BMCR 2015.04.31

Retórica y discurso en el teatro griego​

, , Retórica y discurso en el teatro griego​. Madrid: Ediciones Clásicas​, 2013. 339. ISBN 9788478827787.

Come Milagros Quijada Sagredo illustra nella Presentación (pp. 7-15), il volume raccoglie i risultati di un progetto di ricerca sviluppato, su finanziamento del Ministerio de Ciencia e Innovación de España, da docenti delle Universidades del País Vasco, Sevilla e Coimbra, aperto tuttavia a contributi di altri esperti di retorica e teatro greco estranei al gruppo di ricerca, per così dire, istituzionale. Secondo differenti prospettive, i saggi indagano “estrategias de discurso […], formas de argumentación y grado de estilización” con cui contrasti ideologici vengono tradotti dai personaggi teatrali, rivelando un’alta “conciencia retórica”, che il pubblico doveva riconoscere come propria della “práctica oratoria” (p. 10).

Nel Prólogo, On How Tragedy Makes Cries of Pain Articulate (pp. 19-27), Oliver Taplin illustra le considerazioni che hanno ispirato la sua traduzione, di prossima pubblicazione, di quattro tragedie sofoclee. La versione dei trimetri greci in versi giambici inglesi, il tentativo di risolvere il problema della resa delle interiezioni con gesti e parole e quella della varietà metrica dei canti con versi ricchi di parole brevi e rimati alla fine e al mezzo mirano alla riproduzione della musicalità verbale che traduce l’essenza dello spettacolo tragico: con la bellezza delle coreografie e delle scenografie, è prospettata al pubblico la possibilità di una ricomposizione del dolore che segna l’umano destino.

La prima parte della miscellanea, sulla Tragedia (pp. 29-224), è aperta dallo studio di Quijada Sagredo su La retórica de la súplica: los discursos de Adrasto y de Etra (Eurípides, Supp. 162-92 y 297-331) (pp. 31-60). Nel duplice agone del primo episodio, “la visión trágica de la existencia humana con la que se identifican Adrasto y el coro” si oppone all’“optimismo que caracteriza a la Atenas que representa Teseo” (p. 33). Alla luce di ciò potrebbero risolversi i dubbi critici sullo snodo fondamentale della supplica dell’argivo, i vv. 176-183. Di contro all’emendamento δεδορκέναι, la lezione manoscritta di 179, δεδοικέναι, esprimerebbe la motivazione di presa potenzialmente maggiore sul re, quel timore di fronte ai rivolgimenti della fortuna altrui che può indurre i più abbienti ad immedesimarsi negli sventurati e aver di loro pietà.1 Il legame dei primi quattro versi coi successivi tre potrebbe dunque spiegarsi senza immaginare una lacuna: all’enunciazione di un principio generale seguirebbe la sua applicazione ad un caso concreto, quello del poeta che deve farsi felice per comporre canti lieti, se come tertium comparationis si suppone “la idea de que no es fácil que uno deje de estar marcado en sus actos por el horizonte de la propia situación” (p. 42). Euripide alluderebbe, nei vv. 180-183, alla ἐνάργεια poetica teorizzata poi da Aristotele per la tragedia ( Po. 1455a 22 ss.) e propria dell’oratoria, se obiettivo del τέρπειν è qui il πείθειν.2 Tale persuasione è infine ottenuta da Etra, attraverso un discorso empatico con la sorte delle Supplici, ma soprattutto razionale, che, rielaborando il topos del silenzio femminile, dimostra la liceità della πολυπραγμοσύνη ateniese – e che, tuttavia, convince il re essenzialmente in virtù del legame familiare.3

Georgia Xanthaki-Karamanou analizza l’ Eolo e la Melanippe saggia di Euripide ( Fragmentary Plays of Euripides with Similar Rhetorical Motifs and Story-Pattern: The Aeolus and Melanippe the Wise, pp. 61-90). La ricostruzione delle due tragedie frammentarie evidenzia la rilevanza compositiva di un ἐσχηματισμένος λόγος, in cui un personaggio cerca di salvare dalla punizione paterna una donna e la sua prole, nascondendo che questa sia frutto di una violenza. Secondo quello che Dionigi di Alicarnasso ( Rh. 9.11) definisce τὸ τῆς εἰρωνείας σχῆμα (o σχῆμα διοικήσεως), i discorsi di Macareo (frr. 19-24b Kn.) e Melanippe (frr. 482-485, 506 Kn.) perseguono, dissimulandolo, il loro fine, rielaborando, attraverso figure retoriche, nozioni scientifiche e principi etici al centro del coevo dibattito sofistico.

José Antonio Fernández Delgado si intrattiene sull’ Eracle (Anaskeue y kataskeue del Heracles euripideo (HF 140-235), pp. 91-112). Nell’agone del primo episodio tra Lico e Anfitrione, la refutatio/confutatio delle virtù di Eracle è costruita conformemente alle norme retoriche poi sancite dalla trattatistica imperiale (cfr. Ps. Hermog. 11-12), in particolare con chiastica disposizione degli elementi di paradoxon : in essa è stato ravvisato un “modelo”, influenzato da “una práctica escolar pre-progimnasmática propia de la enseñanza sofística” (p. 106). La peculiarità di tale costruzione, nell’estensione doppia della kataskeue di Anfitrione rispetto alla anaskeue del re, risulta funzionale alla caratterizzazione dei personaggi parlanti e di Eracle.

Segue il contributo di Maria do Céu Fialho ( The Failure of Rhetoric in Sophocles, Oedipus at Colonus, pp. 113-126). Nel dramma, i discorsi orditi, pur con abilità argometativa, dai personaggi per persuadere alle loro richieste si rivelano perdenti rispetto alla forza del silenzio, che immediatamente esprime il pathos del fascinosus e tremendus Edipo, e sancisce l’alleanza di questi con Teseo e Atene. Alla fine della vita Sofocle sembra comunicare al pubblico, stremato dalla guerra che le parole dei demagoghi hanno fomentato, “that the city in ruins can only be saved by the revitalizing force of another language […], so that he, […], opens up and converts to the primeval genuine values that made Athens” (p. 124).4

Francisca Pordomingo ( Discursos y monólogos del drama en antologías de época helenística en papiro, pp. 127-155) rileva che le raccolte antologiche testimoniate dai papiri privilegiavano testi tragici e comici, in ispecie euripidei e menandrei, talora non altrimenti a noi pervenuti, ma allora emblematici per notorietà, anche scolastica, spesso dovuta ad una sapienza retorica che ne faceva ideali esercitazioni oratorie o attoriali: così gli ἔπαινοι γυναικῶν della Melanippe Desmotis ( TrGF 5.1, 494) e dell’ Ippolito (403-423) in BKT V 2, 123-128; la Mulieris oratio ( PCG VIII, Adesp. 1000) e il Soliloquium adulescentis ( PCG VIII, Adesp. 1001) in P. Didot; la parodia del Ποιητής o Τραγῳδός ( TrGF 2, 727) in P. Giss. 152.

Máximo Brioso Sánchez riflette De nuevo sobre los mensajeros trágicos: un debate metodológico (pp. 157-192). I criteri stabiliti da De Jong e Barrett, sulla base dell’usuale caratterizzazione dei messaggeri euripidei e della forma e contenuto dei loro discorsi, appaiono limitativi rispetto alla funzione chiaramente informativa di scene quali la monodia del Frigio nell’ Oreste (1369-1526) e il discorso di Taltibio in Tro. 235-305 e quelli del primo messaggero e del servo in Iph. Aul. 414-439, 1532-1612; per i drammi eschilei e sofoclei, l’attenzione è richiamata sulla ῥῆσις di Illo in Trach. 749-806, di Danao in Suppl. 605-624, dell’aio in El. 660 ss. e di Ismene in Oed. Col. 361-384.

Francesco De Martino indaga su Ekphrasis e teatro tragico (pp. 193-224), genere che, a motivo della connaturata importanza dell’impatto visivo, offre numerosi esempi di descrizione, che talora declinano peculiarmente i canoni dell’esercizio retorico poi fissati in età imperiale. Un unicum è la corsa dei carri nell’ Elettra di Sofocle (680-763), che combina la tipologia dell’ ekphrasis di mechanemata e di panegiri, con il funesto esito dell’incidente multiplo, che sembra celare un atteggiamento critico in riguardo alle gare sportive.5 Tipicamente euripidea è, inoltre, la ‘femminilizzazione’ di rare varianti ecfrastiche: la trilogia di descrizioni di ‘beni culturali’ ateniesi nello Ione (190-218, 1132-1166, 1412-1436) è variamente collegata ad Atena; e la doppia ekphrasis di Iph. Aul. 164-302 innova la teichoscopia e il catalogo delle navi iliadici, non solo con la focalizzazione sul momento della costruzione, ma soprattutto attraverso lo sguardo delle mogli dei guerrieri, in variatio dell’ode saffica 16.

La seconda parte del volume è dedicata alla Comedia (pp. 225-278). Il contributo di Martin Hose, Die Rhetorik der altattischen Komödie: Wie konstruiert sich eine Wahrscheinlichkeit der Phantastik? (pp. 227-248), evidenzia come l’uso della retorica serva ad uno dei meccanismi tipici del teatro comico, la propaganda di messaggi politici anticonformisti attraverso la costruzione di mondi fantastici. L’analisi delle parodo degli aristofanei Uccelli – in ispecie dell’uso della metafora della trasformazione di Tereo – e Cavalieri rivela peculiarmente funzionale a ciò la contrapposizione tra eroe e coro.

Jeffrey Rusten propone un “corpus-wide approach” (p. 249) ai drammi aristofanei, che, mettendo al centro grandi temi, possa portare alla luce nuovi significati. Esemplare risulta l’analisi di Political Discourse and the Assembly in Four Plays of Aristophanes (pp. 249-260): “ Acharnians and Ecclesiazusae present dysfunctional assembly-models”, che reprimono le spinte innovatrici dei protagonisti, mentre “ Thesmophoriazusae and Lysistrata offer non-traditional, but more positive models” (p. 257), nel ristabilire l’ordine, attraverso l’accettazione delle rivoluzionarie rivendicazioni femminili. Negli ultimi due drammi, datati al 411, appare plausibile la volontà del poeta di stigmatizzare lo svuotamento della funzione assembleare operato dalla Costituzione dei Quattrocento.

Maria de Fátima Silva analizza The Rhetorical Agon as Dramatic Condiment in the Epitrepontes of Menander (pp. 261-278). La scena dell’arbitrato, istituto giuridico originariamente semi-ufficiale e dunque confacente alla vicenda privata e ‘rurale’ narrata nella commedia, è costruita dall’autore con attenta articolazione retorica, rispondente non solo all’evoluzione della procedura nel V sec. a. C., ma anche alla definizione psicologica dei personaggi di Daos e Sirisco, con la vittoria, nel dibattito, di quest’ultimo, che determina il giudizio di Smicrine, razionale quanto conforme alla Tyche.

La terza sezione, sul Drama Satírico (pp. 279-312), comprende il saggio di M. Carmen Encinas Reguero, Ichneutai de Sófocles. Una lectura en clave retórica (pp. 281-312). L’autrice sostiene che contesta l’opinione prevalente che vuole la presenza della tecnica retorica significativa solo nel tardo Sofocle (si pensi al Filottete): negli Ichneutai, che vanno collocati attorno al 440 a. C., la ricerca delle vacche di Apollo è rappresentata per terminologia e situazioni che alludono alle “pruebas retóricas” (p. 286) ancora in via di definizione nel V-IV sec. a. C. e poi fissate nei manuali di età imperiale.

La miscellanea è completata da un Index locorum (pp. 313-339), a cura di M. Carmen Encinas Reguero. ​

Notes

1.] Sull’opportunità del verbo tràdito alla coerenza logico-sintattica dei vv. 176-179 si vedano le considerazioni di A. Garzya, Ad Eur. Suppl. 176-183, in Studi di filologia e tradizione greca in memoria di Aristide Colonna, a cura di F. Benedetti e S. Grandolini, I, Napoli 2003, pp. 351-353.

2. La presenza di una lacuna tra i vv. 179 e 180, contenente un’allusione alla presente incapacità retorica di Adrasto, le cui tradizionali doti oratorie pure non sono richiamate altrove nel dramma, può rientrare nella più ampia polemica contro gli eschilei Eleusini, che la critica recente ha convincentemente scorto nelle Supplici : per la relativa bibliografia mi sia consentito il rimando al mio Euripide, Supplici 176-183, “Vichiana”, 4 a s., XII (2010), pp. 156-171. Peraltro la fondamentale differenza tra il processo descritto nei vv. 180-183 e quello in Po. 1455a 22 ss., nonché con la κάθαρσις di Po. 1449b 24-28, è dimostrata da E. Flores, Analisi di procedure narratologiche nella “Poetica” di Aristotele, in Atti del convegno internazionale “Letterature classiche e narratologia”, Perugia 1981, pp. 175-188, e Id., La catarsi aristotelica dalla Politica alla Poetica, “AION(filol)” VI (1984), pp. 37-49. La riflessione delle Supplici, come quelle di Tro. 608-609 e 1242-1245, inerisce a una ‘soggettiva’ visione del superamento del dolore nella poesia, esito del progressivo rigetto del contemporaneo orizzonte civico, che, secondo V. Di Benedetto, Euripide, teatro e società, Torino 1971, pp. 223 ss., caratterizza la tragedia euripidea dal 430 a. C. La ricerca di risposte esistenziali e politiche in una dimensione tutta umana, tipica, come mostra U. Criscuolo, Note sul tardo Euripide, “AAP” n.s. XLIII (1994), pp. 29-44, della produzione ‘mediana’ euripidea, trova nell’estetica del τέρπειν espressione e soluzione: nella bellezza delle immagini evocate dal canto il poeta può recuperare dignità sociale, nell’intercettare e soddisfare un bisogno profondo del pubblico, provato dai duri eventi coevi.

3. Sull’emblematico valore assunto, nell’economia e interpretazione del dramma, dalla trasgressione all’obbligo del silenzio da parte di Etra, cfr. D. Mendelsohn, Gender and The City in Euripides’ Political Plays, Oxford 2002, pp. 161 ss.

4. U. Criscuolo, Sui ‘silenzi’ sofoclei, in Synodia. Studia humanitatis Antonio Garzya septuagenario ab amicis et discipulis oblata, a cura di U. Criscuolo e R. Maisano, Napoli 1997, pp. 201-219, illustra come “il silenzio” si configuri quale “momento fondamentale della tragicità sofoclea, […] accettazione silenziosa del proprio destino” tramite cui l’eroe sofocleo “si sottrae “agli altri per ritrovare tutto sé stesso, […] riscatta […] l’umiliazione e […] s’inoltra solitario, attraverso […] una diversa e misteriosa dimensione” (p. 219).

5. Sulla scena cfr. U. Criscuolo, “La gara atletica nella tragedia: Oreste in Sofocle e Achille nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide”, AAP ns. XLIV (2005), pp. 403-419. ​