Questo volume appartiene alla serie «Grandi classici.Variazioni sul mito», che conta ad oggi 18 titoli, fondata da Maria Grazia Ciani ed ora curata dalla stessa e da Margherita Losacco presso l’editore veneziano Marsilio. I volumi sono dedicati ciascuno ad una figura mitologica, non solo antica (compaiono ad esempio anche Don Giovanni e Romeo e Giulietta). Anche questo libro si uniforma allo schema editoriale di tutta la serie: una introduzione sintetica di Caterina Barone traccia a grandi linee la storia delle ricezioni del tema mitico, dall’antichità sino ad oggi (pp.7-17); segue una più estesa presentazione delle opere scelte per la raccolta antologica (pp. 18-44); quindi l’ antologia dei testi in traduzione italiana, senza alcuna nota di commento (pp. 45-323), che costituisce il fulcro del volume; conclude un’appendice bio-bibliografica (pp. 325-338). Lo scopo della serie è avvicinare un pubblico esteso ai ‘classici’; perciò si è a ragione scelto di non dare un’antologia di stralci ridotti dalle opere (come accade ad esempio in un’analoga collana che esce in Germania per l’editore Reclam), ma quando possibile, come in questo caso, le opere per intero. Tutti i volumi della serie costituiscono un ottimo supporto didattico, nella scuola e nell’università. L’antologia propone un percorso di lettura selettivo, come è naturale; oltre ai due drammi euripidei (qui nella bella traduzione di Angelo Tonelli), la curatrice stampa l’ Ifigenia di Jean Racine (1674, traduzione di Flavia Mariotti), l’ Ifigenia in Tauride di Johann Wolfgang Goethe (1786, traduzione di Cesare Lievi) e il Ritorno di Ifigenia di Ghiannis Ritsos (1972, traduzione di Nicola Crocetti). Si sceglie così di seguire un percorso esclusivamente teatrale (la curatrice, del resto, è nota studiosa di teatro antico e critica teatrale).
Le tre opere scelte scandiscono altrettanti punti di snodo nella storia della ricezione dei drammi euripidei: Racine moralizza la tragedia, usando una variante minoritaria del mito, per la quale la vera Ifigenia sarebbe stata in realtà figlia illegittima di Elena e Teseo, nascosta dalla madre; Achille imprigiona questa principessa dalle oscure origini, chiamata Erifile, che si innamora perdutamente del suo signore, promesso però sposo ad Ifigenia. L’oracolo chiede il sacrificio della figlia di Elena e non dell’innocente Ifigenia: ma la corretta interpretazione della volontà divina si scopre solo alla fine dell’intreccio. Erifile, presente nel campo acheo al seguito di Achille, pur di non essere sacrificata, si uccide. La soluzione drammaturgica di Racine risolve il doppio problema dell’immoralità del sacrificio dell’innocente Ifigenia e dell’inopportuno deus ex machina euripideo.
Racine si pone con la riscrittura del mito questioni che saranno diversamente trattate da Goethe, la cui Ifigenia nasce prima come abbozzo in prosa (1779) ed acquista poi veste poetica durante il viaggio in Italia (1786). Goethe, pur consegnando il dramma (‘Schauspiel’, né ‘tragedia’ né ‘Trauerspiel’) ad Herder perché lo desse alle stampe, scriveva che un lavoro del genere non avrebbe mai potuto dirsi finito ( Viaggio in Italia, Caserta, 16.3.1787). Dopo Goethe chi riprende il mito non ha potuto ignorarne la poliedrica Ifigenia, paradigma del ‘classicismo’ di Weimar e contemporaneamente dramma romantico e in certi sensi contemporaneo: si pensi all’ analisi minuziosa dei conflitti interiori nei quali si dibattono tutti i personaggi. L’Ifigenia goethiana, esaltazione della sororità come forma ideale di affinità elettiva, afferma, come il Prometeo degli Inni, il valore della libertà umana rispetto agli dei e agli uomini, ed esalta la ragione illuministica, attraverso la quale occorre saper correttamente interpretare gli oracoli divini. L’Ifigenia goethiana diventa perciò paradigma del rapporto ideale che dovrebbe costituirsi tra liberi cittadini e il giusto principe, specchio del progetto politico di Goethe nei primi anni a Weimar: in questa prospettiva eirenica, che tiene conto del trattato Sulla pace perpetua di Kant, Toante rinuncia alla vendetta e all’esercizio tirannico del potere ed è da Ifigenia convertito alle ragioni della umanità. A rileggere il dramma, non è difficile trovarvi accenti di attualità: l’Ifigenia di Goethe soffre innanzitutto in quanto straniera, vive in un mondo ostile e non suo, ma al suo accomunato dalla guerra, dall’omicidio, convinta però che l’ideale di umanità, se perseguito con convinzione, possa redimere ogni barbarie perpetrata in nome di una religione, di un costume avito, o dalla presunzione di rappresentare la civiltà.
Il terzo testo qui proposto è Il ritorno di Ifigenia del poeta greco Ghiannis Ritsos: invero non si tratta di un testo teatrale, ma di un poemetto lirico in forma monologica adattabile e adattato in teatro. Indovinata risulta la scelta di un testo difficile, che rompe decisamente con i ‘classicismi’, decostruendo il mito, rispondendo quasi a distanza all’ottimismo illuminista di Goethe: incontriamo una Ifigenia disincantata, definitamente ritornata in patria tra i fantasmi del passato, completamente sola, ammalata, spiata, tenuta sotto controllo in un paese buio, schiacciato dall’autorità. Una Ifigenia al limite della pazzia che si chiude nell’introspezione, trova rifugio e consolazione inoltrandosi più profondamente dentro se stessa (anche questa, forse, un’eredità goethiana adattata alla Grecia dei colonnelli). Ritsos impronta anche questo monologo, come suoi altri in cui parlano maschere mitiche, al più ineludibile fatalismo storico.
L’introduzione in breve riesce a spaziare dall’Ifigenia latina (Ovidio e Lucrezio) all’opera francese del ‘700 (Gluck), dalla Germania nazista dei drammi oscuri di Gerhart Hauptmann alla Germania post-bellica di Ilse Lagner (1899-1987), scrittrice quest’ultima ossessionata dal tema di Ifigenia a cui dedica, nel tempo, ben tre romanzi; infine si spinge in Venezuela (Teresa de la Parra), Messico (Alfonso Reyes), non trascura parte della fortuna nell’iconografia e nel cinema (Cacoyannis, 1977). Non compare la letteratura inglese (la menzione di Tennyson, A Dream of Fair Women, 1832, avrebbe coperto il XIX sec., lasciato del tutto in ombra) o irlandese (cfr. L. Salis, Miti antichi, storie d’oggi: la tragedia nel teatro irlandese contemporaneo, Cosenza 2009). Forse si poteva approfittare per una ricerca – che manca, credo – sulla fortuna del mito nella letteratura italiana: dall’ Oreste di Giovanni Ruccellai (1525), che ha come modello l’ Ifigenia in Tauride di Euripide, all’ Ifigenia attribuita a Ippolito Pindemonte, a quella del patriota cesenate Edoardo Fabbri (1798) che piacque molto al Leopardi, sino ad arrivare al primo atto La tragedia di Aldo Moro di Dario Fo, esplicitamente ispirato anche all’Ifigenia in Aulide, oppure alla traduzione di Edoardo Sanguineti, ora edita da Federico Condello (cfr. BMCR 2013.08.47). Si poteva dare cenno di ‘variazioni’ un po’ più recenti: in ambito tedesco almeno Volker Braun e Rainer W. Fassbinder. Ma come diceva Goethe, non si finirebbe mai di lavorare a questo soggetto (contemporaneamente usciva anche il volume di Edith Hall, Adventures with Iphigenia in Tauris: A Cultural History of Euripides’ Black Sea Tragedy.. Oxford; New York, 2013, cfr. BMCR 2014.06.37). Questa, inoltre, non è sede adatta ad una monografia scientifica o ad un catalogo di rarità. Il prezioso volume curato da Caterina Barone risponde invece pienamente alle esigenze del pubblico di non specialisti, o non ancora specialisti, a cui è rivolto, non da ultimo suscitando curiosità per ulteriori letture e approfondimenti.