Alla crescita di attenzione relativamente recente per la poesia tardoantica si deve la riscoperta di opere che, fino a mezzo secolo fa, erano considerate marginali e conseguentemente trascurate, tra cui l’ Iliou halosis di Trifiodoro: un poemetto interessante, non privo di fascino e di aspetti problematici, che soltanto negli ultimi trent’anni ha registrato un notevole aumento dell’interesse nel mondo accademico. Il testo è stato pubblicato quasi contemporaneamente da E. Livrea e da B. Gerlaud (rispettivamente Leipzig e Paris, 1982), poi da F. J. Cuartero Iborra (Barcelona 1988) e da U. Dubielzig (Tübingen 1996); un lessico è stato compilato da M. Campbell (Hildesheim 1985), una concordanza da F. Fajen e M. Wacht (Hildesheim 2003). Ne sono stati studiati i contenuti non meno che gli aspetti stilistici e formali: e.g. M. Paschalis, Pandora and the Wooden Horse. A Reading of Triphiodorus’ Alosis Iliou, in Idem (ed.), Roman and Greek Imperial Epic, Herakleion 2005, pp. 91-115; M. Ypsilanti, Triphiodorus Homericus. People in the Iliou Alosis and their Forebears in the Iliad and the Odyssey, in WS 120, 2007, pp. 93-114; D. Monaco, Il lessico di Trifiodoro, in Glotta 83, 2007, pp. 127-191. Nondimeno, l’ultimo commento completo dedicato al poemetto era, fino a oggi, quello di F. A. Wernicke (Leipzig 1819); inoltre “even the most recent discussions of the poem tend to see it as a space where the influences of different authors compete for attention, a quick halt in the evolution of epic poetry” sulla via che porta a Nonno di Panopoli (dalla prefazione, pp. VII-VIII). L. Miguélez-Cavero ora colma questa lacuna, con un commento di notevole spessore che inquadra i singoli passi “in the context of the poem and of the tradition of the Trojan War”, per rendere più evidenti le scelte di Trifiodoro e le relative ragioni, in quanto “he is still a poet with his own ideas […] not a simple versifier who pulls together strings from other poems” ( ibidem).
Il saggio introduttivo affronta i principali problemi riguardanti l’autore (pp. 3-8) e il poemetto (pp. 9-37: trama e struttura, personaggi, ruolo del narratore, discorsi, etc.), con particolare riguardo ai rapporti con i modelli (pp. 38-87), un breve ma denso esame metrico (pp. 88-90) e qualche accenno al Fortleben (pp. 91-92). Più che di un’introduzione ‘convenzionale’ (una mera premessa alla lettura dell’opera), si tratta di un saggio monografico di carattere sistematico e di ampio respiro, che tratteggia un quadro complessivo del poemetto, esaminandone i diversi aspetti e discutendone i principali problemi.
La datazione un tempo largamente diffusa, che collocava il poema sullo scorcio del V secolo, è respinta alla luce dell’evidenza papiracea: in particolare P. Oxy. 41.2946, che contiene un centinaio di versi del poemetto. Quest’ultimo è collocato quindi nel III secolo, dopo i Posthomerica di Quinto Smirneo (con F. Vian, L’épopée grecque de Quintus de Smyrne à Nonnos de Panopolis, in BAGB 45, 1986, pp. 333-343). Tale datazione è confermata dall’analisi metrica, che rispecchia “the search for a smooth version of the hexameter, with more regular and recognisable units”, quale tappa intermedia nell’evoluzione della struttura esametrica, che raggiungerà la massima semplicità e ‘riconoscibilità’ con Nonno di Panopoli (pp. 88-90).
L’ Iliou halosis si configura come un “re-enactment” del canto di Demodoco nell’ Odissea (8.499-520), di cui riprende e sviluppa articolatamente i singoli punti (p. 9). Il genere letterario rimane sub iudice, in quanto il poemetto presenta diversi aspetti tipici dell’epillio (un ‘epos’ esametrico di carattere narrativo e di corto raggio, che comprende un motivo descrittivo, ovvero il cavallo di legno ai vv.57-107), ma mancano “other content-or-style-based requisites”, i.e. i canoni estetici propriamente alessandrini (p. 10). Un elemento di gusto squisitamente ellenistico è costituito invece dagli “enigmi”, che rappresentano “a means of communication between the scholar poet and an audience versed in the appreciation of complex forms of literature” (pp. 14-17).
L’impegno investito nella descrizione psicologica dei personaggi “as an important aspect of the motivation of the plot” risente dell’influenza diretta dell’epica omerica, ma anche dell’antica esegesi praticata sull’ Iliade : i Troiani non sono soltanto “childishly spontaneous and thoughtless”, ma anche incapaci di interpretare i “segni rivelatori” che si manifestano durante il trasporto del cavallo o nella profezia di Cassandra; di contro, gli Achei “do everything well”, sono lucidi e acuti “at sign reading”, ben organizzati e uniti, ma il loro comportamento nello scontro finale è smodato ed eccessivamente violento (pp. 17-22). Per quanto riguarda i singoli personaggi, “the initial introduction of each is meant to forecast and justify his success or lack of it”: emblematico il caso di Odisseo che, quando sta per parlare in assemblea, è descritto “as a man in a state of complete concentration […] trying to absorb all the persuasive powers that Athena gives him”; non meno accurata ed efficace la caratterizzazione di Sinone e Neottolemo (pp. 23-26).
Il narratore, nel poemetto di Trifiodoro come nell’epos omerico, è “external, omniscient, and omnipresent”, come emerge dalla descrizione delle azioni divine e dall’introspezione psicologica condotta sui personaggi, di cui egli interpreta “the inner motivations”: i suoi interventi diretti assumono la forma di apostrofi e commenti valutativi “stressing the pathos of death”, a cui si aggiungono elementi più discreti, impliciti, come la particolare coloritura delle descrizioni (e.g. la costruzione del cavallo di legno, che dimostra “the expertise and careful preparation of the Achaeans”), l’intreccio di motivi epici e storiografici, le diverse strategie di comparazione, specialmente le similitudini e le metafore (pp. 27-35). L’influsso omerico si combina con temi e stile propriamente retorici nei discorsi diretti e soprattutto in quello di Odisseo (vv.120-151), mentre “the presentation of obscure and pathos-filled words” da parte della profetessa invasata Cassandra rivela l’impronta di Euripide e di Licofrone (pp. 35-37).
I rapporti con Omero sono trattati in modo ampio ed esauriente, muovendo dal canto di Demodoco ( Od. 8.499-520) come ipotesto dell’intero poemetto e stilando una rassegna di loci similes e di motivi omerici variamente rielaborati, per poi considerare l’influenza dell’esegesi condotta sull’ Iliade e sull’ Odissea nei secoli precedenti, i contenuti geografici e mitografici, il lessico e alcuni aspetti dello stile (pp. 38-51).
I rapporti col ciclo epico sono affrontati invece in modo più sintetico e superficiale, con approccio pregiudizialmente scettico (pp. 52-56). Il problema è innegabilmente complesso, soprattutto per lo stato frammentario di questi poemi, di cui non sappiamo se al tempo di Trifiodoro circolassero i testi (integrali o almeno parziali), o se fossero noti soltanto da riassunti. Tuttavia la ricerca poteva spingersi più in profondità, valutando ‘segnali’ ed elementi indiziari, se non probanti. Per esempio: il canto di Demodoco, considerato dall’Autrice il modello basilare del poemetto di Trifiodoro, sembra coincidere in più punti col contenuto dell’ Ilioupersis di Arctino (come riferito da Proclo, Chrest. 237-274 Severyns), in quanto risale probabilmente a un comune sostrato culturale orale; mi chiedo quindi se non si possa immaginare (quanto meno, come ipotesi di partenza per una successiva indagine) un rapporto imitativo tra il poemetto di Trifiodoro e quello di Arctino, o un suo compendio. Anche l’importanza attribuita dall’Autrice alla tradizione esegetica porta in questa direzione, dal momento che gli antichi commenti dei poemi omerici sono disseminati di riferimenti al ciclo epico, che Trifiodoro poteva conoscere (pur in modo indiretto) anche per questa via. Il problema stesso del genere letterario, discusso separatamente dall’Autrice e lasciato in sospeso sul dilemma epillio / non-epillio, si potrebbe riconsiderare alla luce di eventuali rapporti col ciclo epico: l’ Ilioupersis di Arctino era infatti un epos di più corto raggio, pur essendo lontano dall’epillio di tipo alessandrino.
Meglio attestato e quindi meglio esaminato l’influsso di Esiodo e di Pindaro (pp. 56-57), che si riscontra in diversi paralleli verbali: in particolare, la descrizione del cavallo di legno “has much in common with Hesiod’s Pandora”; mentre “Pindar seems to be central” nel racconto della morte di Neottolemo a Delfi (vv.640-643). Per la tragedia, si considera non solamente l’imitazione diretta, ma anche “the use of vocabulary and phraseology with tragic connotations”, quale si riscontra soprattutto nell’intervento di Cassandra (vv.358-416), la cui peculiare figura è descritta in modo efficace e suggestivo nell’ Agamennone di Eschilo e nelle Troiane di Euripide (pp. 58-61). Tra gli autori ellenistici, Apollonio Rodio svolge una mediazione “as a proficient upholder of the Homeric tradition”, in funzione di variatio; Callimaco fornisce alcuni ideali estetici, in primis il rifiuto del poema epico di ampio respiro, di stampo tradizionale; è consistente l’influenza dell’ Alessandra di Licofrone “as a source for mythological variants of several stories”, ma anche per lo stile ‘profetico’, intessuto di metafore oscure (pp. 61-64).
I rapporti con l’ Eneide sono discussi ponderatamente: Trifiodoro pare conoscere il poema virgiliano (come dimostrano soprattutto alcuni punti di contatto nell’episodio di Sinone, a cui il poeta greco attribuisce però “a more dignified role”), ma non lo imita che marginalmente, tende anzi a distaccarsi quasi sistematicamente dal racconto di Aen. II, “to construct a poem so Greek that it could be imagined as coming from the mouth of Demodocus”, per sottolineare la propria ascendenza spiccatamente omerica e per difendere, di conseguenza, la propria identità culturale greca (pp. 64-70). L’atteggiamento di Trifiodoro nei confronti di Virgilio è simile a quello di Quinto Smirneo, con cui si riscontrano anche altre analogie; tuttavia è difficile dire se tra i due poeti greci se vi sia realmente “a direct link”, un rapporto imitativo o emulativo (pp. 71-75).
L’esame dei modelli prosegue con uno sguardo sullo “scenario letterario contemporaneo”, che si estende dal genere didattico (pp. 75-80) agli scritti in prosa sul mito troiano, e.g. l’orazione XI di Dione e l’ Ephemeris belli Troiani di Ditti (pp. 82-87). Un punto di notevole interesse, che si poteva sviluppare forse in modo più ampio e approfondito, è l’interpretazione allegorica dell’azione divina, praticata da Trifiodoro “in his search for balance between narrative coherence and mythical atmosphere” (p. 78).
Nondimeno sorprende che, in un saggio introduttivo così cospicuo e qualitativamente apprezzabile, manchi completamente una sezione sulla tradizione manoscritta: quand’anche l’Autrice non avesse alcun interesse per l’argomento (parte integrante di una trattazione esaustiva sul poemetto), avrebbe potuto aggiungere almeno una sezione puramente compilativa, anche soltanto una nota di due o tre pagine, per esigenza di completezza – tanto più che il volume si rivolge a un pubblico colto (come si evince dalla mole, dalla mancanza della traduzione e dall’approfondimento del discorso critico, oltre che dall’impostazione specialistica della collana stessa in cui è pubblicato), che non rinuncia volentieri a questo genere di informazioni.
Il testo greco qui riportato (pp. 93-116) non è un’edizione critica, bensì “a companion text for the commentary”, coincidente con quello di Gerlaud ( ed. cit. supra), con l’apparato di tipo tradizionale ridotto al minimo, ma rimpinguato con costante riferimento alle scelte operate nelle altre edizioni moderne (principalmente Livrea e Dubielzig). Il testo è preceduto dal conspectus codicum, semplificato e abbreviato rispetto a quello di Gerlaud.
Il commento è degnamente appaiato col saggio introduttivo, con cui ha in comune l’ampiezza e l’accuratezza dell’analisi; poco spazio però è dedicato a problemi di carattere strettamente filologico, critico-testuale ed esegetico. Spicca l’esame di alcuni punti particolarmente importanti, come il proemio (vv.1-5, pp. 120-134), la descrizione della costruzione del cavallo di legno (vv.57-107, pp. 156-190), la narrazione della battaglia notturna (vv.506ss., pp. 387ss.). Tuttavia quest’ultima mi sembra ben distinta dalle vicende successive (tra cui il sacrificio di Polissena e la spartizione del bottino), anche mediante una cesura strutturale che consiste in un intervento diretto dell’autore (vv.664-667): non condivido quindi l’accorpamento del racconto propriamente bellico (vv.506-663) con gli eventi conclusivi (vv.668-691) in un’unica sezione, sia pur tripartita (cf. schema, p. 387).
Gli aspetti linguistici e stilistici sono trattati in modo esauriente, con frequente richiamo al modello omerico (non senza mettere in luce l’originalità di Trifiodoro sia nell’uso di lessico e costrutti “non omerici”, sia nella rielaborazione innovativa di scene e similitudini provenienti dall’ Iliade e dall’ Odissea). I rapporti con svariati modelli sono sviscerati in modo accurato e puntuale, ma l’attenzione si sofferma opportunamente anche su precedenti letterari e su testi coevi con cui Trifiodoro non intrattiene (o non è sicuro che intrattenga) un rapporto intertestuale in senso stretto, come i poemi del ciclo epico, l’ Eneide e i Posthomerica di Quinto Smirneo.
In conclusione, si tratta di un volume prezioso (pur con i limiti di cui si è detto), che costituirà un punto di riferimento per i prossimi studi su Trifiodoro e, in generale, sull’epos greco del periodo imperiale. Non mancano un’ampia bibliografia e gli indici dei nomi e degli argomenti, dei termini greci e dei passi citati.