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Questa densa raccolta di saggi chiama in causa una delle direttrici fondamentali, se non la più importante e distintiva, del fenomeno culturale che, in senso analogico e storicamente determinato, definiamo “religioso”. Gli ideatori del progetto e i loro collaboratori, infatti, hanno inteso indagare, in culture diverse ma storicamente contigue, modalità e funzionamento di quella “via di comunicazione” fra il livello cosmico e umano e il livello “altro”, popolato da potenze che a vario titolo lo hanno fondato alle origini e nell’attualità intervengono in esso a permetterne il funzionamento, che nelle diverse culture è ritenuta possibile e praticabile attraverso strategie diverse ma tutte concorrenti al medesimo fine, quello di garantire sicurezza e benessere per l’individuo e la comunità. Tra queste strategie un ruolo decisivo è assolto dal “sistema di segni” che in ciascuna cultura è stato elaborato per individuare il “linguaggio” delle potenze e fornire all’uomo le adeguate chiavi di lettura per interpretare la loro volontà ed eseguirne le prescrizioni.
Il focus dell’attenzione, peraltro, è centrato sul mondo greco e romano, con ampio spazio offerto alla dimensione comparativa tra i due ambiti e agli sviluppi della riflessione sul tema all’interno delle scuole filosofiche. Ne risulta un quadro ben articolato che permette un adeguato approccio storico al tema e la verifica delle premesse metodologiche e dei fondamenti teorici della ricerca, soggiacenti in misura diversa ai vari contributi ed enunciati in maniera sistematica nella Presentazione redatta in comune dai tre curatori dell’opera. In essa si chiarisce preliminarmente l’obiettivo specifico delle indagini: analizzare l’articolazione della trama che collega ”segni, riti, destini nelle società del Mediterraneo antico”.. Il primo oggetto d’indagine è il “segno” quale tramite della comunicazione fra il mondo degli uomini e il mondo degli dèi, nella sua qualità di messaggio che proviene da questi ultimi e deve essere correttamente interpretato dall’uomo, attraverso strategie rituali o intellettuali che permettano di aprire uno spazio alla sua libera iniziativa a fronte di quello che il segno medesimo configura come un destino pre-determinato dalla volontà divina.
Alla luce di tale progetto, gli interventi sono raggruppati in funzione della specifica prospettiva da cui il tema è analizzato. Si definiscono infatti quattro sezioni al cui interno si dispongono i contributi al fine di fare emergere più nettamente le diverse sfaccettature che il fenomeno in oggetto può assumere all’interno di una medesima tradizione.
La prima sezione ( Istituzioni divinatorie e costruzione rituale dei segni) comprende i contributi di Glassner, Georgoudi, Jailllard e Scheid, esemplificando dunque il tema in relazione alla complessa e antica semiologia divinatoria elaborata in Mesopotamia sul solido fondamento grafico della scrittura, almeno a partire dal XVIII sec. a.C., e alle tecniche divinatorie della Grecia e di Roma. Se il contributo di Jailllard si orienta sul campo singolare della mantica di Hermes, caratterizzata dal segno fortuito e spontaneo del klêdôn, l’ampia e dettagliata analisi della prassi divinatoria dell’oracolo di Dodona da parte di Stella Georgoudi fa emergere con irrefutabile chiarezza come in essa convivevano ‒ in un intreccio di intensa efficacia espressiva ‒ suono, voce/parola e scrittura, smentendo la consolidata opinione secondo cui lo Zeus dodoneo si sarebbe espresso solo attraverso i sêmeia. A J. Scheid si deve poi una convincente dimostrazione del processo evolutivo, di forte ispirazione “politica”, attraversato nel corso degli ultimi secoli della Repubblica dal rito degli auspici a Roma, a smentita del preteso tradizionalismo immobilista del quadro religioso romano.
Nella seconda sezione ( Signes impromptus et phénomènes naturels. Présages et prodiges), mentre ritorna l’attenzione sul mondo greco, sia nella dimensione rituale (con i contributi di Patera e Chirassi Colombo) sia nella dimensione speculativa, quale emerge dalla Vita di Timoleonte plutarchea (Kock Piettre), l’orizzonte si allarga all’Egitto faraonico, in cui appare assai forte se non esclusiva l’attenzione ai “segni della natura” come strumento di mediazione della volontà divina (Jambon). Esso contempla anche l’analisi della specifica posizione di Flavio Giuseppe e Tacito (Schmidt), spostandosi lo sguardo sul giudaismo tardo nella sua dimensione storica di rapporti, conflittuali ma anche stimolanti, con il potere di Roma e sulle reazioni suscitate –nel momento più acuto del confronto-scontro tra queste due realtà– dai medesimi eventi da parte di personalità appartenenti ad entrambi i fronti. Si propone quindi in maniera opportuna una prospettiva comparativa, che permette di constatare come –sul medesimo terreno e in rapporto a problematiche simili– culture e autori diversi propongono soluzioni e strategie differenti per affrontare e superare la grande incognita costituita dall’interpretazione dei “segni” che esprimono e prefigurano il destino dei popoli e degli individui. In questa prospettiva si segnala soprattutto, proprio per la sua apertura comparativa, il saggio di I. Chirassi Colombo che, con sensibilità storico-religiosa, individua insieme con le analogie le nette differenze tra la concezione divinatoria greca, in cui Zeus attraverso sêmeia kai terata manifesta agli uomini la sua volontà che essi interpretano mediante varie tecniche rituali, e il contesto biblico in cui Iahwé comunica con il popolo soprattutto attraverso i suoi profeti, anche se pure invia dei “segni”, manifestazione della sua potenza e sovranità sul cosmo e sulla storia umana.
Un’altra categoria di segni è analizzata nella terza sezione dell’opera, ossia quella che esprime “elezione” ovvero “legittimazione” di individui o di categorie particolari da parte della divinità, conferendo loro privilegi di ordine religioso o politico, ovvero dimostrando benevolenza e soccorso nei loro confronti, sia pure talora dopo una giusta punizione a causa di trasgressioni. Quest’ultimo tema è affrontato, con competenza documentaria e duttile strumentazione metodologica, da N. Belayche in un denso contributo sul tema dell’intreccio, religiosamente qualificato, fra “delitto e castigo” quale è proposto dalle ben note “stele di confessione” ( Beichtinschriften) di ambito anatolico. A questo medesimo ambito storico si rivolge l’analisi di L. Bernadet esaminando in esso l’intreccio tra potere politico e sacerdotale in età ellenistico-romana, mentre l’attenzione di G. Tallet si rivolge a un singolare fenomeno oracolare dell’Egitto romano, ossia il culto del dio Mandoulis celebrato nel suo grande tempio a Kalabchah, in Nubia, presso Assuan. L’analisi dello studioso fa emergere la presenza di un clero locale che, nella continuità rispetto alla tradizione egiziana, risulta aperto alle esigenze di una clientela ellenizzata e profondo conoscitore delle principali tendenze religiose e culturali contemporanee. Ne risulta un “bilinguismo dei segni” che permette una comunicazione fra i due versanti culturali e religiosi che si incontrano presso il dio nubiano. Alla luce dell’ampia discussione, peraltro, non si comprende la sua conclusione secondo la quale “l’obtention des signes de Mandoulis a contribué à établir un lien entre deux mondes qui coexistent de fait sur les murs de Kalabchah mais ne se rencontrent pas. Ils s’expriment d’une parte à travers les textes hiéroglyphiques du temple, d’autre part à travers les graffiti grecs des visiteurs, et investissent des espaces différents” (p. 378). L’azione sacerdotale sembra al contrario esprimere la volontà di stabilire un rapporto tra i due piani, come lo stesso autore riconosce quando attribuisce alla redazione dei graffiti greci da parte del clero locale la funzione di una continuazione dell’opera di decorazione del santuario con i geroglifici tradizionali, interrotta per la mancanza del sostegno imperiale. Completano questa terza sezione tre saggi, rispettivamente di F. Bovon, di Chr. Batsch e di Chr.J. Robin che chiamano in causa le tradizioni monoteistiche, cristiana, giudaica e islamica, al fine di illustrarne le posizioni sul significato dei segni divini. Il contributo di Bovon concentra l’attenzione sui primi due secoli e con equilibrio critico distingue una pluralità di posizioni all’interno del panorama cristiano, delle quali le diverse interpretazioni dei “segni del cielo” sono uno dei marchi distintivi. Talora unito al termine teras, “prodigio, miracolo”, spesso nella forma plurale ( sêmeia kai terata), sêmeion assume valenze escatologiche nella Chiesa dei Dodici a Gerusalemme e valenze protologiche, in relazione alla manifestazione in Cristo di una potenza superiore, nella Chiesa dei Sette ad Antiochia, ricorrendo in entrambe dunque con valore positivo. Il significato del “messianismo giudaico” al tempo di Bar Kochba e dell’interpretazione rabbinica della sua vicenda è l’oggetto dell’esame di Batsch, a cui parere il personaggio fu inteso quale Messia dai contemporanei mentre il fallimento della sua impresa ebbe un’importanza decisiva nel determinare il deprezzamento del messianismo medesimo nella sua dimensione politico-religiosa e nella configurazione di “un messia senza segni né miracoli” la cui venuta non potrà essere né prevista né riconosciuta da manifestazioni esteriori.
Tra la fine del VI e l’inizio del VII sec. d.C. nell’Arabia in cui opera Maometto si manifestarono alcune figure di “profeti e apostoli di Dio” che la tradizione islamica presenta come rivali del Profeta. Si tratta di sei personaggi, su cui esiste una documentazione più o meno ricca e in varia misura leggendaria, sulla quale si esercita la puntuale analisi di Robin. Dopo un’ampia discussione, di cui si apprezza la prudenza e l’equilibrio critico lo studioso conclude che il fenomeno profetico arabo non ha antecedenti nella tradizione autoctona. Si tratterebbe pertanto di un fenomeno nuovo, modellato sul precedente biblico, giudaico e cristiano e con influssi anche da parte del manicheismo, con la sua nozione di “sigillo” dei profeti, al fine di rispondere ad una crisi insieme religiosa e politica.
Infine, la quarta e ultima sezione intitolata Statuts et logiques du signe intende proporre delle riflessioni di carattere metodologico più esplicito e programmatico e in pari tempo introduce nella discussione un tema nuovo. Si tratta del tema del “magico”, come sfera di concezioni e prassi rituali riferibili al livello delle potenze sovrumane, le cui modalità, toni e finalità talora convergono talora collidono con quelle che –nelle medesime culture del mondo mediterraneo antico- sono riconosciute proprie della sfera del “religioso”. Esso è proposto da A. Mastrocinque, tra i più qualificati interpreti contemporanei del problema, che nei charaktêres ricorrenti con frequenza nella documentazione magica, letteraria e archeologica (papiri, gemme, laminette- phylakteres, defixiones), individua la manifestazione e l’operazione delle molteplici potenze divine e demoniche che popolano l’orizzonte magico. L’esclusione sostanziale di quest’ultimo, insieme con il parallelo panorama dell’astrologia, si comprende bene quale frutto di una consapevole scelta da parte dei curatori dell’opera, una volta che questi due ambiti avrebbero imposto un’ampiezza e varietà di indagini non praticabili nel quadro del presente progetto. I contributi di J. Rüpke, S. Crippa e J.-B. Gourinat si rivolgono ancora al mondo greco e romano e, in particolare il primo e il terzo, mettono in luce alcuni importanti aspetti dei problemi epistemologici affrontati e variamente risolti nelle diverse scuole filosofiche del tempo a fronte delle pratiche rituali della divinazione tradizionale. Con finezza di analisi e solidità di documentazione si mostra per un verso che il sempre più forte influsso della razionalità greca in ambito romano ha suscitato critiche e tensioni fra la divinazione ufficiale e la riflessione filosofica (Rüpke) e per l’altro si pone in evidenza una sorta di ambivalenza o di vera e propria contraddizione all’interno della scuola stoica tra le nozioni di Provvidenza divina e di “segni del futuro”, con particolare riguardo alle “predizioni astrologiche”. I contesti giudaico e islamico sono ancora oggetto di indagine, in prospettiva nuova, da parte di M. Vârtiaejanu-Joubert e di Mohammed Hocine Benkheira. L’esegesi rabbinica sviluppata nella Michna e nel Talmud, fra il 100 e il 500 della nuova era, rivela l’interesse predominante per la critica testuale, al punto che l’antico termine biblico che designa il “segno”- ’ôt – divino, sia esso il miracolo o l’annuncio profetico, al quale in questo periodo si affianca il termine nuovo siman formato dal greco sêmeîon, viene applicato alla lettera dell’alfabeto. Lo studioso conclude dunque che “la connaissance est une entreprise d’ herméneutique textuelle” (pagina 520.). Il saggio di Mohammed Hocine Benkheira esamina la pratica delle sorti ovvero del gioco d’azzardo che, condannata nel Corano è ampiamente nominata e discussa nella Sunna, con opposte prese di posizione da parte dei giuristi. Sebbene carica di riflessi sociali e giuridici significativi, tale pratica tuttavia -almeno nell’analisi qui proposta- mostra solo parziali e deboli connessioni con il tema generale dell’opera, sulla quale comunque il giudizio complessivo non può essere che positivo anche se, come è naturale, l’uno o l’altro punto delle singole argomentazioni può essere oggetto di riserve, discussioni o critiche. Essa infatti offre ampia materia di riflessione e, in molti casi, apre anche prospettive nuove all’indagine su una tematica di forte rilevanza storico-religiosa.
Indice generale
Parte 1 Institutions divinatoires et construction rituelle des signes.
Jean-Jacques Glassner, La fabrique das présages en Mésopotamie: la sémiologie des devins.
Stella Georgoudi, Des sons, des signes et des paroles: la divination à l’oeuvre sans l’oracle de Dodone.
Dominique Jaillard, Hermès et la mantique grecque.
John Scheid, Les rites des auspices à Rome: quelle évolution? Réflexions sur la transformation de la divination publique des Romains entre le III e et le I er siècle avant notre ère.
Parte II Signes impromptus et phénomènes naturels. Présages et prodiges.
Emmanuel Jambon, Les signes de la nature dans l’Égypte pharaonique.
Maria Patera, Le corbeau: un signe dans le monde grec.
Renée Koch Piettre, Atome ou Providence? La Vie de Timoléon de Plutarque, ou comment faire l’Histoire avec des atomes.
Ileana Chirassi Colombo, Teras ou les modalités du prodige dans le discours divinatoire grec: une perspective comparatiste.
Francis Schmidt, Signes et prodiges chez Flavius Josèphe et Tacite ( Guerre des Juifs VI, 288-315; Histoires V, 13).
Parte III Signes de l’intervention divine: de l’élection à la légitimation.
Laetitia Bernadet, Les signes divines au service du pouvoir sacerdotal en Anatolie hellénistique et romaine.
Nicole Belayche, «Un châtiment en adviendra». Le malheur comme signe des dieux dans l’Anatolie impériale.
Gaëlle Tallet, Interpréter les signes du dieu: une apparition de Mandoulis au temple de Kalabchah.
François Bovon, Les premiers chrétiens et les signes du ciel.
Christophe Batsch, Bar Kochba et les signes du Messie dans la littérature rabbinique.
Christian Julien Robin, Les signes de la prophétie en Arabie à l’époque de Muhammad (fin du VI e et début du VII e siècle de l’ère chrétienne).
Parte IV Statuts et logiques du signe.
Jörg Rüpke, Divination romaine et rationalité grecque dans la Rome du II e siècle avant notre ère.
Madalina Vârtiaejanu-Joubert, Fonction épistémologique du signe chez les Tannaïm et les Amoraïm.
Mohammed Hocine Benkheira, Du tirage au sort ( qur’a ) dans la loi islamique. Attilio Mastrocinque, Les charaktêres , formes des dieux d’après les papyri et les gemmes magiques.
Sabina Crippa, Entre la nature et le rite: réflexions sur le statut des signes-voix divinatoires.
Jean-Baptiste Gourinat, Les signes du futur dans le stoïcisme: problèmes logiques et philosophiques.
Abstracts – Index rerum – Index nominum -Index locorum.