Data l’importanza che il Brutus riveste nella storia dell’eloquenza latina e della critica letteraria antica, una nuova edizione riccamente commentata non può essere accolta che con grande favore dagli studiosi, che nella complessa e articolata opera ciceroniana continuano a vedere una miniera di informazioni, con una serie di temi e di questioni che stimolano sempre nuove indagini e analisi sia di ordine filologico-testuale sia di ordine critico-letterario.
Del testo, riportato secondo l’edizione Teubneriana (Cicero M. Tullius, Brutus, ed. Enrica Malcovati, ed. altera, Leipzig 1970), viene curata la traduzione integrale, precisa, tendenzialmente fedele, scorrevole ed efficace nell’esibire un dettato moderno, senza perdere il controllo delle movenze stilistiche dell’originale. Un commento puntuale, che si segnala per l’abbondanza di dati di carattere storico, di rimandi agli autori antichi e di citazioni dalla letteratura critica, costituisce un ottimo inquadramento culturale e letterario dei vari paragrafi, aperto alla discussione di passi particolarmente complessi e all’esame di singoli elementi del testo. Tale commento rende il volume adatto anche ai lettori non specialisti, per i quali esso risulta uno strumento prezioso per approfondire, secondo diversi interessi critici, il pensiero di Cicerone. Utile e ben calibrata è la Bibliografia finale e complessiva, che seleziona principalmente studi attinenti agli argomenti discussi nella parte introduttiva e all’interno delle Note esplicative e del Commento.
Merita un’attenzione particolare il saggio introduttivo, che non segue lo schema solito delle introduzioni tradizionali, ma si propone come un contributo autonomo, volto a focalizzare alcuni motivi portanti del Brutus, quei motivi che coincidono, in sostanza, con le ragioni stesse dell’opera. Il titolo del saggio è eloquente: “Quello che circola tra noi. Reciprocità e memoria nel Brutus di Cicerone” (pp. 9-54). Esso esplicita la chiave di lettura e di analisi che Rita Marchese sceglie per inquadrare il trattato ciceroniano nel difficile momento storico-politico della sua composizione, i primi mesi del 46 a. C., dopo la sconfitta dei pompeiani a Farsalo. Il Brutus, infatti, è l’opera che segna il ritorno di Cicerone, dopo aver ricevuto il perdono da Cesare, all’attività letteraria e di studio, interrotta nel 54 a. C. con la pubblicazione del De re publica ( conticuerunt tuae litterae : Brutus, 19). L’opera sullo Stato valeva come un dono intellettuale, entrato nel circuito dei letterati e recepito in una dimensione di scambio dalla natura puramente intellettuale, dal momento che Attico, nella finzione del dialogo, dichiara di essere stato incoraggiato, proprio da quell’opera, alla stesura suo del Liber annalis. Quest’ultimo, d’altra parte, aveva avuto l’effetto di sollecitare Cicerone ad interrompere il suo silenzio letterario, come si legge in Brutus, 15: “Dopo che ebbi cominciato a tenerlo in mano con interesse, la stessa possibilità di tenere in mano e di leggere il libro mi fu salutare e mi esortò, Pomponio, a trarre proprio da te qualcosa per rimettermi in sesto e ricompensarti con un controdono che, se non è pari, almeno testimonia gratitudine” (felice traduzione di Rita Marchese).
Cicerone delinea la storia dell’eloquenza latina, prendendo l’avvio dai primi sviluppi dell’arte oratoria della Grecia classica, per giungere ai primi oratori romani e quindi alle personalità eminenti dell’età cesariana. Attraverso lo specifico linguaggio del dono, che si articola intorno al binomio dare-ricevere, egli colloca in una cornice di gratitudine- reciprocità le ragioni più nobili e profonde dell’impegno dell’oratore, che riveste una valenza morale nel momento in cui trasmette la memoria di vicende che riguardano la comunità, vicende ormai lontane nel tempo o anche recenti, ma degne di non cadere trascurate. Trasmessa nel corso delle generazioni mediante la stesura per iscritto delle orazioni pronunciate in pubblico, la memoria si configura come un dono di libertà da parte di quegli scrittori e oratori, che si sono impegnati a consegnare al futuro un’eredità e un patrimonio di originali elaborazioni. L’Autrice sposta finemente sul “ricevere” il focus della relazione fra donatore e donatario, secondo una lettura aggiornata del classico Saggio sul dono di Marcel Mauss, risalente al 1923, e sulla linea tracciata ormai stabilmente da Jacques T. Godbout ( Quello che circola tra noi. Donare, ricevere, ricambiare, trad. it., Milano 2008). Avendo, già in altre occasioni, studiato e trattato con competenza la tematica del donare nella letteratura latina, Rita Marchese non cede ad un’applicazione estesa e meccanica di un concetto che l’antropologia e la sociologia hanno dimostrato funzionare a diversi livelli nelle culture, attenta a individuare lo specifico del lessico nell’opera ciceroniana, quindi privilegiando opportunamente la varietà della semantica del donare piuttosto che la formalità del modello. Sotto questo profilo, risultano di grande interesse le note di questa sezione introduttiva, in cui vengono sviluppati e approfonditi ulteriormente taluni argomenti; è il caso della nota 24, p. 49, in cui, col supporto della interpretazione sempre valida, si direbbe insuperata, di Benveniste ( Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, trad. it., Torino 1976, pp. 71-72), si avanzano considerazioni interessanti circa il rapporto fra munus e communis.
I sottotitoli dei paragrafi mostrano il lucido percorso delle argomentazioni che si succedono nell’illustrare gli aspetti dell’opera ciceroniana presi in esame: “Un trattato e i suoi perché”, “Un bisogno di memoria”, “Una storia davvero anomala”, “Reciprocità, gratitudine e memoria”, “I contenuti strategici del trattato”, “L’eloquenza, arte difficile”, “Questioni di lingua, questioni di espressione: i due stili, la polemica antiatticista”, “La presenza/assenza di Cesare”, “Bruto, ovvero ciò che resta dell’eloquenza romana”, “Epilogo: ‘quello che circola tra noi’ è ciò che si deve trasmettere al futuro”.
Senza dubbio, chi volesse una presentazione del Brutus sul filo della parafrasi o su quello della storia della ricezione, resterebbe insoddisfatto. Il volume, certo, rimanda alle Note del Commento le questioni che riguardano la datazione, le biografie degli oratori menzionati, la presentazione di diverse interpretazioni per determinati passi, l’esame del lessico specialistico e altro. Ci si può chiedere se l’approccio secondo un tema quale è quello del circuito di reciprocità che sta alla base del dialogo fra i personaggi del trattato non sacrifichi la dimensione storico-politica del pensiero di Cicerone. Resta il fatto che il libro è eccellente per l’originalità della parte introduttiva, per l’utile e sciolta traduzione, per la ricchezza del Commento.