Sebbene la Téchne di Dionisio Trace abbia da sempre costituito un fertile terreno di studi per grammatici, filologi e linguisti per quanto riguarda sia le questioni testuali, sia il più generale quadro teorico, mancava ancora una traduzione italiana completa dell’opera. Colma questa lacuna il volume di Callipo, che dopo un’ampia premessa di carattere storico-culturale, propone il testo dionisiano (conforme all’edizione di Uhlig, da cui si discosta solo occasionalmente per scelte imposte o da criteri filologico-editoriali più moderni o dal ricorso a testimonianze offerte da recenti frammenti papiracei non noti nell’Ottocento) con traduzione a fronte cui seguono ricche note di commento.
Particolarmente pregevoli sono proprio le pagine introduttive, divise in quattro sezioni dedicate rispettivamente al personaggio Dionisio Trace, alla struttura e alla fortuna della Téchne Grammatiké, alla costituzione e all’evoluzione delle prime teorie grammaticali ed infine ad una nota testuale.
L’attenzione di Callipo, incentrata sui pochi dati concreti a noi noti per tradizione indiretta, non è finalizzata alla ricostruzione, peraltro quasi impossibile, di una biografia dell’autore (le incertezze, come è noto, si addensano persino sul termine Trace, volta a volta interpretato dalle fonti antiche o come nome proprio o come appellativo in riferimento vuoi al luogo d’origine vuoi a peculiari caratteristiche vocali, per non parlare poi dei dubbi sulla collocazione di Dionisio entro sicure coordinate spazio-temporali). Piuttosto le poche notizie su cui le fonti concordano, l’apprendistato ad Alessandria alla scuola di Aristarco e il successivo magistero a Rodi, importante centro culturale di fiorenti studi di retorica ma anche di filosofia peripatetica e pure stoica, sono sfruttate per mostrare quel contatto tra differenti forme di sapere evidenziabile in filigrana nel trattatello e, in ultima analisi, per attribuire a Dionisio Trace un ruolo quasi di mediatore culturale tra l’Oriente e l’Occidente. In effetti l’approdo della filologia a Rodi implica il suo pervenire a Roma in quanto l’isola rappresentò per lungo tempo un centro di riferimento per gli intellettuali latini: vi soggiornarono, tra gli altri, personaggi quali Elio Stilone, che al suo rientro a Roma divenne maestro di Varrone – e non è certo un caso che la definizione varroniana di grammatica ricalchi quella della Téchne – o Tirannione il Vecchio che, stando alla Suda, avrebbe seguito le lezioni di Dionisio e successivamente avrebbe contribuito alla diffusione della grammatica a Roma, dove tra l’altro fu maestro di Strabone ed entrò in contatto con figure del calibro di Cesare, Cicerone e Attico. Nativo di Rodi, inoltre, era Panezio e nella stessa isola trovò poi sede la scuola di Posidonio. In questo senso, quindi, Dionisio Trace costituirebbe un singolare anello di congiunzione tra la filologia alessandrina e la Stoà e tra Alessandria e Roma.
Non è neppure interesse precipuo di Callipo una presa di posizione autonoma all’interno della vexata quaestio circa l’autenticità della Téchne. A prescindere, infatti, dalla presenza di un ulteriore titolo apposto alla seconda parte dell’operetta, la sezione morfologica, nei due codici medievali più antichi che riportano per intero il testo sia pur con inframmezzati altri materiali di varia natura grammaticale, innegabili sono le incongruenze su un piano ideologico, evidentemente espressione di differenti scuole di pensiero. È legittimo, quindi, chiedersi se sia opera genuina in toto oppure solo parzialmente dionisiana, il prodotto di un unico autore, variamente ripreso in periodi successivi con ripensamenti imputabili alle molteplici suggestioni culturali oppure (ed è questa la tesi condivisibilmente abbracciata nel volume) una sorta di collettore, “il risultato di una stratificazione di dottrine cronologicamente diverse, via via accorpate a un nucleo genuinamente dionisiano e così attribuite al grammatico […], dotato di fama e auctoritas e capace quindi di garantirne l’autenticità” (p. 13). Molto opportunamente Callipo tiene distinti i due livelli. Altro è la fortuna del manuale in quanto tale, altro quella dei precetti di cui è portavoce. Che possa essere considerato un testo scolastico non vi è dubbio alcuno. Ne sono prova la partizione ordinata della materia (alla definizione della grammatica con le sue sei componenti segue una trattazione della fonetica e della morfologia con la distinzione, divenuta poi canonica, nelle otto parti del discorso e con speciale attenzione per il nome e per il verbo) e la chiarezza espositiva non aliena anche dall’inserzione di una domanda (§ 4.2) con un andamento quasi catechetico. È un manuale ‘fortunato’, però, che, come si è detto, nella veste in cui noi oggi lo leggiamo, può anche non essere equivalente in toto allo scritto dionisiano. Per quanto poi pertiene alla precettistica vera e propria è indiscutibile come gli insegnamenti di Dionisio, che ebbero un’eco grandissima nell’antichità, a loro volta siano il frutto dell’evoluzione di speculazioni precedenti. La grammatica e la Téchne, a prescindere dal nome del suo autore, sono il prodotto delle ricerche alessandrine sulla lingua. E in effetti non è un caso che il giudizio delle opere poetiche sia considerato da Dionisio (§1) la parte più bella dell’ ars. D’altro canto Callipo osserva acutamente (p. 36) che il criterio-guida degli eruditi alessandrini è l’analogia, concetto applicato da Aristotele nel mondo naturale, che i filologi trasposero in campo linguistico e che da Dionisio è menzionato come quinta componente della grammatica (§1). È proprio questo principio, pratico e teorico al contempo, di ascendenza peripatetica, che consente per via induttiva il passaggio dal particolare all’universale, l’individuazione di un canone che governa la lingua, la possibilità quindi di ricondurre la molteplicità delle forme esperite a una norma generalmente valida che può essere quindi facilmente trasposta e diventare oggetto di insegnamento. Nasce così quella che noi chiamiamo grammatica normativa. Su queste premesse si costruiscono anche le pagine di commento, che nell’ordine del volume succedono al testo greco, cui, con una scelta francamente un po’ discutibile, si appone l’apparato critico soltanto per i loci considerati di particolare rilevanza contenutistica o significativamente divergenti dall’edizione di Uhlig. La traduzione a latere è sempre condotta con molta fedeltà all’originale mediante scelte lessicali che ad un primo sguardo possono sembrare poco efficaci, ma che in realtà sono frutto di riflessioni di cui si dà puntualmente conto. Per esempio, la definizione dionisiana di grammatica viene così espressa: “La grammatica è la conoscenza empirica delle cose dette per lo più da poeti e prosatori”. L’opzione per la resa letterale della locuzione avverbiale greca ( hòs epì tò polú) non è banalizzante, ma è una presa di posizione all’interno di un preciso dibattito culturale. ‘Per lo più’ non significa un’esperienza il più possibile estesa di quanto si legge presso poeti e scrittori, come è stato pure interpretato, né vuol essere sinonimo di un ‘soprattutto’ o di un ‘comunemente’, ma vuole mettere la terminologia grammaticale in relazione con la gnoseologia aristotelica: una conoscenza che si fonda sull’esperienza attraverso un processo di induzione dai dati particolari, da ciò che appunto non è sempre uguale a se stesso, ma si verifica ‘per lo più’ in un certo modo. Si risolve per questa via anche il patente contrasto, terminologico ed ideologico, tra téchne, titolo con cui ci è pervenuto il trattatello nonché prima (sottintesa all’aggettivo grammatiké) e ultima parola del §1 – poco condivisibile è però l’affermazione di Callipo secondo cui il nesso téchne grammatiké non sarebbe attestato se non dal IV sec. d.C., viste le occorrenze platoniche di Phlb. 18d e di Crat. 431e – ed empeiría, vocabolo che interviene nello stesso paragrafo proprio nella definizione della grammatica. Il primo lessema, vincente negli autori successivi e reso poi in latino ora con ars ora con scientia, insisterebbe più sullo statuto epistemologico, il secondo, destinato a scomparire – e non è un caso, visto il successivo imporsi di differenti categorie interpretative a scapito della matrice più genuinamente aristotelica – , alluderebbe piuttosto al metodo su cui la grammatica stessa si costruisce. Ovviamente queste affermazioni sono suffragate da una bibliografia ricca, ma che forse si poteva ulteriormente ampliare, ricordando ad esempio, sia pur con le riserve del caso, l’articolo di G. Ventrella, Dionisio Trace e la definizione di grammatica, «Kleos» 9, 2004, pp.103-110, che, mettendo in relazione pratica filologica e medicina empirica ad Alessandria, propone un’interpretazione della grammatica come pratica più volte ripetuta/esercitata di ciò che si dice presso poeti e prosatori. E forse qualche parola in più meritavano termini semanticamente pregnanti che intervengono nella classificazione delle sei parti della grammatica, quali trópos, glóssa o historía, su cui si glissa abbastanza.
Il prosieguo del commento, un commento lemmatico selettivo, per dichiarazione programmatica dell’autore si concentra essenzialmente sui primi dieci capitoli dell’operetta, obiettivamente i meno studiati, mentre l’attenzione della critica si è sempre prevalentemente appuntata sulla sezione morfologica. Le note esegetiche sono costantemente molto attente sia a collocare le affermazioni dionisiane nel quadro più generale dello sviluppo delle teorie grammaticali greche dalla loro filiazione dalla critica testuale alla progressiva costituzione di un’ ars, sia ad individuare non solo suggestioni speculative diverse, più aristoteliche nella prima parte del trattato, forse più stoiche nella seconda, ma anche compresenze di dottrine cronologicamente differenti, elementi antichi ed altri più recenti che consentono di intravedere nel testo una pluralità di strati cronologici. In questo senso si giustificano anche le lunghe pagine dedicate, ad esempio, al dispiegarsi nel corso dei secoli delle nozioni di prosodia o di dittongo, che risultano così non ecfrastiche, ma funzionali all’argomentazione.
Al termine del volume, nell’insieme ben condotto, per cui si rivela una lettura utile per le molteplici e trasversali aperture, trova posto una pagina di conclusioni, forse un po’ superflua al termine di un’esegesi puntuale, intesa a ribadire la tesi di fondo nonché le linee guida del commento, cui segue una nota bibliografica, un po’ scolasticamente – il lavoro in effetti costituisce la prosecuzione della tesi di laurea dell’Autrice – suddivisa in Fonti, Studi, Strumenti, mentre nel Conspectus Siglorum preposto al testo, con il risultato di una non immediata fruibilità alla generale consultazione, si collocano le rubriche relative a Testimoni, Edizioni, Traduzioni moderne e Altre fonti.