[For a response to this review by Christopher Jones, please see BMCR 2010.08.54 ]
Nel ringraziare Toennes Bekker-Nielsen per la sua positiva recensione al volume dioneo edito da H.-G. Nesselrath, corre, tuttavia, l’obbligo di segnalare come taluni suoi giudizi nascano da un fraintendimento totale, se non proprio da una palese incomprensione, di quanto in esso espresso. In tal senso, affinché i lettori di questa rivista elettronica possano essere bene informati sul contenuto del libro e lasciando la facoltà ai restanti autori del volume di intervenire per le proprie parti, ci terrei a sottolineare, per quanto riguarda le sezioni da me curate, i seguenti errati giudizi di Bekker-Nielsen:
1) non è vero quanto egli scrive a proposito del contrasto di vedute, che vi sarebbe tra S. Fornaro ed il sottoscritto, circa la natura del discorso 54: «In his preface to the Loeb edition of Or. 54, Crosby assumed that this is the introductory fragment of a longer speech; this is accepted by Fornaro (p. 6, n. 5) whereas Amato (pp. 23-24) prefers to see Or. 54 as Dio’s personal “Arbeitsanmerkungen”». Personalmente, nelle pagine richiamate da Bekker-Nielsen, ho sostenuto e mi sono sforzato di dimostrare esattemente il contrario, vale a dire che il discorso in esame rappresenta quanto a noi resta di una prolalia e, dunque, un preambolo introduttivo ad un discorso più esteso: «Von Arnims Hypothese […], die diese Rede als die Reste einer προλαλιά interpretiert, ist wohl jener Desideris vorzuziehen, nach welchem das Stück die typische Gestalt von Arbeitsanmerkungen oder –notizen zeigt». Segue, quindi, una nutrita serie di osservazioni e di paralleli, volta a dimostrare quanto per primo ipotizzato dal von Arnim (non, dunque, dal Crosby, come lascerebbe intuire la sommaria presentazione di Bekker-Nielsen). Ciò che più mi preme sottolineare è, comunque, il fatto che l’ipotesi, secondo cui il discorso in esame rappresenterebbe una raccolta di “note di lavoro”, risale al Desideri, non a me.
2) il seguente giudizio di Bekker-Nielsen mostra ancora una volta che egli non ha letto con l’attenzione dovuta il volume da lui recensito: «On the other hand, Fornaro sees Or. 71 as an integral whole (“schliesst mit einer unerwarteten Pointe”, p. 16) while Amato takes it to be a fragment and attempts a somewhat speculative reconstruction of its sequel (pp. 39-40)». Ebbene, anche io, come la Fornaro (ed in precedenza il von Arnim!), ho indiscutibilmente sostenuto nel commentario (p. 149, n. 190) che la chiusa del discorso dioneo contiene una pointe ironica: «Von Arnim (gefolgt von Crosby) deutete den letzen Satz als ironische Frage […]. Sieht man daher in diesem Satz — wohl zu recht — eine ironische Schlussfrage».
Vorrei, poi, soffermarmi su alcune proposte interpretative di Bekker-Nielsen quanto mai fragili: la maggioranza degli studiosi dionei ritiene che il discorso 72 sia stato recitato da Dione nella città di Roma. Per lo studioso danese, invece, poiché in tale discorso si fa cenno a marinai ed in particolare ad una statua di Poseidone, questo proverebbe che il discorso sia stato destinato ad una città di mare. A parte il fatto che Dione menziona anche statue di Zeus e di altre divinità, non espressamente citate, così come pastori ed agricoltori, Bekker-Nielsen ignora forse che statue raffiguranti il signore dei mari, il cui culto a Roma fu introdotto tardivamente, si trovavano erette anche nella capitale dell’impero: basti ricordare, accanto all’antica tradizione romana del Neptunus equestris,1 la famosa statua di Scopas raffigurante appunto Nettuno e le Nereidi, che, stando a Plinio ( NH 36, 5, 26), doveva trovarsi in delubro Cn. Domitii in circo Flaminio.2 Ed è altresì interessante sottolineare come Domizio Enobarbo avrebbe potuto portare con sé a Roma il gruppo scultoreo di Scopas prelevandolo proprio dalla Bitinia, provincia donde era originario Dione e che cadeva sotto il controllo dello stesso Enobarbo3 (avendo S. Fornaro il compito di redigere le note di tipo storico-letterario e relative ai realia, il sottoscritto quelle di carattere linguistico-filologico, non potevo certo soffermarmi nel commento su tale aspetto). Cosa impedisce, inoltre, che a Roma circolassero, sbarcati ad Ostia, anche marinai? O forse, tenendosi al ragionamento semplicistico di Bekker-Nielsen, visto che Dione, oltre a marinai, menziona pure figure di pastori e di contadini (§ 1), dovremmo ipotizzare quale destinatari del discorso dioneo il pubblico di una città di campagna?
Quanto, poi, al problema della reale natura dell’esilio di Dione, Bekker-Nielsen, senza neppure avvedersene, attribuisce direttamente a me quella che è un’ipotesi di G. Ventrella,4 da me apertamente richiamato in n. 156 di p. 50. Se egli avesse letto l’articolo di Ventrella (accompagnato da un appendice del sottoscritto), cui per l’appunto io rimandavo i lettori desiderosi di maggiori dettagli, avrebbe certo verificato quanto numerosi siani gli elementi che potrebbero portare a ritenere Dione non già un esiliato stricto sensu, bensì un adnotatus requirendus e, dunque, a permettere di intravedere nel discorso 54 un’allusione mascherata alla probabile confisca dei beni subita dall’oratore. Primum legere, dunque, deinde philosophari.
Vengo, infine, al problema della traduzione del greco βασιλεύς, reso da Renate Burri con “imperatore”: secondo Bekker-Nielsen, «[t]ranslating βασιλεύς as “emperor” (p. 103) rather than “king” is impossible: whatever its date, Or. 72 was composed before the accession of Hadrian, the first emperor to sport a flowing beard». L’osservazione è nuovamente precipitosa, oltre che errata: è evidente che Dione canzona quegli imperatori, che, facendosi ritrarre con la barba, ritengono così di poter essere identificati con i poeti e i filosofi greci. Il riferimento è, dunque, all’imperatore filoelleno, Nerone, rappresentato, guarda caso, occasionalmente con la barba.5 In ogni caso, Bekker-Nielsen sembra ignorare che quanto mai incerta è la data di morte di Dione, generalmente considerata non posteriore al 120 d.C. Cosa impedisce, dunque, che Dione faccia allusione proprio all’imperatore Adriano, salito al trono nel 118 e che il suo discorso risalga agli ultimi anni di vita dell’oratore? Anzi, da questo punto di vista, l’elemento della barba rappresenterebbe un interessante spunto di discussione per la cronologia dionea.
Notes
1. Su cui, vedi almeno S. Tramonti, L’antica festività dei «Consualia» e il ruolo degli animali da trasporto nella fase più antica della storia di Roma, Pallas 44 (1996), 101-107.
2. La testimonianza di Plinio sembra essere sorretta anche dall’epigrafia (cf. CIL VI.8423), oltre che da un passo di Livio (28, 1, 4) e uno di Dione Cassio (fr. LVII.60).
3. Cf. S. Ball Platner, A Topographical Dictionary of Ancient Rome (London 1929), 360-361 (s.vv. “Neptunus, Ara” e “Neptunus, Aedes, Delubrum”). In particolare, per la datazione e la localizzazione del tempio di Nettuno presso il Circo Massimo, eretto probabilmente nel 97 a.C. dal censore M. Antonio e restaurato nel 42-41 a.C. da Gneo Domizio Enobarbo, vedi F. Coarelli, L’«ara di Domizio Enobarbo» e la cultura artistica in Roma nel II secolo a. C., DArch 2 (1968), 302-368 e P. L. Tucci, Dov’erano il tempio di Nettuno e la nave di Enea?, BCAR 98 (1997), 15-42; cf. anche E. Lippolis, «Triumphata Corintho»: la preda bellica e i doni di Lucio Mummio Achaico, ArchClass n.s. 5 (2004), 25-82.
4. G. Ventrella, Dione di Prusa fu realmente esiliato? L’orazione tredicesima tra idealizzazione letteraria e ricostruzione storico-giuridica (con un’appendice di E. Amato), Emerita 77/1 (2009) 33-56.
5. Si veda, ad es., il busto in marmo di Nerone da datare tra il I sec. a.C. ed il I d.C. ed attualmente conservato nella Sala degli imperatori dei Musei Capitolini di Roma, una cui riproduzione è consultabile on-line al seguente indirizzo: www.araldodeluca.it/root/archivio/scheda.asp?img=3660.