È un dato di fatto che l’Ellenismo, nel suo complesso, conosca nella scholarship degli ultimi anni una rinnovata popolarità. Periodo antesignano, per alcuni aspetti, dell’attuale global history, è infatti oggetto di densi e stimolanti studi non solo in Europa, ma in molte università di altri continenti. Molti gaps sono stati colmati (in particolare in ambito storiografico e numismatico), mentre altri ancora ne restano, su diversi aspetti politici, economici e istituzionali (dovuti anche a una talora sconsolante mancanza di documentazione).
In questa messe di pubblicazioni, che può anche apparire ridondante (soprattutto per certe dinastie, come i Seleucidi), trova un posto importante questo volume, che esce per i tipi di Peeters nella prestigiosa collana ‘Studia Hellenistica’ (una serie che senz’altro ha aperto la strada, non solo in Europa, a questo genere di studi, con una concezione dell’età ellenistica peraltro non solo ristretta alla datazione canonica della manualistica). Il ponderoso libro trae origine da un convegno tenutosi a Leuven e a Bruxelles nel settembre 2008, intitolato ‘The Age of the Successors (323-276 B.C.)’ e organizzato dall’Università di Leuven (History Research Unit). Quasi tutte le relazioni presentate in quelle sedi sono state qui riprese e riviste per la stampa, con qualche aggiunta e variazione nel titolo dei contributi. I ventiquattro studiosi coautori del volume, in considerazione della loro provenienza e delle rispettive competenze, ben rappresentano l’interesse per il periodo ellenistico nei diversi centri di ricerca sparsi per il mondo, anche se bisogna riconoscere che certe Scuole, in particolare alcune europee, sono un poco trascurate.
Il tomo è preceduto da un’introduzione dei curatori, H. Hauben e A. Meeus, dove, sia pur succintamente, sono individuate alcune tendenze critiche non tanto degli ultimi anni quanto dei contributi contenuti nel volume (redatti per lo più in inglese, ma anche in tedesco e francese) e corredati di relativo abstract.1
Apprezzabile la scelta di articolare la materia in diverse sezioni, secondo tracce tematiche ben definite, pur se non mancano inevitabili sovrapposizioni o contributi che avrebbero potuto trovare altra collocazione rispetto a quella assegnata dai curatori (‘Literary Sources for the History of the Successors’; ‘Archaeology, Art and Numismatics’; ‘The Ambition of the Successors’; ‘Legitimation, State-Building and the Native People’; ‘War and the Military’; ‘Social and Religious Aspects of the Age of the Successors’; ‘The Successors and the Cities’). Completano il volume la bibliografia generale (davvero corposa), un indice dei passi e un dettagliato indice generale.
In un libro complessivamente assai ben curato, si avverte solo la mancanza di una tavola cronologica, se non complessiva, almeno relativa ad alcuni articoli (utile anche per evitare pericolose discrasie).2 Il problema di una cronologia ‘lunga’ e di una ‘bassa’ per il primo Ellenismo è infatti una crux che ancora attanaglia la ricerca, anche riguardo ad avvenimenti fondanti del periodo in questione (vd. la datazione della morte di Perdicca e del trattato di Triparadiso; ad es. la morte del diadoco è fissata, tout court, all’estate del 320 da Roisman nel suo articolo, pp. 455-456).
Lo spazio riservato alle diverse aree tematiche è abbastanza proporzionato, pur se bisogna riconoscere che più ampio è quello riservato alle prime quattro. Per quanto riguarda la disposizione della materia, si nota una certa predilezione per Tolemeo I e per l’Egitto, esaminati soprattutto con interesse per il côté greco-macedone, dal punto di vista politico, militare e archeologico (predilezione peraltro giustificabile anche in considerazione dell’importanza attribuita a quel diadoco e a quell’area da Hauben e dalla scuola lovaniense). Nella sezione che apre il volume, più propriamente storiografica, quasi tutti i contributi riguardano Diodoro Siculo, autore su cui occorre indagare con metodologie critiche diverse rispetto a quelle consuete (vd. il paper di Rathman). Ciò comporta proposte interpretative stimolanti (e talora anche tra loro divergenti; vd. le diverse opinioni della Landucci e di Sheridan sulla trasmissione del testo del libro XVIII della Biblioteca storica). Fa eccezione il contributo di Engels, che scandaglia l’importanza limitata dell’età dei diadochi in Strabone, peraltro comprensibile anche alla luce del misconoscimento dell’evo ellenistico in certa storiografia e pubblicistica greco-romana, con riverberi anche nella concezione della translatio imperii e nell’importanza attribuita ai singoli anelli di questa catena storiografica.
Interessante è la parte dedicata alla documentazione materiale, peraltro a metà riservata a una località di fondamentale importanza nella geopolitica del periodo, come Cipro, mentre gli altri contributi, anche con tratti decisamente innovativi, sono riservati ad Alessandria e ai discussi affreschi della villa di Boscoreale. Si avverte qui l’assenza di almeno un testo che avrebbe potuto far luce su un tema importante, se non fondamentale per l’età dei diadochi, quale l’ imitatio Alexandri, particolarmente importante a livello numismatico.
Per quanto riguarda le altre sezioni, ‘The Ambition of the Successors’ è quella che ha sicuramente un taglio più evenemenziale, mentre le altre sono leggermente più disomogenee (a parte quella riservata agli aspetti bellici, con contributi comunque non necessariamente troppo ‘tecnici’).
Senza la pretesa di soffermarsi su tutti gli articoli, si segnala che, in controtendenza rispetto a certa scholarship, importanza militata viene accordata alla storia di genere (vd. comunque il paper della Harders sulle ‘vedove’ di Alessandro Magno), mentre a un altro tema molto esplorato recentemente (il rapporto con le popolazioni epicorie non greche, o almeno con parte di esse) sono riservati espressamente due contributi (Mileta, Schäfer) e altri sono ad esso tangenti (così è per il lavoro di van der Spek su Seleuco e Babilonia, aggiunto nella versione a stampa e che rappresenta un opportuno status quaestionis su un tema assai spinoso).3 I primi due lavori si innestano nella tendenza predominante a non interpretare le nuove regalità solo dal lato macedone o greco-macedone, ma a riconsiderare l’attenzione riservata dai diadochi (e dai loro successori, beninteso) all’’altro’, etnicamente e culturalmente.
Al Ruler Cult, fenomeno importante per capire l’età dei diadochi, è riservato espressamente solo l’articolo di Erskine, 4 che trova posto nella sezione ‘The Successors and the Cities’ (il che può comunque essere giustificabile se si considera che nella stessa collana lovaniense, con curatori diversi, è uscito nel 2011 lo splendido volume More than Men less than Gods). Incentrando la sua attenzione sui culti e la città del primo Ellenismo, lo studioso riconosce tra l’altro in Democare di Leoconoe la fonte guida dei capitoli plutarchei della Vita di Demetrio in cui sono enfatizzati e stigmatizzati gli onori conferiti agli Antigonidi (anche se non è da escludere la presenza soprattutto di Duride o anche di Filarco, nomi peraltro talora proposti spesso dagli studiosi). La conclusione a cui giunge Erskine è quella del riconoscimento della vitalità della polis, espressa in ambito politico-religioso in funzione antitirannica, in cui però devono trovare posto altre dinamiche e motivazioni alla base del conferimento del culto (pure nella stessa Atene, come quella economico-sociale; un approfondimento in senso diacronico, includendo anche i fermenti innovativi di V-IV secolo, sarebbe stato auspicabile). All’Atene della prima età ellenistica è comunque riservato anche il contributo di Wallace, con un’attenta contestualizzazione dei decreti onorari resi ad Eufrone di Sicione, coprotagonista della guerra lamiaca: quello del 323/2 e, soprattutto, quello postumo del 318/7.5
In un volume di tale mole e così polifonico, è inevitabile che alcune interpretazioni possano suscitare la perplessità o il disaccordo dello scrivente. Così, e.g., Strootman ritiene che “the oriental title ‘Great King’ became the Hellenic title King of Asia” (attribuito ad Alessandro all’indomani della battaglia di Gaugamela del 331 a.C.).6 Ciò implicherebbe la creazione di un titolo accettabile anche ai Greci continentali e della Macedonia. Lo studioso rimanda per una discussione espressamente a un noto articolo di Fredricksmeyer del 2000.7 In realtà la scelta di un’espressione quale Re dell’Asia (mai più usata ufficialmente né dal figlio di Filippo II né dai suoi successori, anche se doveva circolare ampiamente, soprattutto tra i Seleucidi) è un campo di indagine quanto mai aperto, che non può certo essere disgiunto dal momento contingente dell’assunzione né, tanto meno, dal problema della continuità e della discontinuità della kingship di Alessandro rispetto ai precedenti achemenidi, dando conseguemente luogo a divergenti interpretazioni.8
In conclusione, il volume qui recensito è sicuramente uno dei più riusciti e più stimolanti della collana ‘Studia Hellenistica’. La qualità media dei contributi è molto alta e sono proposte diverse interpretazioni che non mancheranno di suscitare l’interesse della critica. La fatica edita da H. Hauben e da A. Meeus viene così ad aggiungersi validamente ad altri testi collectanei o monografici pubblicati negli ultimi anni, fondamentali per una piena comprensione del primo Ellenismo.9
Notes
1. A riguardo cfr. comunque A. Meeus, “What we do not know about the Age of the Diadochi: The Methodological Consequences of the Gaps in the Evidence”, in V. Alonso Troncoso, E.M. Anson (Eds.), After Alexander. The Time of the Diadochi (323-281 BC), Oxford-Oakville 2013, pp. 84-98 (il volume costituisce per molti aspetti il contraltare a quello qui recensito).
2. Vd. il ritorno di Seleuco a Babilonia, datato o al 312 o al 311 (seguendo Diodoro o le fonti cuneiformi, come risulta dai contributi di Rathmann e di van der Spek).
3. Dello studioso, come è noto, è da tempo attesa una nuova edizione delle tavolette babilonesi di età ellenistica insieme con I. Finkel (una versione preliminare è accessibile in www.livius.org).
4. Ma vd. anche quello di Orth sulla pietas dei diadochi nei confronti dei santuari, con le notazioni a latere ivi espresse.
5. IG II 2 448.
6. P. 312.
7. E. Fredricksmeyer, “Alexander der Great and the Kingship of Asia”, in A.B. Bosworth, E.J. Baynham (eds.) Alexander the Great in Fact and Fiction, Oxford 2000, pp. 136-166.
8. Cfr. K. Nawotka, Persia, “Alexander the Great and the Kingdom of Asia”, «Klio», 94 (2012), pp. 348-356 (con la bibliografia ivi riportata). Anche lo stesso titolo Basileus Megas e il suo impiego in età ellenistica sono peraltro oggetto di grande attenzione e discussione; cfr. da ultimo, D. Engels, ” Je veux être calife à la place du calife? Überlegungen zur Funktion der Titel Großkönig und König der Könige vom 3. zum 1. Jh. v. Chr.”, in V. Cojocaru, A. Coşkun, M. Dana (eds.), Interconnectivity in the Mediterranean and Pontic World during the Hellenistic and Roman Periods, Cluj‑Napoca 2014, pp. 333-362 e, dello stesso Strootman, “Hellenistic Imperialism and the Ideal of World Unity”, in C. Rapp, H.A. Drake (eds.), The City in the Classical and Post-Classical World. Changing Contexts of Power and Identity, Cambridge 2014, pp. 38-61 (citato in nota come forthcoming).
9. Oltre ad Alonso Troncoso – Anson (eds.), After Alexander. The Time of the Diadochi (323-281 BC), cit., cfr. F. Landucci Gattinoni, Il testamento di Alessandro. La Grecia dall’Impero ai Regni, Roma-Bari 2014 (con attenzione riservata per lo più alla storia politica e agli aspetti storiografici).