P. J. Finglass ha avuto la benevolenza di fare una recensione del mio volume sui cantica dell’ Edipo Re di Sofocle. Nel ringraziarlo per la segnalazione di alcuni errori di stampa, voglio fare delle precisazioni su alcune manchevolezze che egli rileva nella realizzazione dello studio.
Finglass sostiene che io abbia trattato in maniera troppo ampia nell’introduzione la ormai superata classificazione di Turyn. L’introduzione al mio volume aveva lo scopo di dare un’ampia informazione sulla tradizione manoscritta di Sofocle e quindi non poteva trascurare lo studio di Turyn, anche se ho accolto le osservazioni di Dawe sulla impossibilità di ricostruire per Sofocle uno stemma codicum. La classificazione di Turyn per famiglie è stata tenuta presente dal momento che si è scelto di utilizzare non solo i codici più antichi, ma anche i più antichi di ogni singola famiglia individuata da Turyn, in modo da mettere ancora una volta alla prova la sua classificazione anche alla luce del dato colometrico sinora da tutti trascurato. Più volte, infatti, nelle pagine del volume ho sottolineato che, anche da questa nuova prospettiva d’indagine, la classificazione di Turyn non può essere accolta e mi sono schierato dalla parte di Dawe nel sottolineare l’impossibilità di ricostruire per il testo sofocleo una classificazione stemmatica, dal momento che il mio studio dimostra quanto il fenomeno della contaminazione sia operante anche per la colometria.
Per quanto riguarda il riferimento alle ‘edizioni antiche’ che io indicavo a p. 11 e per le quali Finglass lamenta la mancanza di indicazioni sui loro autori e sulla loro età, devo precisare che io non intendevo riferirmi a singole edizioni (di cui non abbiamo notizia) ma all’ edizione alessandrina dei tragici che è il punto più lontano cui possiamo attingere con la recensio dei manoscritti medievali o di eventuali papiri, come del resto per qualsiasi altro autore dell’età classica. La ricostruzione della colometria è un aspetto della ricostruzione del testo e segue gli stessi procedimenti della critica testuale.
Altra cosa è l’attendibilità della colometria così ricostruita, ma qui probabilmente vi sono delle divergenze di fondo che attengono all’origine della divisione colometrica alessandrina che Fleming, Kopff e Gentili considerano basata su documenti risalenti ad età anteriore (opinione che anch’io condivido), mentre un’altra tradizione di studi ritiene ‘invenzione’ di Aristofane di Bisanzio. Nessuna meraviglia, dunque, che le analisi metriche siano influenzate dagli studi di Gentili. Il fatto che Finglass sia in disaccordo con il suo metodo non compromette la loro validità, che dovrebbe essere negata con argomenti meno personali.
Comunque non è vero che ‘metrics from outside the Gentili school are largely omitted’. Anche una rapida lettura del volume può mettere in luce il contrario, dal momento che, soprattutto per i passi più discussi, viene fatto continuo riferimento alle sistemazioni metriche moderne delle edizioni di Jebb, Lloyd-Jones e Wilson, Dain, Dawe, Bollack o alle analisi di Schroeder, Pohlsander, Dale e Willink. La bibliografia utilizzata è selettiva e riguarda gli studi che si sono occupati della metrica di Sofocle ed in particolare dell’ Edipo Re; senza contare che talvolta le sistemazioni colometriche moderne, proprio per il pregiudizio nei confronti della colometria antica, differiscono di molto da quelle da me proposte. Se in alcuni casi non si è rimandato ad alcuni importanti studiosi moderni di metrica è stato a favore dei riferimento alle ben più importanti fonti antiche e ai dati offerti dalla tradizione.
Quanto alla mancanza di indicazioni esplicite sui criteri di scelta nei casi in cui i manoscritti divergono nella colometria, in questi casi, come risulta evidente dagli apparati colometrici, mi sono attenuto alla divisione testimoniata da due o più manoscritti, purché metricamente valida sul piano della dottrina antica. Quando poi erano presenti dei papiri, ho dato sempre peso decisivo alla loro testimonianza come si può vedere alle pagine 50-55; 56-58; 61-62; 68-69; 75-76; 111-113. Perciò mi sembra ingiustificato il rilievo che per i vv. 155-157a=163-167 io abbia respinto la colometria di un papiro in favore dei manoscritti più recenti. Non c’è alcun papiro, infatti, che tramanda questi versi dal momento che PSI 1192+ P. Oxy. 2180 riporta i vv. 179-189a; 197-200; 463-466; 475; 480; 483; 503-511 e dunque nessun verso della prima coppia strofica della parodo (vv. 151-157a=159-167).Quello che ho preferito non accettare è una ricostruzione ipotetica degli ultimi cinque cola della prima strofe-antistrofe proposta nel 1996 da A. Pardini ( Boll. Class. 17, 1996, pp. 71-95) sulla base di un’ipotesi circa la lunghezza delle colonne nel papiro e di altre osservazioni che ho già più volte avuto modo di discutere (cfr. Quad. Urb. n.s. 87, 2007, pp. 33-68). Come ho dimostrato in diversi contributi, invece, la colometria papiracea è degna della massima attenzione e deve essere accuratamente valutata e messa in relazione con quella più tarda offerta dai codici medievali. Finglass ha tutto il diritto di non essere in accordo con queste mie idee, ma dovrebbe anche avere la cura di leggere con maggiore attenzione ciò che scrivo.
Infine, per quanto riguarda i miei criteri di scelta testuale al v. 473, ribadisco qui che le parole dello scoliasta οἰκεῖα δὲ ταῦτα τὰ ὀνόματα, ἄντρα καὶ πέτραι dimostrano che egli leggeva nel testo πέτρας e non πετραῖος, e poiché la lezione πέτρας è presente nella maggioranza dei manoscritti, essa è probabilmente lezione d’archetipo, quindi da tenere in maggiore considerazione di πετραῖος che (qualunque ne sia l’origine) appare una correzione metri causa.