Oggetto di questo volume curato da Duane W. Roller è la raccolta delle testimonianze riguardanti lo scritto Geographika di Eratostene di Cirene (280-195 a.C. ca.), con il quale si è soliti fare iniziare la disciplina della geografia. Perduta già in epoca antica, l’opera di Eratostene era originariamente suddivisa in tre volumi di cui rimangono 155 testimonianze e frammenti trasmessi da altri autori, in particolare Strabone, cui si devono ben 105 dei testi qui raccolti. L’ultima edizione, curata da Hugo Berger, risale al 1880 e rimane tuttora il riferimento essenziale.1
Il lavoro di Duane Roller si presenta, dunque, come un momento importante nella storia degli studi riguardanti Eratostene e la geografia antica, sulla scia dell’interesse nei confronti dello studioso cirenaico che ha caratterizzato gli ultimi anni.2 Come prima versione inglese, il volume contribuisce a diffondere e sviluppare l’attenzione verso questa importante figura, capace di lasciare una forte impronta in numerosi settori del sapere e di connotare profondamente l’epoca in cui visse. L’assenza del testo originale delle fonti utilizzate e del relativo apparato critico, sostituito comunque da un ricco commento, può creare qualche perplessità, ma senz’altro rende l’opera più fruibile e di maggiore interesse per il pubblico dei non specialisti.
Dopo una breve introduzione (pp. IX-XI), Duane Roller dedica la prima sezione del libro alla presentazione e alla contestualizzazione dell’opera di Eratostene, delineando le premesse culturali, la figura dell’autore, il contenuto dei tre volumi, la ricezione e la fortuna dell’opera (pp. 1-37). Il I libro si apriva con le testimonianze relative alla storia della geografia, nel cui complesso Strabone ha dato particolare rilievo alla «questione omerica». Esso proseguiva con la descrizione fisica dell’oggetto dell’indagine, la terra, per terminare con una disamina delle narrazioni ritenute frutto di fantasia. Il II libro era dedicato alla forma e alla misura della terra abitata e alla sua suddivisione in continenti. Il suo contenuto coincideva parzialmente con un trattato Sulla misurazione della terra che secondo alcuni studiosi avrebbe costituito una sezione interna allo scritto, ma che l’autore, seguendo un’ipotesi di Amédée Thalamas,3 riconduce a un’opera del tutto autonoma. Il III libro conteneva le indicazioni necessarie per realizzare il disegno del mondo, la carta, con la definizione delle linee guida rappresentate dal meridiano e dal parallelo passanti per Rodi. Seguiva poi la lista dei paralleli e dei meridiani che costituivano la griglia sulla quale erano posizionati tutti i luoghi conosciuti, descritti regione per regione, dalle estreme terre dell’oriente fino alle Colonne d’Eracle. Il libro si sarebbe concluso, secondo Duane Roller, con alcune riflessioni sul rapporto tra virtù e appartenenza etnica che si contrapponevano all’idea di una netta distinzione dell’umanità tra Greci e Barbari e ponevano in evidenza l’atteggiamento di Alessandro Magno, che avrebbe preferito una distinzione fondata sull’etica individuale (pp. 29-30).
Nonostante il credito di cui gode negli studi moderni, lo scritto di Eratostene ebbe nell’antichità una diffusione limitata a una ristretta schiera di studiosi e fu oggetto di forti critiche che contribuirono a ridurne la circolazione nella sua integrità. A partire dall’età augustea pochi autori, tra cui Strabone e Plinio, ebbero la possibilità di consultare una copia del trattato, di cui si persero le tracce nel corso del II secolo d.C. A seguito di questa rapida scomparsa, molte delle testimonianze raccolte sono indirette o derivate da compendi, rendendo difficile stabilire quanto di esse effettivamente provenga da Eratostene. Persino la fonte principale, Strabone, risulta problematica, poiché le citazioni di Eratostene sono spesso calate in maniera inestricabile nel contesto dei commenti critici a lui rivolti da Ipparco, da Polibio e dallo stesso Strabone. L’autore, pertanto, sottolinea il grado ipotetico di alcune delle scelte effettuate nella selezione della documentazione, improntate al principio di mediazione tra quanto attribuibile a Eratostene e quanto imputabile ai commentatori successivi (pp. 36-37).
Il nucleo centrale del libro di Duane Roller è costituito dalla raccolta dei testi, ripartiti nei tre volumi sulla base dei riferimenti indicati dalle testimonianze o dei rimandi interni (pp. 39-107). Rispetto alla raccolta di Berger, che funge comunque da modello, vi sono variazioni significative per quanto riguarda l’estensione di alcune testimonianze, che sono correttamente considerate nel complesso testuale della fonte che le trasmette. Le scelte vanno in direzione della conservazione di una maggiore integrità dei testi, evitando la frammentazione eccessiva e la loro duplicazione. Questo favorisce la contestualizzazione dei singoli documenti e una maggiore armonia descrittiva complessiva. Anche l’ordine delle testimonianze contribuisce a restituire l’organicità dei temi originariamente affrontati da Eratostene. In questo caso si tratta, perlopiù, di piccoli aggiustamenti e sono pochi gli elementi di novità, a proposito dei quali sussistono alcuni dubbi. D’altra parte, la ricostruzione della sequenza dei testi è spesso del tutto ipotetica, poiché nell’opera dovevano comparire delle ripetizioni di dati e di informazioni, soprattutto misurazioni e distanze, che allo stato attuale delle testimonianze non è possibile contestualizzare con certezza.
La traduzione è in genere chiara e corretta, con qualche errore dovuto probabilmente alla difficoltà di alcuni passi di Strabone che si prestano a fraintendimenti. A p. 60 (F 30 = Strabo, II, 5, 6), il cerchio passante per il polo e che divide l’emisfero settentrionale in due parti viene chiamato parallelo, allorché sarebbe corretto indicarlo come meridiano. A p. 79 (F 64 = Strabo, II, 1, 34), invece, viene definita come meridiano una semplice linea obliqua, dalle Porte Caspie alla Carmania, di cui si dice che interseca il meridiano passante per le Porte Caspie.
Una novità è costituita dal F 82 (Strabo, II, 1, 31), nel quale Eratostene non è direttamente menzionato ma che, mediato dal commento straboniano, si inserisce coerentemente nel contesto della descrizione delle sphragides, le suddivisioni regionali dell’oriente che Eratostene discuteva nel terzo libro. Diversamente, il F 88 (Strabo XIV, 2, 29) viene riportato come se fosse assente dalla raccolta di Berger, dove invece compare come F 8, in forma abbreviata poiché la seconda parte della testimonianza risale a Polibio. Nel brano c’è veramente poco di Eratostene, come rileva lo stesso autore (pp. 190-191 e 247).
Tra gli spostamenti da un libro all’altro, il F II C 23 Berger diviene qui il F 24 del I libro, con un ampliamento iniziale che comprende la discussione di alcune opinioni sul tema del confine tra Europa e Asia e in particolare delle affermazioni di Policleto di Larissa relative al mar Caspio (Strabo, XI, 7, 4). In tal modo, la testimonianza sembrerebbe rientrare nella polemica di Eratostene nei confronti degli storici di Alessandro, accusati di invenzioni fantasiose. Essa, tuttavia, potrebbe rimanere contestualizzata nell’ambito del II libro qualora la si riferisse alla discussione sulla definizione dei confini tra Europa e Asia, come intendeva Berger.
Il F 34 (Strabo, II, 5, 7-9) è attribuito al II volume e correttamente integrato da Duane Roller nel contesto originario, dal quale Berger estrapolava alcune linee di testo (F III A 39). Lo stesso si può dire del F 63 (Strabo, II, 1, 29), presentato in maniera unitaria nell’ambito del III libro, allorché Berger lo suddivideva in più parti (FF III A 31, III B 30, II B 17).
Il F 73 (Strabo, II, 1, 7) viene attribuito alla sezione del III libro riguardante la sphragis indiana, mentre Berger (F II C 21) lo riferiva al complesso delle misurazioni utilizzato da Eratostene nel II libro per stabilire la lunghezza del mondo abitato. Nel testo Strabone fa esplicito riferimento al secondo volume dell’opera di Ipparco, il quale, come ammette Duane Roller (p. 31), era stato autore di un’analisi puntuale che rispecchiava la struttura stessa dello scritto di Eratostene, rendendo così plausibile la ricostruzione di Berger. Un discorso analogo vale per il F 103 (Plin., N.H., V, 41), qui collocato nell’ambito della descrizione della Libia, ma che Berger inseriva nel contesto della determinazione della lunghezza dell’ecumene (F II C 20).
Il F 154 (Strabo, XVII, 1, 19 = F I B 9 Berger) è riferito all’approccio etnografico di un’ipotetica conclusione generale dei tre volumi sulla base del confronto con il successivo F 155 (Strabo, I, 4, 9), che Berger, tuttavia, attribuiva alla conclusione del II libro (F II C 24), tenendo conto del contesto straboniano nel quale si discute della suddivisione dell’ecumene in continenti e si fa esplicita menzione del II volume dei Geographika.
Al testo nella traduzione inglese fa seguito un commento che forma la sezione più ampia del volume (pp. 109-221). L’analisi dei singoli testi è condotta con un taglio prevalentemente storico e geografico, attento ai contenuti, e appare bene articolata e sufficientemente esaustiva, con confronti e rimandi a ulteriori fonti e alla bibliografia essenziale. Se si escludono alcune indicazioni generali, tuttavia, manca nei casi specifici l’esplicita spiegazione e la motivazione degli interventi, delle variazioni e delle scelte di organizzazione della documentazione attuati dall’autore, la cui comprensione è demandata al lettore.
Un utile strumento è costituito dall’elenco di 366 toponimi preservati nella documentazione e di cui si può ritenere con buona probabilità che fossero originariamente menzionati dallo studioso cirenaico (pp. 223-248). Sette carte aiutano il lettore illustrando la ricostruzione dell’ecumene secondo Eratostene e riproducendo la dislocazione dei toponimi antichi sulla moderna cartografia (pp. 250-259). Vi sono poi tre appendici dedicate a temi specifici. La prima di queste riporta i testi riconducibili allo scritto di Eratostene Sulla misurazione della terra (pp. 263-267), che Berger aveva compreso nel II libro. Fra queste testimonianze, l’autore riproduce anche quella di Censorino ( De die natali, 13, 2), senza indicare che compariva già nell’edizione di Berger (F II B 32). La seconda appendice contiene le notizie principali riguardanti la vita di Eratostene, seguite da brevi note critiche (pp. 268-270). La terza appendice, infine, tocca uno dei problemi fondamentali dell’approccio moderno alla cartografia antica, ovvero la questione della lunghezza dell’unità di misura utilizzata (pp. 271-273). L’unità più diffusa nel mondo greco, lo stadio, non corrispondeva a una distanza definita e univoca, ma variava da località a località. Giustamente, pertanto, Roller osserva che non c’è ragione di credere che, nel riportare le numerose distanze contenute nella sua opera, Eratostene abbia fatto sempre uso di un’unità di misura della stessa lunghezza. Infatti, le sue informazioni provenivano da fonti molto diverse che avevano utilizzato stadi tra loro differenti. Occorre dunque una grande cautela nell’istituire dei confronti tra le misurazione e le distanze riferite dagli autori antichi, che appaiono a volte molto diverse ma di cui non è possibile stabilire né quale fosse la lunghezza dell’unità di riferimento né se esse siano il frutto di qualche intervento di conversione tra i differenti sistemi operato dagli stessi autori. Fra questi vanno annoverate le equivalenze tra le misure in stadi e le misure in miglia romane attuate ad esempio da Plinio secondo il rapporto 1 miglio = 8 stadi, che l’autore in alcuni casi inverte inavvertitamente (pp. 201 e 206).
Il volume si conclude con la bibliografia complessiva degli studi moderni (pp. 275-280), un indice dei brani delle fonti antiche (pp. 281-287) e un indice generale (pp. 289-304) che contribuiscono a farne un utile strumento per affrontare lo studio non solo di Eratostene e della sua opera ma della scienza geografica antica nel suo complesso. Da esso emerge, infatti, ben al di là delle difficoltà di contestualizzazione dei singoli documenti, l’importanza del contributo di Eratostene allo sviluppo degli studi e la sua capacità di cogliere e condensare in una visione del mondo innovativa l’ampliamento degli orizzonti geografici avvenuto nella prima età ellenistica.
Notes
1. Die geographischen Fragmente des Eratosthenes, neu gesammelt, geordnet und besprochen von H. Berger, Leipzig, 1880.
2. Si segnalano, in particolare: G. Aujac, Ératosthène de Cyrène, Le pionnier de la géographie. Sa mesure de la circonférence terrestre, Paris, 2001; K. Geus, Eratosthenes von Kyrene. Studien zur hellenistischen Kultur- und Wissenschaftsgeschichte, München, 2002; Ératosthène: un athlète du savoir, actes réunis par C. Cusset et H. Frangoulis, Saint-Étienne, 2008.
3. A. Thalamas, La Géographie d’Ératosthène, Paris, 1921.