Il volume curato da Max Kunze è il catalogo di un’esposizione tenutasi dal 19 settembre al 29 novembre 2009 al Winckelmann Museum a Stendal.1 La mostra si inserisce nel fiorire di iniziative incentrate sugli Etruschi e la loro cultura, che hanno caratterizzato negli ultimi anni l’ambiente accademico tedesco.2 Lo fa però in modo inusuale e con una prospettiva accattivante. Prendendo le mosse dalle ricerche di Winckelmann, il volume propone infatti da un lato un interessante percorso di storia degli studi, analizzando l’evoluzione del pensiero dello studioso nei confronti dell’arte etrusca e contestualizzandolo nel periodo storico in cui visse; dall’altro però cerca anche di attualizzare le ricerche del Winckelmann, sondandone la validità odierna in base ai risultati conseguiti dagli studi etruscologici nel corso degli ultimi tre secoli.
Un primo capitolo è dedicato agli esordi dell’Etruscologia e ai predecessori di Winckelmann. In esso sono presi in considerazione in modo breve ma efficace anche per un pubblico non specialista le opere di Annio Da Viterbo, Thomas Dempster, Filippo Buonarroti e Anton Francesco Gori e si sottolinea come uno dei “limiti” dell’opera dello studioso tedesco in merito all’analisi dell’arte etrusca sia da porre in relazione alla mancanza di conoscenza della Grecia arcaica nel XVIII secolo.
Segue poi un capitolo dedicato al problema del riconoscimento nelle opere di Winckelmann “Was ist etruskisch, was nicht?”, nel quale viene ripresa in considerazione, tra l’altro, la ben nota questione della progressiva identificazione nelle opere dello studioso della grecità dei vasi con decorazione a figure nere e rosse rinvenuti in Etruria.
Altri due brevi capitoli (“Wie kamen griechischen Mythen und Götter nach Etrurien?” e “Winckelmann: die grieschischen Götter und die Religion der Etrusker”) cercano, partendo sempre dalla Geschichte der Kunst des Alterthums, di mettere in relazione con lo stato attuale degli studi il pensiero dello studioso tedesco in merito alle strutture sociali etrusche.
Il fulcro della trattazione è tuttavia l’analisi delle produzioni artistiche etrusche, tenendo come base la divisione nei tre stili proposta dal Winckelmann. Questa struttura, sicuramente giustificata dal tipo di percorso espositivo scelto, si fonda tuttavia sulla premessa, a mio modo di vedere un po’ forzata, che “ Die von ihm aufgezeigte Stilentwicklung ist in ihren Grundzügen noch heute gültig”. Nel corso dell’esposizione ci si trova così di necessità a incasellare in un sistema, che in origine non le prevedeva, perché poco conosciute o ignote nel periodo in cui lo studioso scrisse la sua Geschichte), intere classi di materiali, con lo sforzo piuttosto evidente, come peraltro sottolineato da Max Kunze nell’introduzione, di armonizzare la struttura teorica del Winckelmann con le nuove acquisizioni della ricerca etruscologica.
Nel volume ogni capitolo è organizzato in due parti distinte: un breve saggio e alcune schede di materiali, molto sintetiche, utili a chiarire le affermazioni teoriche contenute nel testo introduttivo. I reperti presentati sono per lo più editi. Fanno eccezione un calice d’impasto su alto piede con vasca baccellata e decorato ad incisione sul labbro con una catena di palmette (n. V.1), un kyathos e un’oinochoe di bucchero (rispettivamente n. V.9 e n. V.14), un’oinochoe etrusco-corinzia con decorazione lineare e ad archetti intrecciati (n. V.23), un’anfora a figure nere attribuita da Cornelia Weber-Lehmann al Pittore della Danzatrice con i crotali (n. V.33), un bronzetto di guerriero (n. V.41) e due mani di bronzo di consistenti dimensioni (n. V.47 a+b).
Tra questi oggetti merita una citazione particolare l’anfora a figure nere V.33, che come giustamente ricordato nel catalogo si avvicina sì all’esemplare Louvre E 755, per quanto concerne la raffigurazione della danzatrice, ma che significativamente condivide più di un tratto per la medesima figura anche, ad esempio, con un’olpe in collezione privata svizzera ricondotta al medesimo ambito produttivo.3 I profili in bianco della veste, gli orecchini anch’essi resi in colore bianco e soprattutto la presenza di ali sono tratti che accomunano le figure femminili sui due vasi.
Forse problematica, o comunque potenzialmente equivoca per il grande pubblico, almeno a mio parere, è la presenza in un catalogo espressamente dedicato agli Etruschi e alla loro produzione artistica – e non alle popolazioni dell’Italia preromana – di opere che sono sicuramente non pertinenti ad ambito etrusco. Mi riferisco, ad esempio, ai kantharoi d’impasto V.2 a e V.2 b. Per il primo è infatti ormai assodata la pertinenza alle serie capenati.4 Pur con maggiore cautela, dal momento che manca ancora uno studio sistematico sugli impasti con decorazioni incise, sarei comunque propensa a riconoscere anche nel V.2 b una realizzazione di detto ambito produttivo.
Analogamente sul versante della piccola plastica bronzea, il catalogo presenta materiali anche di ambiente umbro (V.40, V.41) e sabellico (V.105 e V.106). A proposito dell’esemplare V.105 occorre forse precisare la pertinenza ad un momento produttivo successivo al IV sec. a.C. Se infatti coglie nel segno la pur preliminare proposta di partizione cronologica dei bronzetti di età ellenistica formulata da Giovanni Colonna ormai trentacinque anni fa, l’oggetto in questione rientra nella cosiddetta “terza fase”, caratterizzata da una “lenta riconquista di un contatto con la grecità” e la cui datazione è da collocare “tra la metà del II secolo e la guerra sociale”.5 Una precisazione è necessaria anche per il V.106, che sempre in base alla proposta del Colonna, deve essere riferito alla cosiddetta “seconda fase”, di età medio-ellenistica, “in cui riaffiora il sostrato primitivo di cui si era nutrita la produzione del V secolo”.6
Nel quadro presentato mancano poi quasi del tutto alcune classi di materiali, che sarebbero forse state utili a precisare l’evoluzione delle esperienze artistiche di ambito etrusco. Mi riferisco, ad esempio, alla coroplastica templare. Viene infatti presa in considerazione nel volume una sola antefissa a testa di Menade (V.100), peraltro di età recente. Anche la grande statuaria in pietra è assente. Sarebbe stato forse utile inserire nella trattazione anche questi aspetti della produzione artistica etrusca, considerando che nella Geschichte il Winckelmann sosteneva: “Wir haben eine Menge kleiner Hetrurischer Figuren, aber nicht Statuen genug, zu einem völlig richtigen Systema ihrer Kunst zu gelangen, und nach einem Schiffbruche läßt sich aus wenig Brettern kein sicheres Fahrzeug bauen.[…] Zum Unglück ist zur Entdeckung von Werken aus den blühenden Zeiten dieser Völker wenig Hoffnung”.7 Pur nella lacunosità del quadro a nostra disposizione è forse oggi possibile tentare di rimettere insieme, per utilizzare la metafora del Winckelmann, un’imbarcazione più sicura, avendo a disposizione un numero di “tavole” abbastanza ampio, frutto per lo più delle ricerche dell’ultimo secolo.
Da ultimo piace sottolineare come il volume presenti una veste editoriale curata e a tratti accattivante. Sono piacevoli, ad esempio, nei saggi introduttivi ai singoli capitoli i brani citati dalla Geschichte in colore diverso dal testo e in scrittura gotica. Considerato che l’opera nasce come catalogo di una mostra ed è quindi dedicata principalmente ad un pubblico non specialista, questo aspetto è di rilevanza non indifferente. Utili anche i riquadri, proposti nel testo su sfondo grigio, nei quali vengono trattati in modo sintetico aspetti storici8 o culturali9 . Fotografie, disegni e riproduzioni dei testi antiquari sono di buona qualità e anche il prezzo accessibile concorre a rendere il volume appetibile. Alcune sviste tipografiche, limitate per lo più a errori di spaziatura o a doppi segni di punteggiatura, non ne minano sicuramente la qualità.
In conclusione un volume con una prospettiva interessante, che tenta di coniugare l’aspetto antiquario di storia degli studi con le attuali conoscenze sulle produzioni artistiche di ambito etrusco, rendendo accessibili le considerazioni svolte anche ad un pubblico specializzato.
Notes
1. http://www.winckelmanngesellschaft.
2. Si pensi, ad esempio, alla bella mostra e relativo catalogo a cura di B. Andreae, A. Hoffmann e C. Weber-Lehmann, Die Etrusker. Bilder vom Diesseits – Bilder vom Tod (2004) o ancora a quella a cura di M. Bentz, Rasna, Die Etrusker, tenutasi a Bonn tra il 2008 e il 2009.
3. F. Gaultier, CVA Louvre 26, 2003, n. 13 p. 61 e per un’immagine F. Gaultier, “Le “Peintre de la danseuse aux crotales, Recherches sur les ateliers de céramique de Vulci dans la première moitié du Ve siècle av. J.-C.”, in MEFRA 99, 1987, n. 4 p. 78, fig. 10b.
4. M.Cristina Biella, Impasti orientalizzanti con decorazione ad incavo nell’Italia centrale tirrenica, Roma 2007, I.AI.14, tavv. XL-XLI, fig. 42, pp. 84 s. e pp. 196 ss.
5. G. Colonna, “Problemi dell’arte figurativa di età ellenistica nell’Italia adriatica”, in Atti del I Convegno di studi sulle antichità adriatiche (Chieti – Francavilla al Mare, 27-30 giugno 1971) = Italia ante romanum imperium, Scritti di antichità etrusche, italiche e romane (1985-1999), Pisa-Roma 2005, p. 859.
6. G. Colonna, supra, n.5, p. 857 s.
7. Il testo citato in conclusione al Cap. III, dedicato all’arte presso gli Etruschi e i popoli limitrofi, è tratto dall’edizione J.J. Winckelmann, Storia dell’arte dell’antichità, a cura di F. Cicero, Milano 2003, pp. 334 ss.
8. Die Herkunft der Etrusker aus heutiger Sicht, Das 7. und 6. Jh. v. Chr – Orientalisierende Periode und die Archaik, Die historische Situation im ausgehenden 6. und 5. Jahrhundert v. Chr., Etrurien im 4. Jh. v. Chr. und im Hellenismus bis zur Romanisierung.
9. Die etruskische Religion) o ancora legati alle produzioni artigianali ( Impasto-Keramik, Bucchero-Keramik, Etrusko-korintische Keramik, Etruskisch-scwarzfigurige Vasenmalerei, Etruskische Bronzekunst in der Archaik, Frühe etruskische Kunst in Kampanien, Etruskische Kunst des 5. Jh. v. Chr., Etruskisch rotfigurige Vasenmalerei, Etruskische Urnen, Kleinbronzen, Spiegel ed Etruskische Wandmalerei.