Il volume raccoglie gli atti del convegno internazionale tenutosi a Cividale del Friuli presso la Fondazione Niccolò Canussio dal 23 al 25 settembre 2010. Scopo dell’evento era prendere in esame il tema dell’encomio in ambito letterario, storico e artistico dall’età greca arcaica fino alla tarda antichità, con uno squarcio sulla prima età carolingia e sul Rinascimento. Come giustamente fa notare Gianpiero Rosati nell’‘Introduzione’, un approccio corretto a questa tematica comporta una presa di distanza dal pregiudizio fortemente radicato che la letteratura encomiastica e panegiristica sia mera propaganda e che artisti e letterati assecondino passivamente i desiderata dell’autorità politica; in realtà anche questi detengono un potere, che è quello di rappresentare la realtà in un certo modo (influenzandone così la percezione da parte del pubblico) e di controbilanciare, orientare o talvolta contrastare più o meno velatamente il potere politico stesso. Compito dell’interprete è dunque decifrare l’ambiguità che spesso caratterizza questi testi.
Gli argomenti trattati nel volume sono davvero numerosi; pertanto ci limiteremo ad offrire una panoramica generale e a soffermarci più diffusamente solo su alcuni contributi.
Il contributo di Glenn Most (‘Power and Truth in Archaic Greece—and after’) ha un carattere introduttivo alla tematica cui il volume è dedicato. Il rapporto fra autore di encomi e tiranno, sintetizzabile nell’opposizione fra logos e kratos, viene analizzato sulla base di due prospettive, quella del tiranno che vuole garantire la stabilità del proprio potere da un lato e la buona fama dall’altro, e quella del poeta, che deve agire in modo tale da evitare sia il servilismo sia un’aperta opposizione. Most fa riferimento a teorici del potere quali Niccolò Machiavelli e Baldassarre Castiglioni per poi analizzare gli epinici di Pindaro e Bacchilide.
In ‘Hieron Agonistes or the Masks of the Tyrant’ Nino Luraghi indaga le strategie elogiative delle odi di Pindaro e Bacchilide finalizzate alla celebrazione delle vittorie dei tiranni agli agoni panellenici. Grazie a tali strategie (che consistevano soprattutto nel rivestire il tiranno di una “maschera”, ovvero nell’accostarlo a figure rispettabili) il poeta riusciva a legittimare il tiranno come un modello positivo di autocrazia di fronte ad un pubblico che considerava la tirannide come fenomeno di per sé negativo.
In ‘Epica ed eulogia. Dai modelli mitici di età arcaica all’epos storico ellenistico’ Carmine Catenacci offre una panoramica esaustiva sull’epica greca dall’età micenea a quella ellenistica, dando risalto alla natura celebrativa del genere.
Il contributo di Luciano Canfora (‘Il corpusculum degli epitafi ateniesi’) passa in rassegna i pochissimi esempi di epitafi a noi pervenuti — l’epitafio di Pericle nelle [Storie] di Tucidide e la parodia di questo fatta pronunciare da Socrate nel Menesseno di Platone; gli epitafi di Lisia e di Demostene — nonché indaga le cause che hanno portato alla dispersione di questa produzione. Si trattava infatti di testi che non venivano quasi mai messi per iscritto, tale era la ripetitività e la fissità dei motivi in essi utilizzati.
Nell’antichità la lode poteva essere espressa non solo a parole ma anche a immagini: le potenzialità panegiriche dell’arte greca sono esaminate da Robin Osborne (‘Is there Panegyric in Classical Greek Art?’).
In ‘Festival, Cults, and the Construction of Consensus in Hellenistic Poetry’ Richard Hunter mette in evidenza l’importanza delle feste e dei culti religiosi in età ellenistica come catalizzatori della coesione sociale e del consolidamento del potere politico. Questo appare evidente ad esempio nella poesia di Callimaco, ove ampio spazio è lasciato a sezioni eziologiche e ai culti locali.
Prendendo spunto dal primo mimiambo di Eroda, Gregor Weber focalizza la sua attenzione sulla posizione e sulle mansioni dei poeti alle corti ellenistiche (‘Den König loben? Positionen und Aufgaben der Dichter an den hellenistischen Königshöfen’).
A Gilles Sauron (‘La propagande de Pompée: conception, diffusion et réception’) va il merito di passare in rassegna le modalità in cui si esplicava la propaganda di Pompeo il Grande, dalle raffigurazioni del condottiero sulle monete e dalle testimonianze epigrafiche al grande complesso monumentale con il tempio di Venus Victrix realizzato nel Campo Marzio al suo ritorno dall’Oriente nel 63 a.C. e dopo il suo trionfo nel 61 a.C.
In ‘Fantastical Realism in Cicero’s Postwar Panegyric’, Joy Connolly analizza i primi esempi di genere panegirico a Roma, ovvero le cosiddette orazioni cesariane di Cicerone. L’attenzione della studiosa si rivolge soprattutto alla Pro Marcello, da lei definita “proto-panegyric” e considerata un esercizio di “immaginazione politica”, con presa di distanze dalle molteplici interpretazioni dell’orazione proposte dai critici.
In ‘Dal culto di Ottaviano all’apoteosi di Augusto’ Eugenio La Rocca esamina, sulla base di un’accuratissima documentazione, la nascita e lo sviluppo del culto prima di Ottaviano e poi di Augusto; già dopo i successi di Nauloco nel 36 a.C. e di Azio nel 31 a.C. il giovane condottiero aveva infatti compreso che la sua ascesa al potere doveva necessariamente poggiare su un supporto simbolico e ideologico.
Alla poliedrica figura di Nicola Damasceno è dedicato l’ampio contributo di Sabino Perea Yébenes (‘Nicolás de Damasco, un intelectual singular en la corte de Herodes y en la Roma de Augusto’). Lo studioso offre una biografia dell’autore e presenta la sua attività di poligrafo passandone in rassegna le opere. Diviso fra la Siria, la corte di Erode e la Roma di Augusto, questo intellettuale e politico è stato a lungo giudicato un mero adulatore del princeps. In realtà il suo filoromanesimo poggia sulla convinzione della legittimità del regime augusteo e su un’estrema coerenza. Il contributo si giova di un’utilissima appendice comprensiva di frammenti dell’ Autobiografia e di varie testimonianze sull’autore.
Il proemio del Bellum civile di Lucano contenente il controverso elogio a Nerone è oggetto del contributo di Damien Nelis (‘Praising Nero [Lucan, De bello civili 1,33-66]’). Dopo una panoramica critica sulla vexata quaestio della sincerità o meno delle lodi all’imperatore, lo studioso propone una nuova chiave di lettura sulla base del rapporto intertestuale fra Lucano e le lodi di Ottaviano nell’ incipit delle Georgiche virgiliane, soprattutto nell’utilizzo del mito di Fetonte.
Il pregevole e ampio contributo di Gianpiero Rosati (‘Amare il tiranno. Creazione del consenso e linguaggio encomiastico nella cultura flavia’) è dedicato al tema dell’encomio e del suo linguaggio nelle Silvae di Stazio, in Marziale e nel Panegirico a Traiano di Plinio il Giovane. Lo studioso parte dal presupposto che questa letteratura encomiastica, ben lungi dall’essere espressione di servilismo e semplice propaganda, presenta dei caratteri paradossali e si fonda sull’equilibrio fra laudans e laudandus : l’elogio può infatti assurgere a forma di controllo del potere, obbligando il potente al confronto con un modello potenzialmente imbarazzante o con una realtà scomoda. Gli autori di encomi del periodo tendono ad usare un linguaggio affettivo, che ha caratteri simili a quello erotico proprio dell’elegia latina. Da qui la topica dell’amore per il sovrano, che ama i suoi sudditi ed è ricambiato, e l’uso quasi ossessivo di amare e termini corradicali.
Fra i migliori contributi del volume vi è, a mio avviso, quello di Laurent Pernot, che offre una panoramica chiara ed esaustiva sul discorso epidittico nel periodo della cosiddetta Seconda Sofistica (‘Elogio retorico e potere politico all’epoca della Seconda Sofistica’). Lungi dall’essere puramente formali e adulatori, i discorsi di sofisti come Elio Aristide, Dione di Prusa, Luciano, Pseudo-Dionigi di Alicarnasso e Menandro Retore erano un mezzo di comunicazione raffinato e sottile con cui veniva affrontato il nodo fondamentale dei rapporti fra l’autorità romana e il mondo greco. Lo studioso offre alcuni esempi delle tecniche utilizzate: la celebrazione di valori politici, economici e religiosi quali il genus e l’ humanitas; il cosiddetto “discorso figurato”, nel quale l’oratore usa un linguaggio sviante per celare finemente le sue reali intenzioni; l’elogio al futuro, con cui si mascherava una richiesta; l’omissione di dati relativi alla storia romana per affermare il proprio ellenocentrismo, come nel caso del discorso In onore di Roma di Elio Aristide. Sotto la veste dell’elogio si nascondeva dunque il tentativo di affermare la superiorità dei Greci nonostante l’effettiva collaborazione con l’autorità romana.
Il contributo di Franca Ela Consolino (‘Panegiristi e creazione del consenso nell’occidente latino’) presenta un campione di panegirici di età tardo-antica e romano-barbarica (Claudiano carm. 1 e 21-24; Sidonio carm. 7; Cassiodoro var. 11, 1) mettendo in evidenza l’importanza delle reazioni del pubblico al discorso encomiastico.
A Ignazio Tantillo (‘Panegirici e altri ‘elogi’ nelle città tardoantiche’) si devono alcune interessanti riflessioni sulle analogie durante la tarda antichità fra i panegirici e le iscrizioni epigrafiche, due diverse modalità di costruzione dell’ideologia imperiale.
Chiaro e organico è il contributo di Francesco Stella (‘La dinamica del consenso nelle lodi imperiali dei poeti carolingi e postcarolingi’). Se da una parte è difficile parlare di poesia encomiastica in senso stretto nel periodo preso in esame (manca ad esempio un epos celebrativo coevo a Carlo Magno), fioriscono forme poetiche commissionate in ambito scolastico, scientifico e teologico; essendo relativamente spoglio sul piano culturale, il centro di potere si mostra aperto alla sollecitazione di poeti chiamati dal sovrano per varie finalità, come Alcuino, Teodulfo d’Orleans, Paolo Diacono. Un altro esempio significativo sono i paratesti dei manoscritti (quali ad esempio le dediche, le subscriptiones, gli argumenta) che celebrano Carlo come il fautore di un rinascimento culturale. Il contributo è corredato da un’appendice di testi.
In ‘Strategies of Praise: the Aeneid and Renaissance Epic’ Philip Hardie esamina il catalogo degli eroi nel sesto libro dell’ Eneide, che si può considerare come la sezione più apertamente panegirica del poema virgiliano. Essa fu ripresa numerose volte nell’epica rinascimentale, che aveva come è noto un’aperta impostazione elogiativa nei confronti del sovrano. Lo studioso passa dunque in rassegna gli esempi più significativi di ricezione del testo virgiliano.
Il volume ha il pregio di presentare e analizzare le strategie dell’elogio da una prospettiva letteraria, storica e archeologica e in un arco temporale molto ampio. L’alta qualità e la varietà dei contributi lo rende un’opera utile non solo agli studiosi interessati al tema in questione ma anche a tutti i classicisti in generale. Data la ricchezza dei contenuti, il libro si sarebbe forse giovato della presenza di indici dei passi citati e degli argomenti notevoli. Non ho rilevato errori tipografici.