Il volumetto—preceduto da una densa Introduzione (pp.9-16) nella quale si indicano gli scopi del lavoro, consistenti nell’illustrare “il ruolo avuto dal Pasquali nella costituzione disciplinare della storia degli studi antichistici” (p.9)—ha come fonte principale, come lo stesso Autore dichiara, “i due volumi, pubblicati nel 1968, dodici ( sic ! ) anni dopo la sua morte, con il titolo di Pagine stravaganti ” (p.10).
Successivamente l’A. precisa: “Con questo libro si tenta di delineare le matrici stabili del pensiero storiografico del Pasquali” (p.11); aggiunge inoltre: “E’ evidente che quella che si tenta qui di ricostruire non è una storia degli studi classici in senso manualistico; (…) trattasi di una selezione di personaggi, di problemi e di indirizzi metodologici ritenuti significativi dal Pasquali, talvolta anche solo per motivi occasionali”, e infine ribadisce: “Pertanto i profili del Pasquali non costituiscono una storia della filologia nel senso istituzionale” (p.12).
Il lavoro si articola in tre sezioni, seguite da un’Appendice e dall’Indice dei nomi moderni.
Nella prima, “Metodologie moderne per lo studio dell’antichità” (pp.17-78) si delineano i profili di nove studiosi (ma il procedimento è desultorio ed inoltre mi sfugge il criterio della rassegna che non è né alfabetico né cronologico): sono nell’ordine i ritratti di Mommsen, Wolf, Pistelli, Vitelli, Guido Fava, un oscuro scrittore medievale, Wackernagel, Huelsen, Comparetti, Wilamowitz.
Particolarmente interessanti le pagine di Pasquali su Mommsen.
Giordano (p.20) aderisce alla valutazione pasqualiana del grande storico, accettando “la netta distinzione fra il Mommsen giurista e il Mommsen storico e filologo”; ancora sulla scia di Pasquali, parla quindi di una dicotomia fra le due attività. E’ invece più convincente la posizione del Fraccaro che, nella voce dell’ Enciclopedia italiana dedicata a Mommsen, afferma che egli è riuscito splendidamente a congiungere in una concezione unitaria lo studio del diritto romano con quello della storia e della filologia, per assurgere ad una ricostruzione integrale della civiltà romana.
E, quanto al Pistelli, Giordano (p.35) ricorda—senza prendere le distanze da una così discutibile affermazione—che “secondo il Pasquali, la sua lunga docenza nelle scuole secondarie influì anche sulla scarsa qualità della sua didattica accademica; è all’origine delle inadeguate profondità e problematicità dei suoi corsi universitari”.
E per il ritratto del Comparetti, delineato da Pasquali, Giordano (p.55) “ rivela una certa affinità tra i due studiosi sia per l’ampiezza degli interessi culturali e sia per l’indirizzo metodologico incentrato da entrambi sulla interconnessione tra la critica del testo e l’esegesi”; ma a p.108, contraddicendosi, osserva giustamente “che uno degli interessi maggiori del Pasquali è stato rivolto alla critica del testo, che fu, invece, una problematica a cui il Comparetti era del tutto estraneo”.
Ma de hoc satis.
Nella seconda sezione, dal titolo “Il classico come “intertesto” (pp.79-101) leggiamo non i profili ma occasionali valutazioni pasqualiane di tre scrittori della letteratura nazionale: nell’ordine, D’Annunzio, Pascoli e Alfieri dei quali il Pasquali sottolinea il diverso approccio ai documenti antichi (ma, anche in questo caso, non è chiaro quale sia il criterio che ha suggerito all’A. il suddetto ordine di successione).
Infine la terza sezione—forse la più interessante del libro di Giordano—s’intitola “La Storia dello spirito tedesco e l’ermeneutica delle metodologie filologiche” (pp.103-115). Per la precisione il riferimento è al volume del Pasquali intitolato “ Storia dello spirito tedesco nelle memorie d’un contemporaneo, pubblicato postumo nel 1953, che costituisce una riflessione sull’opera di Ludwig Curtius, Deutsche und antike Welt. Lebenserinnerungen, del 1950. L’A. analizza il volume del Pasquali non tanto per i dati prosopografici che contiene, per le considerazioni sull’aspetto fisico, sulle abitudini di vita, o sulla conformazione caratteriale di singoli studiosi dell’antichità, descrizioni, come si sa, peraltro frequenti nel volume, quanto per i giudizi specifici espressi su di essi in quanto studiosi e per la ricostruzione di alcune linee programmatiche che si sono sviluppate e confrontate all’interno della Altertumswissenschaft tra la fine del XIX secolo e l’inizio di quello successivo.
Un solo appunto: l’autore parla (p.113) di un “Pasquali, contrario a lavori microfilologici”. Ma tutti sanno che lo stesso Pasquali ne fu spesso autore compiaciuto.
Segue l’Appendice: “Appunti su Pasquali scrittore” (pp.117-125).
Sullo stile di Pasquali, l’autore dà un parere nettamente positivo:“Il Pasquali, data la sua avversione verso la scrittura antiquatamente manierata, altisonante e compiaciuta del Romagnoli, si propone di coniugare elevatezza e fluidità dello stile, di creare una scrittura mossa e vivace, ma priva di inutili vezzi formali o di reboanti paradossi” (p.121).
Invece ben diverso, sostanzialmente condivisibile, ma curiosamente ignorato dal Giordano, il giudizio di F. Della Corte, Pasquali nella storia degli studi classici, in “Giorgio Pasquali e la filologia classica del Novecento”, il quale ricordava che “L’esigente critica letteraria, non a torto, gli rimproverava di non sapere scrivere un saggio leggibile” (p.117).
In conclusione il dotto lavoro di Giordano, anche se ha il difetto di essere talora caratterizzato da uno stile per così dire “pasqualiano”, è ricco di informazioni e di spunti che meritano attenzione e ulteriori approfondimenti.