La rivista Seia, fondata da F. P. Rizzo nel 1984, ha accolto nel corso degli anni varie monografie, tra le quali segnaliamo F.P. Rizzo, La menzione del lavoro nelle epigrafi della Sicilia antica (Seia 6, 1989), G. Martorana, Norma e non norma, trasgressione e sacralità (Seia 7, 1990) e V. Messana, La politica religiosa di Graziano (Seia n.s. 3, 1998). Dopo cinque volumi di carattere miscellaneo, il numero 14 ospita nuovamente uno studio monografico, quello di Alessandro Pagliara, collaboratore della rivista.
Il contributo di Pagliara si articola in otto brevi capitoli preceduti da una premessa e seguiti dalla bibliografia e da un indice delle fonti citate. Il volume è corredato di quattro tavole contenenti due cartine e alcune immagini tratte dal volume di Houel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari del 1782. Nella premessa (pp. 13-15) Pagliara traccia una breve storia degli studi che partendo dall’opera di T. Fazello arriva ai recenti volumi di P. Anello, F. P. Rizzo, R. Sammartano, Pagani e cristiani in Sicilia (secc. II-V) e F. P. Rizzo, Sicilia Cristiana dal I al V secolo 2 voll. (recensiti su questa stessa rivista da R.G. Wilson e P. D. Scirpo: vd. BMCR 2007.03.37. e BMCR 2007.04.13.) di cui Pagliara ha curato la raccolta dei testi pubblicati nel secondo volume.
Nel primo capitolo (pp. 17-21) lo studioso presenta un resoconto dell’impresa di Alarico e del suo tentativo di oltrepassare il fretum siculum. Le fonti prese in esame dall’autore, tra le quali non figura Orosio 7, 43, 11, mettono in risalto lo stato di trepidazione e l’inquietudine suscitata da questi eventi come risulta dalla drammatica rievocazione dell’incendio di Reggio, ad opera dei barbari, di Rufino di Aquileia il quale, giunto in Sicilia per dedicarsi alla traduzione delle Omelie in Numeros di Origene, aveva trovato ospitalità nella sontuosa villa di Piniano e Melania nei pressi di Messina. Proprio le vicende di Melania Iuniore, esponente di spicco insieme al marito Valerio Piniano di quella aristocrazia romana caratterizzata da forti interessi economici nell’isola, offrono a Pagliara lo spunto per accennare brevemente alla questione relativa ai possedimenti isolani dei ricchi senatori romani a partire dall’età alto-imperiale.
Il secondo capitolo (pp. 23-42), che l’autore ha avuto modo di presentare in occasione di incontri scientifici tenuti a Firenze e a Roma, affronta il tema della diffusione di dottrine eretiche in Sicilia tra IV e V secolo. La trattazione prende l’avvio da una digressione relativa alla presunta origine apostolica della Chiesa siciliana, cui seguono alcune considerazioni relative a Panteno maestro di Clemente Alessandrino, la cui origine siciliana è messa in dubbio dall’autore; Pagliara sottolinea che solo a partire dal III sec. d.C. vi sono testimonianze certe della presenza di comunità cristiane nell’isola: oltre le testimonianze monumentali delle catacombe siracusane, una lettera dei presbiteri romani indirizzata a Cipriano e alcuni riferimenti contenuti nell’ epistula ad Marcellam di Porfirio attestano la presenza di cristiani nell’isola verso la metà del III secolo. Controversa invece risulta una testimonianza del Praedestinatus che colloca l’eresia degli Eracleoniti nel II d.C.: secondo Pagliara la notizia non è attendibile e la dottrina propugnata da Eracleone, che presentava punti di contatto con il Pelagianesimo, sarebbe una delle tante credenze diffuse in Sicilia tra IV e V sec., di cui Girolamo scrive nel Commento di Geremia.1
Per quanto riguarda il tema della diffusione del Pelagianesimo, Pagliara giustamente ritiene certa la presenza in Sicilia di Celestio e Giuliano di Eclano, mentre considera soltanto una semplice supposizione del Lancia di Brolo il fatto che Pelagio soggiornò nell’isola per più anni.2 Lo studioso si sofferma soprattutto sulle questioni dell’ impeccantia, del valore del battesimo e dell’atteggiamento cristiano verso i beni materiali, temi sui quali si basava l’attività di proselitismo dei Pelagiani a Siracusa, come testimonia una lettera di Ilario indirizzata ad Agostino.3 In particolar modo il problema della inconciliabilità tra salvezza spirituale e possesso di beni materiali costituì un nodo delicato della polemica divampata tra i Pelagiani e Agostino: per il vescovo di Ippona l’uomo cristiano doveva nutrire disinteresse e non repulsione per le ricchezze; per tal motivo l’alienazione dei beni patrimoniali e le forme estreme di carità messe in atto da Melania Iuniore in Sicilia e in Africa suscitarono le perplessità di Agostino, consapevole sia del carattere “eversivo” di tali comportamenti, che sovvertivano l’ordine sociale e produttivo del tempo, 4 sia della pericolosa corrispondenza tra questi modi di agire e le dottrine di Pelagio.
Il terzo capitolo (pp. 43-47) è dedicato alla vicenda dell’usurpatore Prisco Attalo, esiliato a Lipari nel 417; l’episodio fornisce all’autore il pretesto per una breve digressione sulla “vocazione carceraria” delle isole Eolie, scelte fin dai tempi di Caracalla come luogo di relegazione per usurpatori e scomodi rivali politici. Seguono quattro capitoli dedicati all’epoca vandalica.
Grazie all’acquisizione di nuovi dati archeologici l’epopea dei Vandali, negli ultimi anni, è stata oggetto di valutazioni storiografiche più equilibrate e scevre dal condizionamento dei resoconti delle fonti antiche che presentavano questo popolo come esclusivamente dedito alle razzie e alle devastazioni che portarono a una grave crisi del bacino del Mediterraneo. Le fonti archeologiche, infatti, sembrano testimoniare che il commercio e l’economia rimasero floridi in tutta l’area del Mediterraneo tanto che Lepelley ha messo in rilievo il fatto che la prosperità economica dell’ Africa tardoantica non si interruppe in epoca vandalica.5 Anche in Sicilia le scorrerie vandale non ebbero quegli effetti così devastanti e duraturi che le fonti vorrebbero far credere: gli anni compresi tra il 440 (quando avvenne la prima grande incursione marittima vandala in Sicilia) e il 476 (anno in cui Genserico concesse la Sicilia ad Odoacre a prezzo di un tributo annuo) si caratterizzarono per l’alternarsi di momenti di instabilità e incertezza e periodi più o meno duraturi di relativa tranquillità. Pagliara, consapevole del fatto che è necessario “sfumare il quadro a fosche tinte dipinto dalla tradizione antica” (p. 49), concorda con quegli studiosi che, attraverso un’attenta rilettura delle fonti, ridimensionano la portata della barbara vastitas “se non altro nelle conseguenze di lunga durata” (p. 71). Particolarmente controversa risulta la condizione della Chiesa in questo periodo.
Nel capitolo (il sesto) dedicato all’argomento, l’autore riporta le conclusioni di Rizzo il quale giustamente sottolinea che “i presunti contraccolpi negativi” della comunità cristiana siciliana furono relativamente modesti e limitati al periodo della grande incursione del 440. Anche la grande proprietà fondiaria della Chiesa, che verosimilmente negli anni precedenti al 440 subì un incremento,6 sembra aver subito danni limitati nel tempo: se da un lato il papiro Marini/Tjäder del 444 è stato spesso interpretato come una prova delle pesanti condizioni imposte dai Vandali, dall’altro un’epistola di papa Leone del 447, indirizzata a tutti i vescovi siciliani, sembra raffigurare una situazione di tranquillità recuperata.
Il capitolo conclusivo del volume riguarda il periodo compreso tra il 476 e il 535. Pagliara mette in rilievo il fatto che in Sicilia, sotto il dominio di Odoacre, presero avvio processi di rinnovamento del tessuto socio-economico, di cui un papiro del 489 reca testimonianza,7 che probabilmente continuarono anche successivamente quando la giurisdizione dell’isola da Odoacre passò a Teodorico. Tra i protagonisti di questo passaggio, avvenuto pacificamente tra il 489 e il 491, vi fu anche il padre di Cassiodoro. Il dominio dei Goti, caratterizzato da tranquillità e prosperità, fu spazzato via nel 535 da Belisario, il quale conquistò facilmente la Sicilia e la inglobò nell’impero bizantino.
Lo scopo di questo lavoro sembra essere quello di offrire una raccolta delle fonti letterarie e una sintesi del dibattito storiografico moderno relative alla storia della Sicilia nel V sec. d.C. Per superare il limite di un profilo puramente storiografico sarebbe stato opportuno riservare un’attenzione maggiore ai dati archeologici ed epigrafici, in considerazione anche del fatto che l’esigenza di una sintesi storiografica sull’argomento era stata recentemente soddisfatta dal vasto e approfondito repertorio di F. P. Rizzo, Sicilia Cristiana dal I al V secolo, a cui lo stesso Pagliara rinvia per ovviare all’esiguità delle indicazioni bibliografiche da lui fornite nel testo. Manca, inoltre, un indice dei nomi propri e geografici che avrebbe potuto agevolare la ricerca di personaggi e luoghi citati nel testo.
Di grande utilità, al contrario, la scelta di riportare il testo delle fonti antiche nelle note a piè di pagina che rende la lettura più scorrevole. Da rilevare, infine, l’interesse dell’autore per la storiografia erudita pre-moderna che traspare in tutta la trattazione a partire dalla scelta di inserire le immagini del Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari : Pagliara riporta e discute i giudizi dell’abate Amico e del Lancia di Brolo, cita Fazello, Ussher, Gibbon, Amari e nel terzo capitolo sceglie come traduzione di un passo di Orosio il “volgarizzamento dugentesco” di B. Giamboni secondo un’edizione del 1849.
Notes
1. Hier., praefatio in lib. IV Jerem. 1, 2.
2. L’ipotesi, prospettata da Lancia di Brolo ( Storia della Chiesa in Sicilia nei primi dieci secoli del cristianesimo, Palermo 1880-1884, p. 233) e accolta da B. Pace ( Arte e civiltà della Sicilia antica vol. IV, Roma 1949, p. 44), secondo la quale Pelagio soggiornò per qualche tempo in Sicilia prima del suo passaggio in Africa, è stata accolta da Wermelinger ( Rom und Pelagius. Die theologische Position der römischen Bischöfe in pelagianischen Streit in den Jahren 411-432, Stuttgart 1975, pp. 29-35) il quale, inoltre, ritiene probabile che nell’isola si sia formato un circolo teologico che contribuì a propagare e radicalizzare le idee propugnate dalla dottrina pelagiana. D. Motta, ( Percorsi dell’agiografia. Società e cultura nella Sicilia tardo antica e bizantina, Catania 2003) sottolinea il fatto che il soggiorno siciliano di Pelagio “è soltanto un’ipotesi sostenuta da alcuni studiosi ma non suffragata da documentazione letteraria” (p. 130). Gli studi di Wermelinger e di Motta non compaiono nella bibliografia.
3. Aug., epist., 156.
4. Su questo aspetto cfr. A. Giardina, Carità eversiva: le donazioni di Melania la Giovane e gli equilibri della società romana tardoantica in Hestiasis. Studi di tarda antichità offerti a S. Calderone 2, Messina 1986, pp. 77-102.
5. C. Lepelley, Peuplement et richesses de l’Afrique romaine tardive in Hommes et richesses dans l’Empire byzantin. IVe- VIIe siècle, Paris 1989, pp. 17-30.
6. L’incremento delle proprietà siciliane della Chiesa di Roma sembra testimoniato da un episodio della biografia di papa Sisto III ricostruibile grazie a Liber pontificalis 46 e Acta de causa Sixti III 2-3.
7. Il papiro (Tjäder I 10- II 7) attesta una donazione fondiaria di Odoacre a Pierio.