Nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo le elezioni sono un appuntamento, più o meno distanziato nel tempo, che coinvolge popolazioni più o meno numerose, più o meno consapevoli, più o meno fiduciose nell’utilità delle elezioni stesse. Philip Freeman, Professor of Classics nel Luther College dello Iowa, realizza, col volume qui recensito, una decisione che troviamo ben delineata sulla sua Author-page: “I decided that I wanted to share stories about the ancient world with an audience beyond my students, so I started writing books for anyone with a library card” ( philipfreemanbooks).
Il testo scelto da Freeman, noto come Commentariolum petitionis e attribuito a Quinto Tullio, fratello minore di Marco Tullio Cicerone, è definito, nella introduzione (pp. VII-XXII), che fa da inquadramento storico-istituzionale e contenutistico, “a short pamphlet in form of a letter” (p. X), scritto in occasione della campagna elettorale per il consolato nel 64 a.C.; competevano con Marco Tullio Cicerone Antonio Ibrida e Catilina. La questione della autorship viene rapidamente accennata (tre ipotesi: Quinto, uno scrittore contemporaneo dei due fratelli, un autore posteriore), ma subito accantonata, in ragione dell’importanza non tanto di chi scriveva ma di cosa scriveva. Anche all’interno del contenuto del testo, Freeman traccia una differenza di possibile apprezzamento da parte di un lettore moderno: sarà utile, certo, conoscere il sistema elettorale romano del I sec. a.C. per comprendere meglio i consigli rivolti a Cicerone, ma sarà soprattutto piacevole leggere come, con spregiudicato pragmatismo, gli si consigliava di manipolare gli elettori per ottenere la vittoria. Questa sottolineatura consente a Freeman di individuare nel trattatello, paragonato sotto questo aspetto al Principe di Machiavelli, un prontuario di “timeless and no-nonsense counsel” che si rivolge a chiunque aspiri al potere, mettendo da parte ogni afflato di ingenuo idealismo. A sostegno di tale lettura, Freeman ricava dal testo una sorta di decalogo, brevemente commentato: “Make sure you have the backing of your family and friends”, “Surround yourself with the right people”, “Call in all favors”, Build a wide base of support”, “Promise everything to everybody”, “Communication skills are key”, “Don’t leave town”, “Know the weakness of your opponents—and exploit them”, “Flatter voters shamelessly”, “Give people hope”. In equilibrio instabile fra continuità e discontinuità, fra cambiamento e persistenza, Freeman invita il lettore, al termine dell’introduzione (p. XXII), a scoprire come sia andata a finire quella competizione elettorale leggendo le pagine finali del volume. Puntualmente (pp. 87-88), come nei titoli di coda di un film di ambientazione storica—ma anche Svetonio, bisogna ricordare, adotta lo stesso metodo alla fine della “Vita di Cesare”—Freeman dà conto della sorte dei protagonisti del Commentariolum, Marco Tullio, Quinto Tullio, Catilina. La traduzione, preceduta da una nota esplicativa sulle possibili ambiguità nel rapporto fra lessico latino e corrispondenze moderne (pp. XXIII-XXV), ha il testo a fronte e occupa le pp. 2-85.1 A corredo del testo, “Glossary” (pp. 89-96), utile guida alle scelte di traduzione di termini tecnici latini, e “Further Reading” (pp. 97-99).
Il titolo della lettera/pamphlet, va ricordato, è autoschediastico, nel senso che esso si ricava dalle parole conclusive del testo (p. 84): volo enim hoc commentariolum petitionis haberi omni ratione perfectum.2 “For I want this little handbook on elections to be complete”, traduce Freeman (p. 85). Ma quando lo stesso sintagma latino appare come titolo, in premessa al testo, viene reso diversamente, “How to win an election” (p. 3). Certo, tale soluzione, accompagnata in copertina da un sottotitolo “rematico” autoriale/editoriale come “An Ancient Guide for Modern Politicians”, suona più accattivante e promettente che “A Little Handbook on Elections”, ma orienta subito il lettore – scelta, del resto, ribadita da Freeman – a cercare le somiglianze più che le differenze fra l’ieri e l’oggi (fine p. XXI). Per verificare se questo è il destino cui debba andare incontro necessariamente un testo come il Commentariolum, per l’irrefrenabile tendenza del lettore moderno ad attualizzare, a non cogliere la profondità della storia e le differenze sociali, culturali, istituzionali, si può verificare cosa sia avvenuto fra titolo e ultime parole in recenti riproposizioni del trattatello.3 Ebbene, solo in un altro caso4 troviamo nel titolo di copertina “Manualetto del candidato. Istruzioni per vincere le elezioni”, mentre nelle parole finali, in forma più aderente al testo, leggiamo: “questo piccolo manuale per la campagna elettorale” (p. 57), con l’evidente ricerca di un target più ampio e moderno attraverso il titolo di copertina. Segnalo che l’introduzione di quest’ultimo testo è di un noto giornalista e parlamentare della sinistra italiana, Furio Colombo.5 Quanto a una recente riproposizione francese,6 con sola traduzione senza testo a fronte, il titolo di copertina suona “Lettre à mon frère pour réussir en politique”, mentre la traduzione finale ritorna al “petit manuel de campagne électorale” (p. 58).
La traduzione di Freeman guarda al lettore moderno, ad esempio attraverso l’inserzione di locuzioni colloquiali non presenti nel testo latino (ad es. “can you imagine?” p. 17, “to speak bluntly”, p. 25 etc.),7 ma anche nella soluzione spesso agile di strutture ciceroniane (di Quinto, se è lui l’autore) più complesse, senza perdere, per questo, la sostanza dell’argomentare. Consideriamo, però, qualche caso in cui la traduzione a me pare forzare il testo. Al par. 5, p. 9 (indico sempre la pagina dispari, quella della traduzione) Freeman preferisce trasformare la prima persona plurale di Quinto ( nos sensisse; videamur; adiungeremus; in nostra petitione haberemus) in una seconda persona singolare (“you have always been; you are; you seem; you need; on your behalf”), perdendo così il voluto plurale consociativo di Quinto, che rivendica una condotta politica che lo identifica col fratello: proprio il fatto che Quinto usi rivolgersi quasi sempre a Marco, sottolineandone gli specifici atti da compiere, con la seconda persona singolare, dovrebbe spingere a rendere visibili i casi in cui Quinto parla, invece, per entrambi. Lo stesso accade in tutto il par. 57, p. 85, mentre proprio nel paragrafo finale (58, p. 85) Quinto introduce una serrata dialettica io/tu molto efficace. A par. 7, p. 11, viene resa esplicita l’ironia relativa ad alcuni avversari di Marco Tullio, appesantendo il periodo: “Who would believe that men as pathetic as Publius Galba and Lucius Cassus would run for the highest office in the land, even though they come from the best families?” ( Nam P. Galbam et L. Cassium summo loco natos quis est qui petere consulatum putet?). A par. 17, p. 29, si carica di un valore negativo una constatazione di Quinto da intendere, invece, in positivo: “For almost every destructive rumor that makes its way to the public begins among family and friends” ( nam fere omnis sermo ad forensem famam a domesticis emanat auctoribus). A par. 21, p. 33, ancora una traduzione forzata, se non errata. Quinto parla di tre elementi che inducono gli uomini alla benevolenza e all’appoggio elettorale— beneficium, spes, adiunctio animi ac voluntas —per dedurne che animadvertendum est quem ad modum cuique horum generi sit inserviendum. Freeman traduce: “You must work to give these incentives to the right people”. A par. 32, p. 47, sarebbe stato utile esplicitare il richiamo al nomenclator, anche con una voce specifica nel glossario. A par. 35, p. 53, viene eccessivamente ridotto un periodo più ricco di dati (“Even if … notice of them”; Sic homines saepe… evadunt). A fine par. 39, p. 59, il detto di Epicarmo viene semplificato con una sorta di enallage: “remember the wise words of Epicharmus: ‘Don’t trust people too easily’” ( Epicharmeion illud teneto, nervos atque artus esse sapientiae non temere credere).
Dato lo scopo della pubblicazione, sarebbe fuor di luogo individuare lacune nei riferimenti bibliografici, anche perché viene giustamente citato un saggio recente sul Commentariolum,8 particolarmente efficace.
Segnalo un unico refuso rilevante: par. 19, p. 30: Orcivi, invece di Orchivi.
In conclusione, la traduzione guidata del testo ‘ciceroniano’ presentata da Philip Freeman ha il merito di mantenere viva in un’area culturale e politica importante la diffusione di un testo certamente meno noto di altri dello stesso periodo storico. Ma forse tale divulgazione, se non attentamente spiegata, può correre il rischio di attualizzare e rendere “too easily” comprensibili le dinamiche della competizione elettorale descritta, al di là del contesto storico, portando alla rassegnata constatazione di un nihil sub sole novi. La netta distinzione suggerita da Quinto, fra vita quotidiana e periodo della campagna elettorale (parr. 16,25), fa riferimento invece a un’etica dell’emergenza elettorale, quasi a una sospensione di valori, che andrebbe analizzata guardando non semplicisticamente a fenomeni di manipolazione, bensì ai modi di funzionare della repubblica romana. Troveremmo, allora, molte più discontinuità che continuità, e solo questo ci consentirebbe di confrontarci meglio con noi stessi e con i nostri problemi politici. Con l’aiuto, certo, dei consigli di Quinto Tullio al fratello Marco Tullio Cicerone.
Notes
1. L’edizione scelta è quella delle epistole ciceroniane di L.C. Purser, Oxford: Clarendon Press, 1953.
2. Più precisamente, come documenta l’edizione del Commentariolum Petitionis di G. Laser, Darmstadt: Wissenschaftliche buchgesellschaft, 2001, p. 56, tre manoscritti (fra cui il più antico è dell’XI sec.) hanno commentariolum consulatus petitionis, un quarto Q. Cicero de petitione consulatus ad M.Tullium fratrem.
3. Un’utile riflessione sulla ricezione attuale del Commentariolum è di L. Fezzi, ‘Il Commentariolum Petitionis : sguardi dalle democrazie contemporanee’, in Historia 56, 2007, pp. 14-26.
4. Quinto Tullio Cicerone, Manualetto del candidato. Istruzioni per vincere le elezioni, a cura di L. Canali, introd, di F. Colombo, San Cesario di Lecce: Manni, 2004.
5. Ricordo anche che una benemerita traduzione italiana commentata, curata da Paolo Fedeli (Quinto Tullio Cicerone, Manualetto di campagna elettorale ( Commentariolum petitionis), Roma: Salerno ed., 1987, nuova ediz. 2010) è accompagnata dalla prefazione di uno degli uomini politici italiani più longevi e discussi, Giulio Andreotti.
6. Quintus Cicéron, Lettre à mon frère pour réussir en politique, trad. L.A. Constans (1934), Paris : Les Belles Lettres, 2012.
7. Felice l’inserzione “a candidate must be a chameleon” a par. 42, p. 63, che anticipa il senso del passo sulla capacità di adattare all’interlocutore espressioni, atteggiamenti, parole, quasi come lo Zelig di WoodyAllen.
8. M.C. Alexander, ‘The Commentariolum Petitionis as an Attack on Election Campaigns’, Athenaeum 97, 2009, pp. 31-57; 369-395.