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Edito per la prima volta dalla casa editrice Il Castello nella collana Echo, il volume comprende alcuni dei contributi presentati in occasione della VII Giornata di Studi del Centro di Studi sulla Fortuna dell’Antico, tenutasi nel marzo 2010 a Sestri Levante.
I saggi, introdotti da Sergio Audano, sono accomunati dalla trattazione di uno stesso motivo, quello del viaggio, inteso sia in senso reale, che metaforico.
Il primo articolo, curato da Giovanni Cerri, si intitola Ulisse omerico e Ulisse “meta-omerico” in Dante (pp. 19-33).
Lo studioso parte dall’analisi dell’ultima sezione dell’undicesimo libro dell’ Odissea (vv. 627-637), quando Ulisse, dopo aver parlato con l’ombra di Eracle, deve desistere dal desiderio di interrogare altre anime dell’Ade se vuole salvarsi dallo sguardo pietrificante di Medusa, inviata da Persefone. Questo episodio della Nekyia presenta numerose analogie con quello di Medusa nell’ Inferno dantesco (9, 52-60), sorprendenti se pensiamo che il poeta fiorentino non lesse Omero neanche in traduzione latina: dal ruolo di custode dei segreti dell’Aldilà rivestito dal mostro, al timore che una sua possibile apparizione suscita in Ulisse e Dante; dalla citazione di Teseo comune ai due brani ( Od. 11, 630 ss. e Inf. 9, 54), alla visione cosmologico-religiosa ad essi sottesa, dove la Gorgone è il simbolo dei limiti imposti al sapere umano.
È probabile che Dante sia venuto a conoscenza per via indiretta del racconto dell’ Odissea : Cerri riporta tre brani classici (Cicerone, Sui doveri 1, 31, 113 e Sui confini del bene e del male 5, 18, 49; Orazio, Epistole 1, 2, 23-26) che fungono da mediatori della rappresentazione dantesca di Ulisse, per la cui caratterizzazione particolarmente significativo è l’episodio relativo al canto delle Sirene, commentato da Cicerone e inteso come esperienza conoscitiva. A Dante non devono essere sfuggite le parole dell’Arpinate, secondo il quale l’eroe omerico incarna non proprio la curiositas, intesa come voglia di sapere qualsiasi cosa, quanto il desiderio di scientia, la sapienza razionale alla quale si rivolgono gli spiriti più grandi: il viaggio dantesco si rivela analogico a quello dell’eroe mitico che tuttavia, a causa della superbia d’intelletto, non raggiungerà mai la meta più alta, conquistata dal poeta con il beneficio della grazia divina. L’ansia sapienziale accomuna le due esperienze odeporiche, pur nella differenza sostanziale mediata dall’interpretazione ciceroniana: l’anelito della più alta conoscenza trova il suo completo appagamento nel viaggio dantesco, del quale quello di Odisseo rappresenta, in termini auerbachiani, la prefigurazione. Così, l’immagine dell’Ulisse meta-omerico, come eroe che si spinge ai limiti della sapienza umana, può chiarire l’origine della variante mitica presente in Inf. 26.
Il secondo contributo si intitola La Fama degli antichi e le sue trasformazioni tra Medioevo e Rinascimento e indaga le origini delle moderne raffigurazioni iconografiche del personaggio della Fama a partire dalle descrizioni presenti nella letteratura classica (pp. 35-74). L’autore, Gianni Guastella, dopo aver precisato la distanza tra l’accezione attuale del termine e quella antica, che prevedeva il duplice significato di “notorietà” e “diceria”, esamina dapprima le rappresentazioni letterarie di Virgilio ( Aen. 4, 173-190) e Ovidio ( Met. 12, 39-63), nelle quali la prosopopea della Fama evidenzia l’ambivalenza delle informazioni trasmesse oralmente. Successivamente lo studioso approda alle riflessioni cristiane e medievali sul binomio sinonimico fama/gloria: nelle prime la vera rinomanza è connessa al rapporto con Dio (Paul., I Cor. 1. 31; II Cor. 10. 17-18); le seconde sottolineano la limitatezza e la precarietà della Fama (Boethius, De consolatione philosophiae 2, 7, 9-15 e 19; Petrarca, Triumphus temporis 112-114 e 141-145) e la privano del requisito dell’oralità/auralità a vantaggio di quello della scrittura (Boeth., cons. 2, 7, 13).
La moderna iconografia conosce la sua genesi proprio nella rappresentazione medievale del concetto di fama, così come viene illustrato nelle miniature dei manoscritti del De viris illustribus e dei Trionfi del Petrarca, nonostante manchino precise corrispondenze con il testo.
Guastella nota come le raffigurazioni di età umanistica siano caratterizzate da una serie costante di elementi (una donna regale, a volte alata, circondata da trombe, spesso inserita in un cerchio che poggia su un carro trainato da cavalli o elefanti, attorniato da un corteo di uomini famosi), la cui variata combinazione risente da un lato di fonti letterarie, come la descrizione della “Gloria mondana”, contenuta nell’ Amorosa visione del Boccaccio (VI, 49-75 e XII, 4-9), dall’altro di fonti iconografiche, che possono aver influenzato le stesse opere poetiche. Suggestiva, anche se non dimostrabile con certezza, è l’ipotesi secondo la quale Petrarca, i miniatori dei codici del suo testo e Boccaccio abbiano preso visione di affreschi perduti di Giotto raffiguranti cicli di “Uomini famosi”. L’iconografia della Fama, così come concepita da Virgilio, è, invece, riconoscibile in rappresentazioni databili tra il XV e il XVI secolo.
Aggiungerei che i due significati di diceria e rinomanza e gli elementi derivanti da raffigurazioni petrarchesche o virgiliane trovano forse un punto d’incontro in alcune rappresentazioni della Fama contenute nell’ Orlando furioso dell’Ariosto (XVIII, 96-97; XXII, 93; XXXVIII, 42-43; XL, 27).
Il terzo saggio, curato da Gabriella Moretti, si intitola Lettere dagli Antipodi: comunicazioni epistolari fantastiche fra Tiberiano e il Cymbalum mundi (pp. 77-97) ed è diverso dal contributo presentato a Sestri, con il quale tuttavia condivide la trattazione del tema degli Antipodi.
Il motivo delle lettere che giungevano da questo popolo leggendario, situato all’altro capo del mondo, conosce il suo primo riferimento nel commento serviano ad Aen. 6, 532, dove viene citata l’intestazione di un’epistola di Tiberiano ( Superi inferis salutem), probabilmente contenuta in una raccolta scritta nella forma della satira menippea.
L’autrice ripercorre le più significative tappe della fortuna letteraria del tema delle terre abitate agli antipodi e dei possibili contatti epistolari con esse: dalla corrispondenza, contenuta nel Draco Normannicus (1167-1170) di Stefano di Rouen, che re Artù, sovrano degli Antipodi, intesse con il conte bretone Roland ed Enrico II, alle occorrenze del motivo delle lettere antipodiche nelle opere petrarchesche, dove ricorre un rimando preciso all’epistola tiberianea ( Variae 22). Una missiva dagli Antipodi è riportata anche nel censurato Cymbalum mundi (1537), attribuito a Bonaventura Des Périers: la natura allegorica e satirica dell’operetta è riconducibile alle aspirazioni religiose che in quel periodo serpeggiavano nella cerchia di Margherita di Navarra e Francesco I.
Il quarto contributo, dal titolo Il Grand Tour e la scoperta dell’antico nel Labyrinthe du monde di Marguerite Yourcenar, è curato da Giorgetto Giorgi (pp. 99-108).
L’autore esamina l’opera memorialistica della Yourcenar alla luce del motivo eleatico dell’immutabilità e della ciclicità della storia, evidente nella narrazione, contenuta nella sezione Archives du Nord, del “Grand Tour” che, compiuto da Michel Charles, nonno paterno della scrittrice, lo porta a visitare anche l’Italia, meta ambita dall’aristocrazia europea alla fine dell’Ottocento.
In particolare, la scalata notturna dell’Etna, compiuta da Michel, ricalca le ascensioni (reali o immaginarie) del vulcano portate a termine nell’antichità classica da Empedocle e Adriano, e l’episodio dell’insabbiamento con cenere calda, per scongiurare i rischi di assideramento, è permeato da risonanze mitiche e simboliche: l’esperienza dell’avo della Yourcenar richiama quella di Demofoonte, nascosto da Demetra ogni notte nel fuoco, laddove all’immortalità conquistata dal protagonista mitico corrisponde la rinascita spirituale del giovane perbenista e borghese, il cui viaggio in Italia si profila sempre più come un percorso di formazione, capace di mettere in crisi certezze e pregiudizi. Anche la visione di opere d’arte e reperti appartenenti all’antichità romana, testimonianza di stili e concezioni di vita differenti, contribuisce alla crescita del giovane Michel.
Dalla lettura del contributo sorge spontaneo il confronto con i viaggi compiuti in Italia durante il Romanticismo, dei quali quello di Goethe rappresenta il prototipo: la contemplazione delle rovine greco-romane con spirito winckelmanniano, la scalata del Vesuvio e quella intrapresa dell’Etna sono, già qui, tappe significative di un percorso simbolico, che, intrecciandosi con mito e storia, determina la Wiedergeburt del protagonista.
Anche questo volume, che si accosta alle precedenti raccolte degli Atti sestresi, si inserisce in un filone di studi, quello sulla fortuna dell’antico, capace di suscitare interesse, grazie alla trattazione di tematiche variegate, con esiti spesso inaspettati.
Fortuna dei classici intesa quindi come riconoscimento dell’eredità di un patrimonio culturale che continua ad esistere: è da tali premesse che occorre partire, anche a livello didattico, per una rinascita dell’antico. Una via, forse la più accattivante e la più proficua, per il suo studio e la sua sopravvivenza.
Quanto all’aspetto grafico del testo, segnalo la presenza di qualche refuso di scarsa entità.
Tavola dei contenuti
Giovanni Cipriani: Prefazione, pp. 5-6
Sergio Audano: Premessa, pp. 13-17
Giovanni Cerri: Ulisse omerico e Ulisse “meta-omerico”in Dante, pp. 19-33
Gianni Guastella: La Fama degli antichi e le sue trasformazioni tra Medioevo e Rinascimento, pp. 35-74 (inclusi Riferimenti bibliografici e Immagini)
Gabriella Moretti: Lettere dagli Antipodi: comunicazioni epistolari fantastiche fra Tiberiano e il Cymbalum mundi, pp. 77-97
Giorgetto Giorgi: Il Grand Tour e la scoperta dell’antico nel Labyrinthe du monde di Marguerite Yourcenar, pp. 99-108
Indice: p. 111.