’intervento di natura epigrafica di Denis Knoepfler sull’efebia ateniese comprende i secoli IV-II a.C. La prima parte tratta della riforma militare dell’efebia seguita alla disfatta di Cheronea (335/334?, ma l’istituto cesserà un anno dopo la morte di Alessandro Magno). La seconda si occupa dell’alto ellenismo (incominciando dal 305/4 e da un possibile ruolo precedente di Demetrio Falereo). La terza del basso ellenismo (impatto della presenza romana): in particolare il preteso « tournant » del 167, quando a Delo avviene l’istituzione di una efebia sul modello ateniese. Ma secondo l’autore sarebbe impossibile distinguere tra l’istituto prima e dopo il 167. Nella bibliografia citata, il rilevante A.S. Chankowski, L’Éphebie hellénistique (2011).
Miltiade Hatzopoulos si occupa di organizzazione della guerra macedone. Suo punto di partenza è il capitolo Philip and the Army di Guy Griffith (secondo volume di A History of Macedonia, 1979). Viene osservato che di battaglia in battaglia le forze di Filippo II crebbero. Hatzopoulos indaga le ragioni dell’ exploit nelle fonti. Diodoro (16, 3, 1-2) esalta Filippo in quanto capace di istillare nei Macedoni ardore per il combattimento, ispirandosi alla guerra di Troia ed essendo primo ideatore della falange. Ma la questione è complessa e Hatzopoulos ne considera i vari aspetti (a cominciare da quelli economici). Filippo inoltre rese l’esercito più offensivo. Soppresse la corazza e ridusse da 90 a 65 cm il diametro dello scudo. Conseguentemente, al posto del dory fu introdotta la sarissa molto più lunga. L’armamentario dell’oplita greco diveniva così un lontano ricordo.
Le guerre hanno segnato evidentemente anche la storia della monetazione. Olivier Picard adduce vari esempi. Uno è quello della creazione della moneta di bronzo intorno al 435 a Corinto. La moneta servì a pagare piccoli salari e al reclutamento di personale militare straniero destinato ad operazioni di fanteria di lunga durata, con la promessa di un futuro cambio in argento (ma qui Picard fa riferimento ad un tempo successivo, a Timoteo e all’anno 363 a.C.). Interessante è anche il caso della monetazione creata per Alessandro Magno, nelle sue diverse tipologie (il primo lavoro sistematico sull’argomento è del danese Ludwig Müller, 1855). Sulla monetazione alessandrina sussistono però ancora oggi problemi di datazione e interpretazione (sullo scopo Picard scrive: « ce système monétaire semble avoir été créé… pour le financement de la flotte… le paiement des soldes aux vétérans »). Queste monete continuarono peraltro ad essere coniate anche dopo la morte del condottiero.
Robert Halleux, storico della scienza, filologo classico di formazione, propone un contributo sul « feu grégeois », il cosiddetto ignis Graecus, arma segreta dei Bizantini, ritenuto un antenato del napalm. Secondo Teofane Confessore, continuatore di Giorgio Sincello, e Zonara, questo materiale sarebbe stato inventato dall’architetto Callinico al tempo di Costantino IV d’Oriente (non però III, come scrive Halleux). La prima parte del contributo tratta di due ricettari militari. La seconda della composizione dell’arma. E gli ingredienti si ripartiscono nelle seguenti categorie: petrolio, ligniti, olî, gomme, resine, pece e succhi vegetali, prodotti sulfurei, eccipienti o additivi di struttura. La terza parte tratta di vettori e propulsori. Halleux si basa tra l’altro su alcune fonti, tra cui Anna Comnena, Costantino Porfirogenito, Leone VI il Saggio (imperatore dall’886 [e non 866] al 912), lo pseudo-Erone di Bisanzio ( Poliorketikon).
Jean-Yves Tilliette, editore di Baudri de Bourgueil, studioso di Boezio, si misura qui con l’ Alexandreis di Gautier de Châtillon (Gualterus de Castellione, XII secolo, autore anche di un Trattato contro gli Ebrei), poema esametrico in 10 libri che canta, basandosi su Curzio Rufo, le gesta del condottiero macedone e che Tilliette ha precedentemente tradotto e commentato. Gualtiero costruì un poema epico sul modello di Virgilio. Oggi se ne conservano circa 215 manoscritti. L’opera ebbe quindi un notevole successo. Interessante è il riferimento nel poema al rapporto tra Alessandro e Aristotele: « quand Aristote en vient à parler de vertu, son élève n’écoute plus », commenta Tilliette. E però Alessandro, secondo Gualtiero, magnus in exemplo est. Ma Tilliette avanza un fondamentale dubbio: « de contre-exemple? ».
Con il contributo successivo (Jean-Claude Cheynet) ci si trasferisce di pochi anni al tempo della quarta crociata. Siamo durante il papato di Innocenzo III, salito al trono nel 1198. L’appello fu lanciato il 15 agosto. Cheynet cerca di approfondire le ragioni militari della presa di Costantinopoli (12 aprile 1204). Egli scrive: « la prise de Constantinople ne résulte pas vraiment de la supériorité latine dans les combats en rase campagne, incontestable ». Cheynet si basa naturalmente su Niceta Coniata: non fu una questione numerica, ma la mediocrità del comando bizantino a fare la differenza. Comunque, da ciò che doveva essere una spedizione contro i musulmani nacque il cosiddetto Impero Latino.
Il contributo seguente si deve a Philippe Contamine, il quale si occupa della « principauté de Morée » o di Acaia, prima del 1204 una porzione periferica dell’impero bizantino, corrispondente al Peloponneso antico e attuale. Contamine adopera fonti come l’anonima Chronique de Morée. Questo testo narra della conquista del Peloponneso bizantino da parte dei Franchi al tempo della quarta crociata e la fondazione di tale principato da parte di Guillaume de Champlitte, il quale muore nel 1209. Seguono le imprese dei successori. L’interesse di Contamine per il principato non è nuovo nella storiografia. Du Cange (1610-1688) si era interessato al tema. Ed anche Edward Gibbon (1737-1794). Poi Jean-Alexandre C. Buchon (1791-1846: non 1848), che fu storico (ricordiamo anche la sua Choix des Historiens Grecs, 1852: con Erodoto, Ctesia, Arriano e una carta delle spedizioni di Alessandro) e uomo politico e che si recò di persona nel principato.
Jean-Pierre Bois si interessa di Jean-Charles, chevalier de Folard (1669-1752), educato dai Gesuiti, soldato francese (colonnello di fanteria) e curioso teorico militare, sostenitore dell’uso delle colonne di fanteria nei combattimenti, ma lo sviluppo crescente delle armi da fuoco rese le sue idee sempre più inattuabili. Folard recuperava questa « forme de combat », che denominava « colonne », dal mondo antico. La sua fonte era essenzialmente Polibio, ma egli aveva letto anche Tucidide, Senofonte, Tito Livio, Giuseppe Flavio, Frontino, Plutarco, Arriano, Vegezio e anche autori moderni (Machiavelli e Montecuccoli). Nutriva grande ammirazione per Epaminonda, naturalmente, e si può comprendere: Epaminonda fu notoriamente un grande tattico.
Un cenno dobbiamo anche ad Adrien Goetz e al ‘suo’ Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), celebre pittore francese, allievo di Jacques-Louis David (1748-1825), pertanto di ispirazione classicistica, che si oppose alla passionalità romantica di E. Delacroix (1798-1863). Ingres—scrive Goetz—aveva un interesse di tipo archeologico (decorativo) per la storia (e per la guerra), come dimostrano Achille recevant les envoyés d’Agamemnon (1801), ispirato all’ Iliade e con un Ulisse con drappo rosso, Tu Marcellus eris (1811), di ispirazione virgiliana, L’Apothéose de Napoléon I er (1853). La sua opera migliore dal punto di vista militare è Jeanne d’Arc au sacre du roi Charles VII dans la cathédrale de Reims (1855: oggi Louvre).
Conclude il volume (prima dei bilanci finali, affidati a Jouanna e Contamine) Yannis Mourélos sulla Grande Guerra. E segnatamente sul fronte orientale (com’è noto, ce ne sarà uno anche nella seconda guerra mondiale, la campagna di Russia). Mourélos segue le riflessioni di Jean Delmas, Les opérations militaires sur le front de Macédoine, 1992, il quale tentava di spiegare le ragioni storiche della spedizione. Gli alleati si recarono a Salonicco in soccorso dei Serbi, invasi dagli imperi centrali e dalla Bulgaria. Il comando delle potenze della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Impero Russo) fu unificato a partire dal gennaio 1916. Sono al centro del racconto di Mourélos i tre generali francesi Maurice Sarrail (1856-1929), Adolphe Guillaumat (1863-1940) e Louis Marie François Franchet d’Espèrey (1856-1942). L’uno successore dell’altro. Il migliore e imprevisto successo lo registrerà il terzo, futuro maresciallo e accademico di Francia. Come la storia insegna, I Bulgari saranno costretti a chiedere l’armistizio (27.9.1918).
Table of Contents
Allocution d’accueil, par Michel Zink, pp. I-IV
La guerre et les historiens, par Monique Trédé, pp. 1-12
Les orateurs antiques entre guerre et paix, par Laurent Pernot, pp. 13-28
Guerre et philosophie en Grèce ancienne: aux origines de l’art de la guerre, par Jacques Jouanna, pp. 29-46
Du nouveau sur le combat des hoplites. Vraiment?, par Pierre Ducrey, pp. 47-57
L’éphébie athénienne comme préparation à la guerre du IVe au IIe siècle av. J.-C., par Denis Knoepfler, pp. 59-104
L’organisation de la guerre macédonienne: Philippe II et Alexandre, par Miltiade Hatzopoulos, pp. 105-120
Payer la guerre en Grèce antique, par Olivier Picard, pp. 121-141
Le feu grégeois, ses vecteurs et ses engins de propulsion, par Robert Halleux, pp. 143-152
Alexandre le Grand, modèle et précurseur des croisés?, par Jean-Yves Tilliette, pp. 153-169
La défense de l’Empire romain d’Orient lors de la quatrième croisade, par Jean-Claude Cheynet, pp. 171-192
Quand la Morée était française: “Faits d’armes et de chevalerie” », par Philippe Contamine, pp. 193-213
Polybe et le chevalier de Folard, par Jean-Pierre Bois, pp. 215-244
Ingres, historien militaire? Quelques aspects du fonds inédit du musée Ingres de Montauban, par Adrien Goetz, pp. 247-260
Le front d’Orient dans la Grande Guerre. Enjeux et stratégies, par Yannis Mourélos, pp. 261-271
Bilan et conclusions, par Philippe Contamine et Jacques Jouanna, pp. 273-279