Questo libro rappresenta un’agile ma dettagliata introduzione alla archeologia del regno partico: dopo aver affrontato nelle breve introduzione (1-4) alcune questioni preliminari, come i caratteri geografici originari della vasta regione da esso occupata e la concorrenza di sistemi cronologici alternativi (l’era seleucidica che aveva inizio nel 312 a.C. e l’era partica, dal 247 a.C.) l’autore suddivide la trattazione in due parti, una più succinta riassuntiva delle vicende storico politiche (5-28) ed una più estesa ed originale relativa ai rinvenimenti archeologici (29-91).
Nella prima parte in poche pagine sono riassunte le vicende della formazione del regno seleucidico dalla morte di Alessandro (323 a.C.) fino alla sua progressiva disgregazione sotto i successori di Antioco III. Un ruolo notevole nel processo di disgregazione esercitò appunto il popolo dei Parni, che sin dalla metà del III secolo a.C. si impadronì della satrapia seleucidica della Parthia (da cui prese o modificò il proprio nome) abbattendone il governatore Andragora. Le grandi conquiste ai danni dei Seleucidi vennero però compiute dal re Mitridate I detto Filelleno che, regnando dal 171 al 138 a.C. si impadronì delle città di Seleucia al Tigri, Babilonia e Susa. A tale occupazione corrispose una reazione seleucidica condotta da Antioco VII che tuttavia, dopo aver riconquistato il centro della Mesopotamia ed aver riscattato il fratello Demetrio II, precedentemente fatto prigioniero, rimase ucciso nei successivi scontri lasciando definitivamente in mano ai Parti tale regione. Un’altra notevole figura di sovrano partico fu Mitridate II (124-87 a.C.), sotto il quale sono documentati i primi contatti non solo con i Romani ma anche con l’impero cinese. I rapporti con i Romani degenerarono a causa della ingiustificata invasione del loro regno tentata da Crasso, in violazione della linea di demarcazione dell’Eufrate in precedenza stabilita da Pompeo, ma in seguito si stabilizzarono grazie ai rapporti diplomatici di nuovo intessuti da Augusto. Occasionalmente Giuseppe Flavio ci informa sulla presenza nell’area di popolazione giudaica, come nel caso dei fratelli banditi Asinaios ed Anilaios che, alla metà del I secolo d.C., sfidarono l’autorità del satrapo di Babilonia. La sovranità del regno dei Parti sulla Mesopotamia verrà messa alla prova dalle tre spedizioni condotte dagli imperatori romani Traiano (116 d.C.), Lucio Vero (164/5 d.C.) e Settimio Severo (198 d.C.), ma il colpo di grazia sarà dato dalla rivolta del vassallo persiano Ardashir (220 d.C.) che, abbattendo l’ultimo sovrano partico Vologaeses VI, darà inizio alla dinastia dei Sassanidi.
Nella dissoluzione del regno seleucidico due stati minori sembrano ritagliarsi uno spazio di indipendenza. Nella regione del golfo Persico, alla confluenza del Tigri e dell’Eufrate, il satrapo Hyspaosines, approfittando di una situazione di instabilità fra Seleucidi e Parti dopo la metà del II secolo a.C., non solo mantenne il dominio sulla città che, anticamente chiamata Alessandria al Tigri, da lui prenderà il nome di Spasinou Charax, ma espanse il suo dominio all’Elimaide ed alle isole del golfo Persico, Ikaros (Failaka) e Tylos (Bahrain). Dopo la sua morte una lunga dinastia di regnanti ci è conosciuta principalmente attraverso le monete ed occasionalmente attraverso le dediche dei mercanti palmireni di ritorno da questa regione. Nel II secolo d.C. l’indipendenza del regno di Caracene venne però minacciata dalla spedizione punitiva condotta dal re partico Vologese contro Mitridate, re caraceno di stirpe regale partica. Le coniazioni successive attestano il ristabilimento di una dinastia locale ma anche una certa dipendenza (se non altro culturale) dal più potente vicino, fino a che l’invasione del sassanide Ardashir (224 d.C.) non porrà fine anche a questo regno.
L’altro regno che mantenne una relativa indipendenza al cospetto dei Parti fu quello di Elimaide: caratteristica della regione sono i rilievi incisi nella roccia, espressione culturale che attraversa i varî dominî, includendo quello dei Persiani, dei Greci, dei Parti e di nuovo dei Persiani sassanidi. La presenza della popolazione greca è attestata nelle iscrizioni trovate presso la città di Susa, ma rare sono le notizie di fonte letteraria, se si prescinde da quelle sulle spedizioni di Antioco III (187 a.C.) e poi di Antioco IV (164 a.C.), intenzionati ad impadronirsi dei beni custoditi nei santuarî della regione, spedizioni che si risolsero invece con la rovina degli stessi sovrani seleucidi. Alla metà del II secolo a.C., in corrispondenza della usurpazione del trono seleucidico da parte di Alessandro Balas, emerge la figura del sovrano elamita indipendente Kamnaskires, che si alleò a Demetrio II nella spedizione contro i Parti (140 a.C.). Nomi di altri sovrani elamiti (Okkonapses, Tigraios) si alternano a periodi di buio, fino a che le monete attestano una coppia regale nelle persone di Kamnaskires (III) e della regina Anzaze. In segno di sottomissione un altro re, forse Kamnaskires (IV), inviò doni a Pompeo, spintosi in Oriente (65 a.C.). È probabile che per molto tempo la principale città del regno rimanesse Seleucia sullo Hedyphon, perché è solo dal 75 d.C. che un consistente numero di monete elamite testimonia la loro presenza a Susa. Dobbiamo supporre pertanto che la città restasse sotto il diretto dominio partico sino a tale data. Una iscrizione del 138 d.C. documenta i rapporti commerciali di questa regione con Palmira, mentre la sottomissione del territorio di Susa al sovrano partico Artabano IV, è attestata in una stele figurata con iscrizione partica in onore del satrapo Khwasak (215 d.C.: essa è dunque non di molto anteriore dunque al definitivo assoggettamento dell’intera regione ad opera del sassanide Ardashir).
La seconda parte del libro è dedicata alla ricostruzione della facies archeologica del regno partico, impresa non facile data la notevole estensione del territorio e la coabitazione con strati archeologici di maggiore spessore culturale e che storicamente hanno goduto di maggiore rispetto. Lo scavo di città fiorenti in età partica (come Spasinou Charax) non ha poi sino ad ora attratto gli scavatori, rendendo necessario estrapolare i resti partici da città di antica cultura mesopotamica come Uruk e Babilonia. La rassegna inizia con la città di Seleucia al Tigri e la sua geminazione al di là del fiume, Ctesifonte. Abbiamo notizie da autori latini che Seleucia contava 600.000 abitanti ed era governata da un senato di 300 persone, con una popolazione mista di elementi greci, giudaici e locali. Nel corso del II secolo a.C. la città ripetutamente passò dal dominio dei Seleucidi a quello dei Parti e fu anche conquistata dal sovrano di Caracene, Hyspaosines. Attorno al 35 d.C., proclamatasi indipendente, la città dovette sopportare un lungo assedio da parte di Artabano II. Se l’occasionale presenza di resti architettonici di stile greco è facilmente individuabile, lo stesso non vale per espressioni peculiari della cultura partica: una miniera di informazioni archeologiche è tuttavia dovuta al rinvenimento di un blocco di case nel centro di Seleucia. Nella mappa delle unità abitative l’autore crede di riconoscere lo iwan, un salone a volta aperto su un cortile, che addirittura costituirebbe un lascito originale dell’architettura partica alla successiva civiltà islamica. All’interno dei vari ambienti del blocco sono state rinvenute anche resti della decorazione architettonica e ceramiche, fra cui la statua di una donna in stile greco. Di specificamente partico non abbiamo molto più che la ceramica d’uso, fra cui alcuni cocci a forma di salvadanaio. Altro materiale, ma non pertinente a Seleucia, è utile a mostrare il costume partico di giacere al simposio e di indossare i pantaloni. La trattazione sulla città di Babilonia prende mosse dall’importante ruolo svolto dalla città sotto Alessandro (poi perduto in favore di Seleucia al Tigri), fino alla contrastata conquista dei Parti, iniziata attorno al 140 a.C. ed inasprita dalla crudele figura del governatore Himeros. Sotto il dominio partico la città continuò a mantenere istituzioni tipicamente greche, quali gli agoni testimoniativi nel 110 a.C., e la presenza di un teatro in età imperiale romana. Iscrizioni di Palmira attestano rapporti commerciali. Gli scavi consentono una sufficiente conoscenza della città sino alla decadenza, periodo durante il quale perdurò l’uso della scrittura cuneiforme (almeno fino al 75 d.C.): ma la differenza della facies archeologica fra il periodo greco e quello partico non è facile da discernere, in quanto ciò che non è esplicitamente greco, come le abitazioni, sembra condizionato solo dal clima e dai materiali a disposizione.
Ad Uruk abbiamo ulteriori attestazioni della presenza greca (a partire dall’età seleucidica): qui l’integrazione con la nuova cultura si riscontra nella onomastica greco-babilonese che riscontriamo sui bolli laterizi. È forse attribuibile ad età partica (65 circa d.C.?) un tempio che una iscrizione greca rinvenuta nei pressi e databile al 110 d.C. permette di attribuire al dio Gar (o Gareus). Per quanto riguarda Susa (il luogo dove Alessandro aveva fatto celebrare le nozze di massa dei Greci con la popolazione nativa), numerose iscrizioni e alcune sculture attestano l’importanza perdurante della comunità greca anche in età partica. La città fu l’estrema meta raggiunta da Traiano nel corso della sua spedizione (116 d.C.). Anche in questo caso la ricerca di una presenza archeologica dei Parti non può che appoggiarsi su elementi indistinti, come le abitazioni private, dove pure si individua lo iwan come elemento caratteristico. L’ultima sezione è dedicata all’evidenza archeologica risultante dal Golfo Persico: come si è detto l’identificazione del sito di Spasinou Charax non è stata sinora seguita da alcuna campagna di scavo, pertanto la nostra conoscenza relativa alla sua partecipazione al commercio carovaniero dipende da iscrizioni di Palmira. Sull’isola di Ikaros (moderna Failaka) è stata rinvenuta la fortezza di una guarnigione seleucidica ed alcuni templi in stile greco che risultano contaminati da elementi orientali. Ad alcune iscrizioni greche fa da contrappunto la statuetta di un uomo barbuto vestito in fogge orientali, che l’autore vorrebbe identificare con un re partico (perché allora, piuttosto, non un re della Caracene?). Infine anche dell’isola di Tylos, corrispondente al moderno Bahrain, sono attestate sia la dipendenza dal primo sovrano della Caracene, Hyspaosines, sia i rapporti commerciali con Palmira. Nel caso specifico l’archeologia, contrariamente alla convinzione dell’autore, non può essere di grande aiuto in quanto, come lui stesso denuncia, gli strati seleucidici e partici non risultano ben preservati. Che l’isola nell’antichità fosse rinomata per la produzione di perle da ostrica è notizia che si ricava, al solito, da fonti letterarie greche.
Considerando che il libro – a dispetto del titolo – nasce come una ricerca sull’arte del regno dei Parti, ma che la trattazione è quasi esclusivamente sostanziata da iscrizioni e ritrovamenti archeologici di età o cultura greca, la convinzione manifestata dall’autore nella conclusione (‘Parthian sculpture and painting influenced European art for the next thousand years’) appare decisamente bombastica: il libro fornisce comunque una interessante panoramica sulla realtà archeologica del vasto mondo orientale dopo la conquista di Alessandro, ed è scritto con sobrietà. Un approccio maggiormente problematico sarebbe stato forse opportuno nelle note, che spesso offrono meno dell’essenziale.1
Notes
1. È un peccato che per le fonti sulla storia partica l’autore non abbia potuto fare sistematico riferimento alla raccolta di Hackl U. – Jacobs B. – Weber D., Quellen zur Geschichte des Partherreiches. Textsammlung mit Übersetzungen und Kommentar I-III, Göttingen 2010, forse troppo recente, così come la citazione delle iscrizioni greche avrebbe potuto appoggiarsi sulle Iscrizioni dello Estremo Oriente Greco (IK 65), Bonn 2004. La stampa, come la scrittura, si ispira a criterî di sobrietà e di chiarezza. Se ne segnalano alcuni refusi per testimoniare il rigore della lettura: p. 21, lin. 22: remain(s); p. 25, lin. 7: independ(e)nt; p. 29, lin. 3 never [seen] been; p. 34, lin. 42: a[n] courtyard; p. 47, lin. 17: Artemidoro(s); p. 70, lin. 10: e[r]rected; p. 80, lin. 6: statu(e)s; p. 84, lin. 12: Ana(xa)rchus; p. 87, ultima riga: a[n] kind; p. 109: Asi[a]naios.