L’autore arriva, con questa monografia, che si basa sulla Tesi da lui sostenuta nel 2008 presso le Università di Neuchâtel e Le Mans, a dare un quadro unitario ed esaustivo dei suoi molti contributi pregressi tanto sulla Megaride quanto sulle fondazioni megaresi di area siceliota, propontica e pontica. Nonostante dunque molte sue posizioni critiche sui temi trattati siano note ai lettori, esse acquisiscono indubbiamente un peso e un’efficacia diversi all’interno di un’ampia sintesi fondata su un’esperienza più che decennale di ricerca, che si avvale di una sicura conoscenza delle fonti, di una scelta bibliografica precisa ed aggiornata e di una chiara forma espositiva, un’opera che si porrà fra quelle di riferimento sull’argomento: da Ernest L. Highbarger a Ronald P. Legon a Thomas J. Figueira.
Nel titolo figura la definizione di ‘établissements mégariens’ (un vocabolo non facilmente traducibile dal francese; in italiano ad es. suona come ‘installazioni’) per evitare quella di ‘colonie’ o ‘fondazioni’, visto l’aspro dibattito storiografico svoltosi nell’ultimo ventennio sulla colonizzazione greca, ma poiché egli utilizza abitualmente nell’ambito della trattazione il termine di apoikiai, la scelta forse troppo prudente e leggermente ambigua del titolo poteva essere evitata. Il sottotitolo infatti ( Histoire et institutions) chiarisce che proprio alle apoikiai megaresi egli intende riferirsi studiandone la storia, le istituzioni e i nomima – considerandole un contesto storico-culturale coeso e omogeneo –, in ciò ponendosi dichiaratamente in rapporto dialettico con i Megarische Studien di Krister Hanell (Lund 1934), lavoro assolutamente precursore e per certi versi ancora insostituibile.
La trattazione, preceduta da un’introduzione storiografica e programmatica (p. 1-11), è seguita da un Annexe (p. 407-408), dalle Conclusions générales (p. 409-413), dalla Bibliographie générale accompagnata dall’indice delle edizioni critiche utilizzate (p. 415-485), da 5 Cartes e VIII Planches (p. 487-498) e infine da indici delle fonti letterarie ed epigrafiche oltre che da utilissimi indici geografici, prosopografici e tematici (p. 499-544).
L’esposizione si articola in tre parti: la prima, che esamina gli avvenimenti salienti della storia arcaica megarese soprattutto nei suoi rapporti con Atene e Corinto e nelle dinamiche politiche interne che possono aver influito sul movimento coloniale; la seconda, che affronta le diverse realtà delle fondazioni megaresi in Sicilia, in Propontide e nel Ponto Eusino con particolare attenzione all’aspetto dell’occupazione del territorio, del rapporto con gli indigeni e delle successive ondate coloniarie; la terza, dedicata alle istituzioni e magistrature comuni al mondo megarese metropolitano e coloniale.
Conviene fare subito qualche osservazione generale di natura metodologica su alcune posizioni di fondo dell’autore che ricorrono in tutta l’opera. Robu, pur consapevole dell’evoluzione del dibattito teorico sulla colonizzazione greca su cui fa il punto (p. 1-5), insiste però su alcuni concetti, come quello della ricerca delle cause di ogni specifica ondata colonizzatrice (ad es. p. 100-116, 261 e passim), o quello dell’evidenza ceramica quale prova inconfutabile e primaria di appartenenza politica (ad es. p. 25, 40, 61, 124, 227 e passim) che oggi non possono più venir proposti in maniera così meccanicistica: egli approda alla giusta consapevolezza che la stenochoria di cui soffrivano le madrepatrie e che obbligava ad espatriare non era solo e semplicemente di natura agraria, demografica od economica ma soprattutto politica, un’acquisizione che risale ai primi anni ’90. A questo proposito avrebbe giovato un confronto teorico con gli studi recenti sulla colonizzazione secondaria (le ‘colonie di colonie’) perché gli esempi megaresi ricadono principalmente in questo caso di scuola.1 In realtà anche l’assunto di fondo dell’opera, quello che Megara e le sue colonie costituissero all’interno del mondo greco un caso speciale, dato per scontato, di omogeneità storico-culturale (un’idea che, partita dagli Studien di Hanell, trova nei primi anni ’80 la sua formulazione esplicita)2 andrebbe oggi, credo, diversamente e meglio dimostrato, come peraltro alcuni risultati della ricerca stessa di Robu fanno chiaramente intravedere: l’idea che le fondazioni megaresi in Propontide, di fronte alla minaccia di Traci, Misii e Bitinii, avessero costituito una ‘rete’ soprattutto a fini di solidarietà reciproca in diversi momenti storici è senz’altro condivisibile e aggiunge una prospettiva originale all’idea di ‘comunità’ megarese (p. 410 e passim).
Qualche altra eccessiva rigidezza metodologica è riscontrabile nell’idea che la presenza nelle poleis di iscrizioni in alfabeto diverso dal megarese e di onomastica non direttamente riconducibile alla stessa matrice costituisca tout-court la prova della presenza di epoikoi di diversa origine e non piuttosto della mobilità di uomini e manufatti; o ancora, che ogni manifestazione cultuale apparentemente divergente dal pantheon noto come tradizionalmente megarese debba forzatamente esser fatta risalire a un diverso apporto coloniale etnicamente connotato (come quello corinzio nel caso del culto di Era a Selinunte e a Bisanzio, p. 191-193, 271-272). In definitiva, anche una delle conclusioni principali dell’opera, quella del rapporto strettissimo esistente fra l’emergere di Megara come polis, il suo sinecismo e l’inizio del movimento colonizzatore (p. 49-50, 413 e passim), non suona come una novità, essendo un’acquisizione critica della metà degli anni ’90.3 Le novità del lavoro, che nell’impianto generale si presenta perciò come molto tradizionale, risiedono altrove.
Nella prima parte che tratta di Megara arcaica, Robu nega l’ipotesi che lega la prima spinta colonizzatrice della città alla perdita di Perachora e delle zone meridionali poste alla frontiera con Corinto, a favore di un movimento di fuoriuscita o di esplusione di famiglie ed individui esclusi o svantaggiati dal sinecismo. Il lungo conflitto successivo svoltosi con Atene fu invece la causa della perdita del distretto di Kynosoura, posto nell’isola di Salamina (assunto che andrebbe meglio dimostrato), mentre la sottrazione definitiva di quest’ultima da parte della polis attica entro la fine del VI secolo segnò l’ultima ondata coloniale verso il Mar Nero; quella della metà dello stesso secolo che portò alla fondazione di Eraclea Pontica è invece attribuita dall’autore principalmente alle lotte politiche interne alla polis. In questo complesso scenario, che meriterebbe da solo una recensione a parte, segnalo la buona idea di interpretare, sulla scia di Calame e Piccirilli, molti degli episodi bellici noti svoltisi fra Ateniesi e Megaresi alla luce di tradizioni su combattimenti rituali (p. 56 ss.). Infine, l’idea di Robu di accostare i passi di Plutarco, Quaest. Graec. 17 e di Strabone, IX. 1. 10 (la cosiddetta ’interpolazione megarese’ al Catalogo delle Navi) in quanto testimonianze tarde della volontà di appropriazione di territori di confine mediante l’immagine di una ‘grande Megaride’ arcaica, se può cogliere nel segno per il secondo dei due, richiede maggiore cautela nel primo caso, soprattutto se il passo è di derivazione aristotelica.
La seconda parte, che tratta in dettaglio le storie fondative e l’evoluzione delle colonie megaresi di Sicilia, della Propontide e del Ponto Eusino, si può giustamente considerare il cuore del lavoro di Robu. La trattazione sulle apoikiai siceliote, a parte i rilievi sopra messi in evidenza, si dimostra generalmente corretta: per Selinunte, la mancata conoscenza di recenti messe a punto di natura numismatica4 e soprattutto degli scavi archeologici condotti da Clemente Marconi a partire dal 2006 nell’area del ‘santuario urbano’ meridionale all’interno dell’acropoli (templi B e R), che hanno stabilito una prima stratigrafia affidabile e portato alla luce i livelli fondativi della presenza greca nell’area (c. terzo quarto del VII sec.), priva il lavoro di importanti dati di riferimento.5
Ma la parte dedicata ad Astaco, Calcedone, Selimbria, Bisanzio, Eraclea Pontica e Mesambria dimostra una grande esperienza di ricerca personale e non esito a definirla eccellente: tutte le tradizioni fondative, anche quelle minori o tarde (ad es. nel caso di Bisanzio) sono state messe in valore con profitto. Fra le molte acquisizioni che ne risultano, citerò solo quella che riguarda le attestazioni diffuse nell’area propontica e pontica di culti eroici (prevalentemente di età ellenistica) relativi a ecisti, fondatori, rifondatori, casate di fondatori (p. 221, 284-285, 396, 412-413 e passim). Si tratta di un fenomeno pervasivo che meriterebbe di venir approfondito nel contesto della rivisitazione delle origini e della memoria civica di epoca ellenistica.
L’ultima parte infine, quella sulle istituzioni politiche megaresi, è ugualmente ben condotta: se la trattazione delle magistrature eponime e dei collegi magistratuali di tradizione megarese è assolutamente condivisibile (p. 366-405), quella sulle suddivisioni civiche, in particolare le divisioni per hekatostyes (p. 339-360), può riservare qualche perplessità per il semplice fatto che lo stato della documentazione è tale da lasciare ampio spazio alle ipotesi. Osserverò solo che nel caso di Selinunte non vi sono testimonianze positive di hekatostyes (p. 353-354): la presenza della denominazione Herakleidai che figura come terzo elemento onomastico di tre personaggi in una defixio della prima metà del V secolo a. C., se non è un gentilizio, è un nome di famiglia che può alludere all’origine eraclide di cittadini discendenti da coloni o condottieri dorici o, meglio, spartani passati a Selinunte come i compagni di Dorieo.6
Per finire, vorrei sottolineare un altro aspetto molto apprezzabile del lavoro di Adrian Robu: la sua padronanza della documentazione epigrafica, spesso esercitata su testi inediti o ristudiati con metodo ineccepibile. Molti sono gli esempi che potrei citare e che costituiscono tutti importanti messe a punto o vere e proprie novità per i nostri studi: (a) l’origine selinuntina e non megarese degli epitaffi con esclamazione oimoi (p. 144-145); (b) l’inequivocabile origine megarese e non corinzia del caratteristico beta attestato a Selinunte e a Bisanzio (p. 271, 328) ; (c) la buona ipotesi che l’iscrizione di Zeus Milichios Panphylos, oggi perduta e proveniente da Nisea, possa essere stata un cippo non diverso da quelli noti dagli altri santuari del dio, primo fra tutti quello selinuntino (p. 329);7 (d) la trasmissione di una specifica tipologia epigrafica funeraria, quella delle tabelle inserite in stele, da Megara a Chersoneso Taurica e Callati (p. 407-408). La trasmissione, come in quest’ultimo caso, di un particolare habitus epigrafico da madrepatria a colonia è testimonianza di primaria importanza che può contribuire a rivedere in modo nuovo i rapporti reali che intercorrevano all’interno dell’assai speciale ‘comunità’ dei Megaresi.
Notes
1. Colonie di colonie: le fondazioni sub-coloniali greche tra colonizzazione e colonialismo (Atti del Convegno Internazionale, Lecce 22-24 giugno 2006), a cura di M. Lombardo, F. Frisone, Galatina 2009.
2. “Chronique d’une journée mégarienne”, par J. de La Genière, A. Muller, C. Vatin, C. Bérard, MEFRA, 95, 1983, p. 206-209.
3. C. Antonetti, “Megara e le sue colonie: un’unità storico-culturale?” in Ead. (ed.), Il dinamismo della colonizzazione greca (Atti della tavola rotonda “Espansione e colonizzazione greca d’età arcaica: metodologie e problemi a confronto, Venezia, 10-11/11/1995”), Napoli 1997, p. 87-88 (verbatim).
4. T. Lucchelli, “L’adozione della moneta a Selinunte: contesti e interazioni”, in Temi selinuntini, a cura di C. Antonetti, S. De Vido, Pisa 2009, p. 177-191.
5. Cf. NYU IFA Excavations at Selinunte.
6. C. Antonetti, in Ead., S. De Vido, “Conflitti locali e integrazione culturale a Selinunte: il nuovo profilo della polis nell’iscrizione della Vittoria”, in Guerra e pace in Sicilia e nel Mediterraneo antico (VIII-III sec. a.C.). Arte, prassi e teoria della pace e della guerra (Quinte giornate Internazionali di Studi sull’Area Elima e la Sicilia Occidentale nel contesto mediterraneo, Erice, 12-15 ottobre 2003), a cura di C. Ampolo, Pisa 2006, p. 157.
7. Su questa tipologia: C. Antonetti, D. De Vido, L. Drago Troccoli, Lithoi, Semata, Anathemata. “Connotare lo spazio sacro: esempi tra Grecia ed Etruria”, in Epigrammata 2. Definire, descrivere, proteggere lo spazio (Atti del Convegno di Roma, 26-27 ottobre 2012), Themata 14, a cura di A. Inglese, Roma 2014, p. 1-37.