A uno dei più rinomati esperti della storiografia di Tacito, come Olivier Devillers, si deve questa interessante raccolta, scaturita, come precisa il curatore nell’Avant-propose (p. 9), da un atelier dedicato agli opuscoli di Tacito all’interno della 7 th Celtic Conference in Classics (Bordeaux, 5-8 settembre 2012).
Il volume si articola in tre sezioni tra loro equilibrate e ben proporzionate per numero e qualità dei contributi: “Approches générals” (con gli interventi di O. Devillers, H. Hoynes, M.A. Giua ed E. Keitel), “Regards singuliers sur les opera minora ” (con articoli di V. Pagán, J. Mambwini Kivulia-Kiaku, D. Sailor, R. Cytermann, T. Joseph) e, alla fine, “Confrontations ponctuelles entre opera minora et opera maiora ” (con gli studi di I. Cogitore, ancora O. Devillers, E. O’Gorman e R. Ash).
Le finalità del volume sono felicemente riassunte nel contributo introduttivo, a firma dello stesso Devillers (“Les opera minora “laboratoire” des opera maiora ”, pp. 13-30), il quale ricorre all’immagine del “laboratorio” allo scopo di cogliere e valorizzare le analogie di metodo compositivo degli opuscoli tacitiani ( Agricola, Dialogus de oratoribus e Germania : quest’ultima risulta però alquanto trascurata nell’economia generale del volume), in rapporto alle grande raccolte delle Historiae e soprattutto degli Annales. Lo studioso passa in rassegna alcune specifiche modalità che Tacito riprenderà nelle opere maggiori e che dimostra di utilizzare già negli opuscoli con accorta maturità, in modo particolare la stretta unità compositiva delle opere (interessanti le considerazioni sulla Ringkomposition nell’ Agricola alle pp. 15-16), il ricorso mirato all’intertestualità – in particolare col modello sallustiano e con la tradizione della storiografia repubblicana, anche allo scopo, sempre nell’ Agricola, di far emergere compiutamente il ritratto morale del suocero, come dimostrato dall’evocazione alle Origines di Catone, fr. 1 Peter, nell’ incipit dello scritto – e la capacità di adattare variamente negli opera maiora argomenti già trattati nei minora, modificando la prospettiva in rapporto all’argomentazione seguita. Tuttavia Devillers è ben attento a non ingenerare il sospetto di una presunta inferiorità artistica e ideologica degli opuscoli: al contrario, come ben precisa a p. 30, «le ‘laboratoire’ que constituent les opera minora est déja l’atelier de l’historien et il s’y réalise des œuvres qui ont valeur en soi et qui forment une expression déja aboutie de la pensée, et dans une certaine mesure del’art, de l’auteur», come emerge dalla discussione sulla valenza etico-politica della libertas (in chiave filosenatoria), di cui Tacito si dimostra fin da subito pienamente consapevole (si veda la discussione alle pp. 24-30).
Allo specifico retorico sono dedicati, nella prima sezione, due contributi: l’articolo di H. Hoynes (“The In- and Outside of History: Tacitus with Groucho Marx”, pp. 31-44) si concentra sulle dinamiche retoriche attuate da Tacito, in particolare nel Dialogus (ma non solo: non mancano riflessioni sull’ Agricola alle pp. 38-39), col ricorso all’ironia, di cui si rintraccia persuasivamente un retaggio platonico, e sulla dialettica tra “dentro” ( Inside) e “fuori” ( Outside) nella narrazione storiografica (la tematica di inclusione ed esclusione «is characteristic of Tacitus’ œuvre », come si precisa a p. 31), giustificando l’assunto con un acuto parallelo con un notissimo paradosso di Groucho Marx (“Please accept my resignation. I don’t want to belong to any club that will accept me as a member”). Alle pp. 59-70, Elizabeth Keitel, in “’No Vivid Writing. Please’: Euidentia in the Agricola and the Annales ”, si concentra, invece, sull’ evidentia come strumento stilistico caratteristico del linguaggio tacitiano, che si realizza amplificando retoricamente dettagli narrativi (la studiosa rimarca anch’essa la dialettica tra “presenza” e “assenza”, in modo particolare nel finale dell’ Agricola : cfr. pp. 63-64), secondo modalità comuni tanto appunto all’ Agricola quanto agli Annales, in particolare nel rappresentare scene di paura e di desolazione, anche con lo scopo di suscitare la pietà e l’indignazione del lettore. I due articoli sono inframmezzati dal contributo di M.A. Giua (“Pace e libertà dall’ Agricola agli Annales : il Tacito incompiuto di Arnaldo Momigliano”, pp. 45-57), che si sposta sul piano della storiografia, con riferimento al progetto non realizzato di Arnaldo Momigliano di un libro sul pensiero politico di Tacito, ma di cui è possibile ricostruire genesi e finalità dall’archivio del grande studioso. Giua propone un’interessante analisi che intreccia il mutamento d’orizzonte del progetto – da volume sul dispotismo a riflessione sulla politica imperiale a più ampio spettro, ma sempre col baricentro fondato sull’ideale di libertas – con la biografia di Momigliano, esule in Inghilterra per la dittatura fascista, che riflette la propria esperienza nel variegato giudizio su Tacito, cogliendo l’incapacità di quest’ultimo di elaborare un sistema alternativo a quello dispotico anche per la sua organica appartenenza al regime imperiale, pur nel tentativo, accarezzato almeno nell’ Agricola, ma di fatto rivelatosi fallimentare nelle opere maggiori, di conciliazione tra libertas e potere imperiale.
La seconda sezione, più concentrata sullo specifico dei singoli opuscoli, inizia con l’articolo di V. Pagán (“Fear in the Agricola ”, pp. 73-86), che si dedica all’analisi del lessico della paura nell’ Agricola, di cui mette in rilievo con opportuni esempi la valenza insieme psicologica e politica, in particolare nella definizione del carattere del protagonista (pp. 77-81), su cui la paura in generale ha un effetto positivo in quanto «it leads him to make good choises» (p. 81), soprattutto durante la campagna contro i Britanni, e nella definizione della sua moderatio (alla quale, a mio parere, sarebbe da aggiungere l’influsso esercitato dal modus di Agricola, cui Tacito fa riferimento in Agr. 4,3), che si contrappone alla paura sinistra esercitata invece da Domiziano. Ancora incentrato sull’ Agricola è anche il contributo seguente, a opera di J. Mambwini Kivulia-Kiaku, che in “Réflexion sur le processus de la romanisation forcée de la Bretagne dans la textualité de l’ Agricola et ses conséquences sur le destin de l’empire” (pp. 87-99), si sofferma ad analizzare il processo di romanizzazione che emerge dal testo tacitiano. Tale processo si configura non solo nell’occupazione forzata dello spazio insulare della Britannia per ragioni di sicurezza o nell’esportazione ugualmente imposta dei modelli etici e politici tipicamente romani, ma anche nell’ideazione di un nuovo modello di cittadinanza, basato in modo particolare sulla formazione «de la nouvelle élite sur laquelle l’administration romaine devrait s’appuyer» (p. 95). Si apre verso il Dialogus il successivo articolo di D. Sailor, “Youth and Rejuvenation in Tacitus’ Agricola and Dialogus ” (pp. 101-113), il quale dimostra in modo convincente, in un denso contributo articolato in quattro parti, come in entrambe le opere sia centrale il momento della formazione nell’età giovanile per le scelte decisive compiute poi nella vita adulta; particolarmente persuasiva risulta la quarta sezione, alle pp. 111-113, incentrata sul “ringiovanimento” della società romana dopo i quindici anni della tirannide di Domiziano, il quale non si è limitato a danneggiare i Romani in questo periodo, «but he has excised and removed them from the lives of the survivors», come precisa l’autore a p. 113, a cui si deve la scelta del corsivo. Si concentrano esclusivamente sul Dialogus gli ultimi due articoli: il primo, “Éloquence et regime politiques dans le Dialogue des orateurs ” (pp. 115-129), è opera di R. Cytermann, la quale evidenzia come Tacito, nel solco del Brutus ciceroniano (che già rifletteva sulla funzione dell’oratoria al tempo della dittatura cesariana) e della topica contro l’ eloquentia corrupta diffusa nel I d.C. nella dialettica tra oratoria e politica, individui nell’affermazione dell’impero, oramai in maniera ultimativa, un punto di non ritorno per l’oratoria «même si subsistent certaines traces de la puissance oratoire» (p. 128). A seguire, il contributo di T. Joseph, “The Boldness of Maternus’ First Speech” (pp. 131-145), propone una finissima analisi del primo discorso di Materno (di cui rintraccia le forti memorie intertestuali, da Cicerone a Virgilio), individuando in questo testo, definito a p. 145 «an example of literary boldness», un possibile modello di stile per lo stesso Tacito.
La terza, e ultima, sezione del volume è dedicata alle relazioni degli opuscoli con le opere maggiori e si apre col saggio di I. Cogitore, “De l’ Agricola aux Annales : une préfiguration de Germanicus dans le portrait d’Agricola?” (pp. 149-162). La studiosa delinea un confronto tra le figure di Agricola e di Germanico, individuando i possibili paralleli soprattutto nelle loro virtù morali, nella capacità militare (più complessa in Germanico, visto anche il diverso ruolo sociale di appartenente alla famiglia imperiale) e soprattutto nelle complesse relazioni con imperatori tirannici, rispettivamente Domiziano e Tiberio, la cui connotazione negativa risulta evidenziata proprio dalle qualità dei rispettivi “antagonisti”. L’analisi dei ritratti è completata anche dalla disamina delle divergenze tra i due protagonisti (non solo nel loro impegno politico e militare, ma anche di fronte al momento supremo della morte, rassegnata e consapevole in Agricola, drammatica e foriera di ulteriori tragedie in Germanico). Merito della studiosa è anche la capacità di trasportare l’analisi sul piano della tecnica narrativa, col superamento del più tranquillizzante genere biografico per una scrittura più drammatica, motivato anche dalla consapevolezza di Tacito, che si interroga nell’opera maggiore «sur le devenir de la liberté et sur l’évolution des dynasties» (p. 162) dopo la beneaugurante parentesi dell’ascesa al trono di Traiano (a cui lega la possibilità concreta di una stabilità serena nella gestione del potere, ben auspicata nell’ Agricola). Segue un altro contributo di O. Devillers, “Rome et les provinces. Analogies, transferts, interactions entre l’ Agricola et les Annales ” (pp. 163-174), nel quale si analizzano le modalità di relazione di potere nelle province, tra governatori e popolazioni amministrate, in rapporto a quelle esistenti a Roma tra imperatore e classe senatoria (e anche soldati) in merito a temi di preminente rilevanza (la libertas, il parallelo tra governatore e principe nella capacità amministrativa e nei rapporti con le legioni), partendo dal procedimento, presente nell’ Agricola e poi sviluppato negli Annales, che vede «l’allusion aux affaires de Rome à travers l’évocation de la situation dans les provinces» (p. 172). L’articolo successivo di E. O’Gorman, “A Barbarian is Being Spoken” (pp.175-184), analizza il celebre discorso di Calgaco nell’ Agricola, sottolineando il fatto che il comandante dei Britanni, pur collocandosi all’estremità occidentale del mondo, dimostra di cogliere bene l’attitudine psicologica dei romani alla conquista e all’ imperium, e lo pone in relazione col discorso di Carataco, una volta sconfitto da Ostorio, di fronte a Claudio e ad Agrippina ( Ann. 12,37,1-4). La studiosa mette bene in luce come il capo britanno si dimostri pienamente integrato nel sistema ideologico e valoriale della politica romana al punto da non richiedere all’imperatore un’umiliante misericordia, «but the political award of clementia » (p. 181). L’ultimo contributo del libro, a firma di R. Ash, “Act like a German! Tacitus’ Germania and National Characterisation in the Historical Works” (pp. 185-200) si concentra sulla Germania e sulla percezione, in chiave antropologica e politica, delle varie tribù germaniche, nella loro specifica individualità rilevata dallo storico latino, anche nelle opere maggiori; l’autrice dà un dettagliato elenco delle tribù individuate da Tacito nel complesso della sua produzione alle pp. 199-200.
Una ricca e documentata bibliografia (pp. 201-212, dove però si lamenta la mancanza di qualche contributo significativo, come P. Steinmetz, “Die literarische Form des Agricola des Tacitus”, in Id., Kleine Schriften, Stuttgart 2000, pp. 361-373, e A. Marchetta, Studi tacitiani, Roma 2004) e “l’Index des passages cités” (pp. 213-223) concludono questo bel volume, che offre non solo agli specialisti di Tacito, ma anche più in generale agli studiosi di storiografia romana, stimoli e riflessioni di indubbio interesse, anche per il merito del curatore di aver fatto interagire prospettive di ricerca tra loro diverse, in un fecondo dialogo interdisciplinare.