Parafrasando l’interrogativo che Alessandro Manzoni mette sulla bocca di don Abbondio nell’ottavo capitolo dei suoi Promessi sposi, si potrebbe ben cominciare chiedendosi: “Musonio Rufo, chi era costui?” Appare innegabile che per molto (forse troppo) tempo fra gli studiosi, prima nell’epoca d’oro della grande filologia ottocentesca e poi anche nel risveglio di interesse per le filosofie ellenistiche e post-ellenistiche, il nome, l’attività, la posizione filosofica di questo cavaliere romano di origini etrusche, il cui floruit va collocato con buona certezza in quell’epoca difficile della compagine imperiale compresa fra Nerone e Tito, siano rimaste avvolte in un’aura di scarsa o quasi nulla considerazione. A parte alcune benemerite eccezioni,1 la fisionomia di Musonio Rufo è stata delineata per lo più come quella di un filosofo sì, ma in fondo minore, se non minimo.
Su questo sfondo – nonché in un’atmosfera quasi di dialogo ideale con un retroterra di primo piano in ambito francese, rappresentato da punti di riferimento basilari, come Hadot e Foucault, e tenendo presente la situazione di oggettiva marginalità cui Musonio è stato lungamente consegnato – occorre collocare il denso, profondo, lucido lavoro di Valéry Laurand. In via del tutto preliminare è bene dire che si tratta di una monografia solida e scientificamente molto minuziosa. Oltre a tutto ciò, poi, essa esibisce un pregio ulteriore, non certo di poco conto: una bella scrittura, fluida, accattivante, chiara, una prosa che lo stesso Carlos Lévy nella sua Préface loda come “aussi intelligente et érudite que formellement splendide”(p. 14). Rafforza il senso di compiutezza di questo scritto anche la presenza di una serie di strumenti di utile orientamento: la bibliografia (pp. 541-53) e tre indici, rispettivamente dei nomi antichi (pp. 555-6), di quelli moderni (pp. 557-9) e infine quello, molto ricco, dei passi citati (pp. 561-75).
Anche un semplice sguardo al modo in cui Laurand struttura la sua lunga monografia su Musonio rivela l’accuratezza della ricostruzione e la coerenza interna del disegno interpretativo. Il testo è diviso in tre grandi parti. Esse non sono accostate l’una all’altra in modo estrinseco, ma pensate secondo una raffinata climax esegetica, che sembra voler riproporre, quasi a mo’ di filigrana mimeticamente pensata, quell’immagine dei cerchi concentrici tipica della trattazione della οἰκείωσις a partire dallo stoicismo di mezzo. Quel che Laurand vuole mostrare, insomma, è la possibilità di rileggere il corpus dei pochi resti testuali attribuibili a Musonio (53 frammenti in tutto) in base a una spirale ascendente e sempre più ampia, che si muove dall’analisi del sé nella sua singolarità e nella dimensione attenta della sua propria cura verso l’apertura rappresentata dall’unione di maschio e femmina nel matrimonio, già protretticamente letta in senso politico, nonché poi verso quell’ultima tappa costituita dalla piena integrazione dell’uomo nella città, anzi più esattamente nel quadro dei rapporti che formano l’entità più ampia della “cité universelle”.
Entrando più nel dettaglio della trattazione, la prima parte è dedicata al concetto basilare della αὐτάρκεια, una nozione di auto-sufficienza che tuttavia non diventa mai chiusura o sterile ripiegamento su di sé. Essa non cede mai alla tentazione cinico-diogeniana del rigetto di ogni socialità e di ogni integrazione, poiché si presenta piuttosto come un fenomeno di “véritable re-socialisation” (p. 52), nel senso della conquista di un’indipendenza che lotta sì contro la cattiva gramigna della τρυφή (ovvero quella mollezza che è “dépassement des limites de la raison, emballement”, p. 60), consentendo tuttavia di ritrovare se stessi e di instaurare un’autentica relazione con gli altri. Sullo sfondo di questa riconquistata apertura agli altri diventa comprensibile anche il recupero di una positività della dimensione corporea e dello stesso dolore, al punto di concludere addirittura che “vivre sans effort, c’est manquer des véritables ressources pour être un homme” (p. 92). Di qui alla proposta da parte di Musonio di una forma convinta di ἄσκησις il passo è davvero breve, stando almeno a quel che si può ricostruire facendo interagire fonti diverse e fra loro eterogenee (da Posidonio a Cicerone, da Sesto Empirico a Clemente Alessandrino, per limitarci ad alcune). Solo che, ancora una volta, si tratta di una forma di ascesi che, mirando alla salvaguardia di un τόνος corretto e giocando sul filo di una rigorosa armonizzazione della κρᾶσις individuale, non coinvolge unicamente la dimensione corporea, ma si estende anche all’anima, mediante una serie di esercizi applicati a entrambe le dimensioni, secondo una prospettiva che deve molto alle radici ciniche e insieme conferma letture ormai diffuse e proficue, à la Hadot. In questa costruzione di sé, che non scansa la fatica, l’uomo, o meglio il saggio stoico, rivela in pieno la sua natura, mette in atto quello σπέρμα ἀρετῆς, che ha il suo culmine nella presentazione dell’uomo stesso come imago Dei, “image mortelle de la divinité” (p. 162), metafora “rarissime dans le stoïcisme. Elle permet de penser la délicate position de l’être humain dans l’échelle des êtres” (p. 143; cfr. più in dettaglio le pp. 156-74), oltre a costituire l’ideale punto di passaggio verso una forma di assimilazione a Dio, che, in un difficile equilibrio dialettico fra imitazione ed emulazione (μίμησις/ζήλωσις), spinge comunque l’individuo a volgersi verso gli altri, verso i suoi simili (cfr. anche Marco Aurelio, VI 45).
La seconda parte del volume analizza, con una ricchezza di sfumature interpretative davvero rilevante, una di queste relazioni con l’altro, tematizzata in Musonio, come in nessun altro filosofo antico, con chiaro intento politico e altrettanto chiaramente rielaborata da un puntο di vista filosofico rispetto alle leggi romane e più in generale al mos maiorum. Si tratta della nozione-chiave del matrimonio (per la sua definizione più chiara, da accettare “comme définition par le ‘propre’”, p. 214, cfr. Musonius, XIIIa, p. 67, 6-10–p. 68, 1). Come giustamente sottolinea in più punti Laurand, infatti, Musonio sicuramente la rilegge alla luce tanto dei luoghi comuni quanto della più genuina tradizione stoica; ma altrettanto certamente egli la modifica, la carica di significati nuovi, la riveste di considerazioni originali, cercando di liberarla da un approccio limitato alla sua veste esteriore, giuridica e/o sociale, per trasformarla in una riflessione sull’interiorità dischiusa alla fondazione della politica. Matrimonio, ovvero relazione che conduce alla virtù e dunque vero καθῆκον, e città vengono dunque a legarsi a doppio filo, in un intreccio che Laurand ben riassume indicando tre punti essenziali rinvenibili nella trattazione di Musonio: “1. Le mariage est une exigence de la nature. 2. Le mariage articule deux fins: la concorde dans la vie commune et la procréation des infants. 3. Le mariage est le fondement de la cité” (p. 209).
Non è possibile qui render conto dei dettagli della ricchissima analisi fornita da Laurand sulla questione del matrimonio. Basti dire che essa chiama in causa, sempre con competenza e precisone, nozioni basilari della posizione di Musonio, sviluppate più o meno in continuità con l’insegnamento della scuola stoica, fra cui mi sembra giusto ricordarne almeno alcune: (a) quella di πόθος ed ἐπιθυμία; (b) soprattutto quella di πίστις, cui si contrappone, come valore negativo da stigmatizzare ed evitare, ogni forma di adulterio (del resto punito quasi sempre nella tradizione giuridica romana con la pena di morte), poiché “être adultère revient à détruire la communauté dans le sens où on exclut de la jouissance collective l’un des membres” (p. 239), con una nettezza che sarà ribadita da Epitteto (la cui testimonianza in merito fa oggetto di una trattazione specifica da parte di Laurand: cfr. pp. 235-41); (c) il concetto di “conjugalité”, che oltre a far emergere la forza dell’ἔρως, consente a Laurand di scrivere pagine molto lucide sulla nozione di φιλία, declinata sì all’interno del legame matrimoniale e delle articolazioni gerarchiche che pure lo caratterizzano, ma ricostruita anche tanto positivamente nei suoi antecedenti storici (soprattutto stoici: dai primi maestri a Panezio, per finire con la rilettura senecana di temi crisippei), quanto negativamente nell’opposizione all’accusa di formalismo elevata, forse con eccessiva rapidità, da alcuni studiosi (ad esempio Fraisse) contro la definizione (stoica, appunto) di amicizia come bene; (d) la complessa idea di κρᾶσις applicata all’unione della coppia da Musonio (sullo sfondo di riflessioni già di Antipatro), descritta non certo come una fusione indistinta in cui scompaiono ruoli e funzioni dei coniugi, quanto piuttosto come una mescolanza il cui esito finale fa emergere come primario uno dei due componenti, il marito, senza tuttavia che, come nota Laurand, s’instauri “un rapport de dominant à dominé” (p. 335); (e) infine, quasi a coronamento delle tappe precedenti, la forte insistenza di Laurand (basata in prima istanza sul testo di Musonius, XIV, p. 73, 10 così come stabilito da Meineke e segnalato da Hense, con la correzione di ὑποβολῆς in περιβολῆς) sul significato politico del matrimonio, nel senso che unirsi in matrimonio non rappresenta per Musonio il mero atto di fondazione di una famiglia, ma, molto più profondamente, il legame relazionale cruciale, “qui par nature transforme et réorganise fondamentalement toutes les relations sociales” (p. 343), facendo sì che una forma individuale di οἰκείωσις assuma progressivamente funzione sociale e politica, anche mediante un atto biologico come quello del dar vita alla prole (centro di interesse di una vera embriologia stoica, cui Laurand dedica pagine interessanti: cfr. pp. 382-92), che comporta il prolungamento dell’amore di sé verso i figli, che espande insomma la dimensione del presente in direzione di un futuro di cui aver cura sin d’ora, secondo un’esigenza forte di responsabilità, destinata a diventare oggetto di piena approvazione perfino nelle pagine di qualche filosofo contemporaneo.2
Seguendo la ricostruzione proposta da Laurand, le prime due sezioni del suo lavoro acquistano un senso compiuto proprio grazie alla terza, visto che essa indaga in senso stretto la relazione fra l’uomo e la città. Quest’ultima è certamente quella “piccola” che avvolge ciascuno di noi nella quotidianità dei commerci con i suoi simili e che per Musonio merita comunque la massima attenzione, ma ancora di più essa s’identifica con quella città universale che è il mondo nella sua interezza (anche qui cfr. Marco Aurelio, VI 44), vera e sola patria, senza che ciò spinga Musonio verso alcuna forma di cosmopolitismo estremizzato. Sono temi importanti, che emergono in primo piano nel Trattato XI di Musonio, quel Περὶ φυγῆς, cui Laurand dedica un’analisi minuziosa, allo scopo di rilevarne i tratti salienti e, dove necessario, di discutere o rifiutare interpretazioni di altri studiosi, soprattutto nel senso di ridimensionarne il valore di mera consolatio per accentuarne piuttosto il complesso peso politico. Questa indubbia dimensione politica appartiene anche a un altro trattato di Musonio, l’VIII, sin dal titolo (ὅτι φιλοσοφητέον καὶ τοῖς βασιλεῦσιν) interessato a celebrare la figura del buon re, ovvero del βασιλεύς che è certamente filosofo (laddove quest’ultimo è sì βασιλικός, ma non βασιλεύς), in grado di emulare Zeus, di approssimarsi alla rettezza del suo governo, dunque tendenzialmente (ma non tout court) perfetto, infallibile, dotato di maestà divina, equipaggiato con le tradizionali quattro virtù cardinali (δικαιοσύνη, ἀνδρεία, φρόνησις, σωφροσύνη), addirittura definibile come νόμος ἔμψυχος (un concetto gravido di storia e finemente esaminato da Laurand nelle sue radici e nei suoi esiti musoniani: cfr. soprattutto pp. 510-33). A questo personaggio assolutamente speciale Musonio, in continuità ma anche in contrapposizione ad altri modelli (proposti ad esempio in vari trattati sulla regalità, di Ecfanto, di Diotogene, dello pseudo-Archita, di Dione Crisostomo), assegna una capacità altrettanto speciale e comunque unica: quella di “fabbricare” la legalità e soprattutto, in tal modo, di produrre la concordia in un quadro che supera le particolarità per abbracciare lo sguardo compiuto della città universale.
Benché resti la certezza, in chi scrive, di non aver reso fino in fondo la ricchezza e la profondità di trattazione del lavoro di Laurand, credo sia necessario ribadire che la sua monografia ci restituisce un Musonio molto affascinante e vivo: non dunque un minore o un minimo, ma un filosofo a pieno titolo, verso cui rivolgersi per l’esame di temi morali di primaria importanza, all’interno di un quadro teorico che affonda le proprie radici nelle filosofie ellenistiche e completa il suo percorso a contatto con l’influsso potente della romanità. La guida di Laurand, a illuminare questo percorso, si rivela sempre puntuale, preziosa, nutrita di dottrina, ponendosi dunque come punto di riferimento imprescindibile per chiunque vorrà in futuro dedicarsi ai medesimi temi.
Notes
1. Cfr. soprattutto G. Reydams-Schils, The Roman Stoics: Self, Responsibility, and Affection (University Press of Chicago, Chicago, 2009), un’autrice dalla cui amicizia e dai cui consigli Laurand dichiara di aver tratto sicuro profitto (cfr. p. 16, n.1 e p. 33, n. 1).
2. Cfr. le riflessioni sul dovere nei confronti dei discendenti in H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation (Insel Verlag, Frankfurt am Main, 1979).