BMCR 2013.09.07

Omero e i suoi oratori: tecniche di persuasione nell’Iliade. Beiträge zur Altertumskunde. Band 302

, Omero e i suoi oratori: tecniche di persuasione nell'Iliade. Beiträge zur Altertumskunde. Band 302. Berlin; Boston: De Gruyter, 2012. x, 340. ISBN 9783110287646. $154.00.

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Se Omero possa essere considerato iniziatore della retorica, anche nel caso in cui la si intenda come scienza della persuasione e non solo come mera pratica oratoria, è oggetto di ampio dibattito, come possiamo desumere dall’ Introduzione (pp. 1-57), in cui Dentice d’Accadia illustra brevemente le due principali linee interpretative moderne, quella antiretorica e quella di chi, viceversa, vede nei poemi omerici (in particolare l’ Iliade, su cui gli studiosi si sono prevalentemente concentrati) una certa consapevolezza delle tecniche retoriche. La questione, in realtà, era già stata affrontata dai commentatori antichi, come emerge dal quadro che l’Autore delinea;1 facendo riferimento ad essi, in controtendenza rispetto ai moderni che spesso li trascurano, Dentice d’Accadia intende portare il suo personale contributo, verificando se si possa individuare nei discorsi iliadici la presenza di un’oratoria consapevole e di una germinale riflessione retorica; l’approccio non vuole essere rigidamente tipologico né strutturalista, ma calare il discorso di volta in volta esaminato nel suo contesto narrativo, nella convinzione che questo possa meglio illuminarne gli elementi persuasivi. L’Autore precisa, inoltre, di non mirare all’esaustività, ma ad offrire un campione di discorsi che si caratterizzino per un marcato intento di persuasione.

Nel primo capitolo (pp. 58-92) sono esaminati i discorsi presenti nel primo libro dell’ Iliade : dalla supplica di Crise agli Achei, alla sua preghiera ad Apollo, dal dibattito assembleare che vede coinvolti Agamennone, Achille, Calcante, Nestore, alla preghiera di Achille a Teti e di questa a Zeus, fino alle parole di Efesto per rabbonire la madre Era, l’Autore mette in luce come, accanto ad elementi tipici, sia possibile riscontrare aspetti più originali, riconducibili ad esigenze dettate dalla convenienza e dalla volontà di persuadere. Pertanto, già il I libro testimonierebbe nel poema una cultura del discorso, capace di fare consapevolmente appello sia alla ragione sia al sentimento degli ascoltatori: sebbene non ancora τέχνη, l’arte della persuasione sembra aver già raggiunto un notevole grado di complessità.

Il secondo capitolo (pp. 93-139) è dedicato alla Prova di Agamennone: appoggiandosi alle osservazioni di vari commentatori antichi (e non solo allo Pseudo-Dionigi: cf. p. 97), si sostiene che il discorso pronunciato dall’eroe non sarebbe un fallimento, ma realizzerebbe perfettamente le intenzioni di chi lo pronuncia, ovvero “purificare” l’esercito dall’ira verso il re per le offese ad Achille e renderlo più disponibile a combattere, recuperando, nel contempo, autorevolezza. Si tratterebbe, pertanto di un discorso figurato. Odisseo e Nestore, secondo una strategia concordata con Agamennone e non, come si è talora creduto, mettendone in discussione le capacità (cf. p. 96) o l’autorità (cf. p. 107), avrebbero l’uno il compito di riportare l’ordine, l’altro di incitare adeguatamente i soldati a combattere. Un’attenzione particolare viene, infine, dedicata all’intervento di Tersite: sebbene il suo discorso riprenda le tesi di Achille e non sia privo di forza argomentativa, esso fallisce, soprattutto perché il Poeta presenta il personaggio in luce negativa, come ridicolo e odioso. Egli è un anti-oratore, che usa la parola non per conciliare, ma per dividere, incarnando il tipo del demagogo pericoloso.

Nel terzo capitolo (pp. 140-167) Dentice d’Accadia discute alcune parenesi e suppliche presenti nei libri III-VII: l’elaborata strategia persuasiva che le caratterizza (accanto agli elementi tipici, emergono dall’analisi differenze riconducibili alla personalità del parlante e del destinatario, nonché all’occasione ) induce ad ipotizzare una certa consapevolezza tecnica nel Poeta.

Oggetto del quarto capitolo (pp. 168-203) è il canto IX, celebrato per la sua dimensione oratoria già nell’antichità: prima di affrontare i discorsi dell’ambasceria, l’Autore ritiene opportuno soffermarsi su quelli pronunciati preliminarmente nell’assemblea, generalmente trascurati: se l’intervento di Agamennone sembra ripetere le argomentazioni della Prova (qui in realtà l’eroe sarebbe realmente scoraggiato), particolarmente abile appare quello di Nestore, caratterizzato da tatto e lode, in grado di risollevare gli animi e indirizzarli al progetto dell’ambasceria. Per quanto riguarda i discorsi degli ambasciatori, sono evidenziati il tema principale, la struttura elaborata, l’abilità retorica, ma anche i punti deboli, che le repliche di Achille, oratore altrettanto valido, non mancano di mettere in luce.

Il quinto capitolo (pp. 204-217) esamina il discorso di Nestore a Patroclo (libro XI), di cui si sottolinea la coerenza ed efficacia, in quanto non destinato, come si è talora pensato (Cantieni 1942; Vester 1956: cf. pp. 206ss.), ad Achille assente, ma a persuadere il suo amico a convincerlo a tornare in battaglia (o, almeno, a lasciare che Patroclo stesso e i Mirmidoni vi partecipino).

Nel sesto capitolo (pp. 218-222) sono esaminati i due discorsi di Iris a Poseidone: se nel primo la dea ripete « verbatim » (p. 218) l’ammonimento di Zeus al fratello, nel secondo appare «oratrice originale» (p. 219), che non solo si rivolge al suo interlocutore con diplomazia, ma contemporaneamente gli impartisce un insegnamento retorico, intessuto nella narrazione epica, ovvero la necessità del tatto e di parlare in modo figurato (interpretazione di fatto confermata dal tono del successivo discorso di Poseidone).

Oggetto del settimo capitolo (pp. 223-237) è la nuova l’assemblea che segna il ritorno di Achille alla guerra: in particolare dal discorso di Agamennone (il cui destinatario principale appare l’esercito), si può desumere, secondo Dentice d’Accadia, l’importanza che la parola pubblica e la sua corretta percezione rivestono per il Poeta.

Anche il lamento di Briseide sul cadavere di Patroclo (capitolo ottavo: pp. 238-242), pur nella tipicità della situazione, si rivelerebbe un «pezzo unico» (p. 242), perché calibrato sulla situazione dolorosa della concubina di Achille, che vede svanire la prospettiva delle nozze con l’eroe.

Nel nono capitolo (pp. 243-260), l’Autore prende in esame i quattro discorsi pronunciati nel corso del poema da Polidamante, avvalendosi del contributo degli esegeti antichi che, a differenza dei moderni, vi hanno dedicato una certa attenzione, e sottolineandone l’efficacia persuasiva, improntata ad una retorica della prudenza (cf. p. 246). La loro struttura si rivela articolata (analisi della situazione attuale, formulazione di proposte alternative, valutazione delle conseguenze) e associata ad un sapiente dosaggio di emozioni: se non sempre essi hanno successo, è perché viene loro contrapposta da Ettore la retorica dell’onore individuale e collettivo, ancor più raffinata e persuasiva.

Accanto agli aspetti tipici, nella supplica di Licaone (capitolo decimo: pp. 261-268), sono riconoscibili elementi più specifici, legati, per es., alla sua condizione di ex-prigioniero di Achille, sui quali l’orante fa leva per essere risparmiato. Indipendentemente dall’esito, essa appare ben costruita: la situazione, tuttavia, non consente la pietà.

Nel capitolo undicesimo (pp. 269-286) è analizzata la preghiera di Priamo ad Achille: sebbene interessino all’Autore soprattutto gli aspetti retorici, egli si sofferma anche sugli aspetti non-verbali, per certi versi paradossali, che caratterizzano la scena: particolare rilievo hanno il coraggio e la dignità di Priamo, che ben disporrebbero Achille. Esaminando il discorso del vecchio re, Dentice d’Accadia sottolinea in primo luogo come esso si discosti dalle indicazioni ricevute da Ermes (dunque nell’ Iliade «è attestata la possibilità di rielaborare retoricamente un messaggio»: p. 276); quindi come l’argomento centrale, che fa passare in secondo piano gli altri, compreso quello dell’entità del riscatto (cf. p. 278), sia l’identificazione con Peleo. Infine, la risposta di Achille si configura come una consolatio : tra i motivi che la compongono, si segnala il paradigma di Niobe, a ribadire la necessità della sospensione del lutto per sostentarsi. Alla base del mutato atteggiamento di Achille sarebbe non tanto un’evoluzione psicologica e non solo l’obbedienza agli dei, ma l’identificazione emotiva che caratterizza il sentimento di pietà (come sarà sottolineato da Arist. Rhet. 1385 b 11).

Nel dodicesimo capitolo (pp. 287-299), facendo riferimento a Hentze 1904, l’Autore ritiene opportuno esaminare alcuni monologhi di tipo valutativo, in quanto in essi riflessioni e sensazioni sono presentate come un discorso pronunciato (cf. p. 287). Se li consideriamo come brani oratori a tutti gli effetti, secondo un approccio critico che appare trascurato dagli studiosi, più attenti agli aspetti psicologici (p. 288) o tipici (p. 289) e inclini a considerarli prove di oratoria naturale, risulta possibile individuare in essi la presenza di tecniche di autopersuasione, che si fondano sull’uso di argomentazioni logiche, e non solo patetiche.

Le Conclusioni Generali (pp. 300-313) sottolineano, nell’ Iliade, l’importanza della parola parlata rispetto all’azione: utilizzata per scopi differenti, essa mira soprattutto a convincere, quindi ha una dimensione pratica. Parlare, per il poema, di retorica naturale può risultare allora riduttivo: certo non c’è ancora una codificazione della retorica come τέχνη, ma si può immaginare un suo insegnamento per imitazione.

Numerosi i punti di forza del libro: in primo luogo, il sistematico rinvio alla critica antica, nei confronti della quale ci sembra che l’Autore sia complessivamente riuscito nell’intento di lasciarsi guidare senza lasciarsi condizionare (un esempio alle pp. 172ss., a proposito della franchezza di Diomede in Il. IX 32-49), diventa occasione per approfondire non solo la conoscenza del poema omerico, ma la storia della sua ricezione.

Pienamente condivisibile, inoltre, la scelta di non disgiungere i discorsi esaminati, come brani oratori isolati, dal contesto narrativo che li genera e che, a sua volta, ne è generato: ciò consente non solo di distinguere gli aspetti individuali da quelli tipici, comunque presenti, ma anche di comprendere perché un discorso, sebbene caratterizzato da una forte componente retorica, possa non avere efficacia (cf. per es. quelli di Adrasto, Licaone o Polidamante).

Scendendo nel dettaglio dei discorsi esaminati, risulta convincente l’analisi della Prova; apprezzabile la rivalutazione dell’inclinazione di Nestore a dilungarsi in racconti autobiografici, considerati non semplice testimonianza di logorrea senile, ma exempla funzionali alla persuasione; condivisibile l’interpretazione del secondo discorso di Iris a Poseidone, non solo per il decorum oratorio che lo caratterizza, ma anche per l’insegnamento tecnico che attraverso esso verrebbe offerto dalla dea. Interessante anche la scelta di trattare alcuni monologhi autopersuasivi, che ha consentito all’Autore di mettere in luce la presenza di elementi tipici come la gnome o l’uso di prove razionali, riscontrabili ampiamente nell’oratoria successiva. Nello stesso tempo, dall’analisi è emersa, accanto alla struttura tipica, la sapienza del Poeta nel variare in base alle esigenze della narrazione: infatti, mentre Odisseo e Agenore si riscuotono dallo smarrimento che li ha presi e recuperano il codice eroico, Menelao giunge ad una soluzione di compromesso, Ettore, infine, tradisce la deliberazione presa nel corso del suo monologo con la fuga.

La trattazione si attiene strettamente agli obiettivi prefissati, lasciando inesplorate alcune implicazioni che meriterebbero, a mio parere, un approfondimento: per es., l’esplicitazione dell’insegnamento retorico sotteso al secondo discorso di Iris a Poseidone offrirebbe un utile contributo al dibattito sul concetto di «enciclopedia tribale» di Havelock (autore peraltro assente dalla Bibliografia); viceversa, gli aspetti atipici (e quindi non formulari) di certi discorsi, potrebbero suggerire interessanti spunti di riflessione sulle modalità di composizione (sulla scia di un pur citato Di Benedetto 1998 2); anche sull’autore del poema Dentice d’Accadia lascia inespressa la propria posizione, limitandosi a nominare un generico Poeta dell’ Iliade.

Il libro è curato (pochi gli errori stampa, che non inficiano la comprensione del testo: per es. p. 12 r.1 si legga testimonian-za; p. 91 lettera d si legga dei vv. 259-261; p. 166 n. 60 si legga Andromaca; p. 296 r. 36 si legga Agenore; p. 309 n. 30 si legga bene) e ben scritto; utile la scelta dell’Autore di riassumere i dati salienti alla fine di ogni capitolo e, soprattutto, nelle Conclusioni Generali. Non sembrano del tutto adeguati alla ricchezza della trattazione gli indici: sarebbe stato opportuno un index locorum sia degli autori antichi citati, sia dei moderni.

Notes

1. L’Autore si avvale in special modo del commento dello Pseudo-Dionigi di Alicarnasso da lui curato ( I discorsi figurati I e II (Ars Rhet. VIII e IX Us.-Rad.), introduzione, traduzione e commento a cura di Stefano Dentice di Accadia, Pisa-Roma, Fabrizio Serra editore, 2010).