Il volume di Angela Bellia, presentato nella elegante sede editoriale della collana “Bibliotheca di Sicilia antiqua,” si inserisce nel quadro del crescente interesse suscitato recentemente dalla plastica di piccolo modulo siceliota, pur non ricollegandosi, nel tema prescelto e nella trattazione, a nessuno dei saggi specialistici apparsi negli ultimi decenni.1 Il proposito di Bellia, giovane esponente di una nuova branca di studio, quella dell’archeologia musicale, è di ricognire tutte le raffigurazioni musicali fittili della Sicilia greca, avviando una sorta di corpus da estendersi ad altre regioni del mondo greco (Introduzione, p. 15). L’attenzione sull’argomento che, in considerazione della formazione interdisciplinare della Bellia, può beneficiare di una nuova prospettiva, quella musicologica, appare pienamente giustificabile. Nel mondo antico il suono e gli strumenti giocano, infatti, un ruolo preponderante nella sfera cultuale e rituale, così come nella vita civile pubblica e privata. Ne deriva l’ampia diffusione di temi a soggetto musicale in vari campi della produzione artigianale e artistica greca. A questa ricchezza iconografica corrispondono una relativa povertà di riferimenti alla musica e al suo impiego nelle fonti antiche, l’assenza di un trattato propriamente detto, e lacerti di partiture musicali che, restituendo un quadro disomogeneo di una realtà, invero complessa e articolata, rispondono solo in piccola parte ai problemi sollevati dalla ricerca.
Gran parte di questo saggio monografico è incentrata sulla raccolta sistematica delle testimonianze archeologiche (I. Diffusione della coroplastica con raffigurazioni musicali in Sicilia. Catalogo, pp. 19-154). I 376 fittili inclusi nel catalogo in singole schede adeguatamente sviluppate, sono raggruppati per contesti di rinvenimento a loro volta enucleati all’interno dei siti disposti in successione alfabetica secondo il toponimo antico, nei casi, almeno, in cui lo si conosce o si ha la certezza, più o meno condivisa, dell’identificazione. Alla fine trovano posto alcune altre poche terrecotte la cui attuale dislocazione, nell’ambito di collezioni private, è frutto dell’originaria dispersione nel mercato antiquario.
Si tratta di un repertorio di materiali, per la maggior parte inediti, di cui colpisce la ricca varietà tematica, iconografica, cronologica e contestuale. Bellia presenta positivi e matrici di statuette a tutto tondo, rilievi e pinakes di suonatrici e suonatori,2 provenienti da celeberrime aree sacre e necropoli connesse alle grandi poleis siceliote (Naxos, Megara Hyblaea, Siracusa, Gela, Agrigento, Selinunte, Lipari) ma anche a centri minori meno noti (Montelepre, Cozzo Sannita. Trabia, Ciminna), restituendo un’immediata e sorprendente immagine della distribuzione capillare della coroplastica fittile di argomento musicale in Sicilia.
Di questo primo, esteso, capitolo si apprezza anche lo sforzo compiuto nel presentare i materiali all’interno di una cornice articolata e al contempo sintetica sulla storia del sito in generale, sulle circostanze della scoperta e sulla natura del contesto di rinvenimento, offrendo al lettore un rapido e agevole strumento di consultazione.
La seconda parte (II. Tipologia, cronologia e contesti di rinvenimento, pp. 157-175), dedicata al commento dei dati, è pregevole per l’interesse critico dei problemi affrontati. Lo stesso non può dirsi per la classificazione tipologica che manca di chiarezza persuasiva. Bellia sceglie, infatti, di organizzare le numerose attestazioni raccolte innanzitutto sulla base degli strumenti raffigurati e in relazione alla cronologia, per quanto in alcuni casi sarebbe stato opportuno affinare o precisare — sulla base dell’analisi stilistica o di dati contestuali — alcune datazioni che aiuterebbero meglio a comprendere la diffusione del fenomeno in rapporto a periodi di particolare rilevanza storica per la Sicilia o contrassegnati da alterne vicende. Per gli esemplari del IV sec. a.C., ad esempio (catt. 93, 202-209, 291-296, 299-322, 329-333), si tratta per lo più di terrecotte provenienti da depositi (Scornavacche, Fontana Calda di Butera) precedentemente considerati timoleontei e oggi parzialmente retrodatati ad età dionigiana che ha anche favorito il corretto inquadramento areale dei centri di produzione e di distribuzione di alcune classi o di tratti iconografici.3
Nella ripartizione successiva dei documenti vengono adottati criteri di suddivisione alternativamente basati sul sesso, sulla posizione (figura stante o seduta, in un solo caso recumbente), sulla classe di materiali di riferimento (statuette, pinakes, rilievi), sulla composizione della scena (triadi), sul soggetto raffigurato (suonatrici o suonatori, kourotrophos, Pan, Ermafrodito, Bes), sulla presenza di animali, di particolari attributi o di accessori nella rappresentazione (suonatrice su gallo; suonatrice seduta su roccia; testina di suonatrice con capo sormontato da coroncine). Generalmente trascurata, ad eccezione dei rilievi con triadi di figure femminili, è l’analisi iconografica: il “tipo cronologico” non rimanda a precise caratteristiche nella composizione, a caratteri morfologici o iconografici quali identità nella ponderazione, nell’abbigliamento, nell’acconciatura e nella forma dello strumento, e poco convincenti appaiono, di conseguenza, le analogie proposte.4 Dal punto di vista tecnico-stilistico i documenti presi in esame si riconducono a standards qualitativi differenti oltre che a gruppi distinti sotto il profilo formale, ma la mancata disponibilità di una discreta documentazione fotografica penalizza fortemente un’analisi del genere e, in alcuni casi, la stessa comprensione del soggetto ritratto.5
Si distacca da questa approssimazione la descrizione di aspetti più propriamente musicali che consente una lettura approfondita degli strumenti, delle parti che li compongono, del modo con cui vengono imbracciati, e, in definitiva, della rappresentazione. Sarebbe stato interessante — ma forse sproporzionato rispetto alle possibilità ermeneutiche consentite dallo stato attuale delle nostre conoscenze — verificare se a questa varietà di rappresentazione corrisponda una differenziazione nell’esecuzione, nel ritmo e nella melodia stessa dei brani, nell’evocazione, in ultima analisi, di varie performances.
Eppure, è soprattutto in questa seconda sezione e, specialmente, nelle note che Bellia affronta con energia, e indugiando su particolari ricchi di significato, i problemi relativi al rapporto che lega la ricorrenza di alcuni strumenti in vari contesti di ritrovamento nella Sicilia greca con i riti locali e i risvolti religiosi e simbolico-cultuali quali si evincono dalle fonti letterarie. Di queste ultime si riporta in Appendice (pp. 177-184) una selezione tanto utile quanto significativa.
La prevalenza di raffigurazioni di suonatrici e suonatori di auloi conferma il ruolo preminente di questo strumento, la sua natura polivalente, e il suo largo impiego in Sicilia in ambito sacro, in particolare nelle aree di culto di Demetra e Kore. In virtù di questa mappa di distribuzione e della felice comparazione che Bellia propone con alcuni significativi brani di autori antichi apprendiamo anche che il suono cupo degli strumenti a fiato doveva occupare larga parte nella celebrazione del triduo tesmoforico. All’interno di tali riti i momenti “orgiastici” ed evocativi della ricerca disperata di Kore da parte di Demetra sembrerebbero, invece, essere stati scanditi dai crepitii dei kymbala e del tympanon. Raffigurazioni fittili di musiche e danze si ritrovano anche in ambiti cultuali deputati ad altre divinità, come negli Artemisia siracusani, per i quali Bellia richiama giustamente le numerose feste o danze in onore di Artemide Chitonea, Messaggera, Agròtera e Lyaia (p. 162), o nel luogo di culto extra-urbano individuato da D. Adamesteanu a Fontana Calda di Butera (Omphake?), dove fanciulle in prossimità del matrimonio svolgevano riti propiziatori al parto, rivolgendosi alle Ninfe (p. 114).6
Si fa una certa difficoltà a comprendere, invece, il significato da attribuire alle statuette con raffigurazioni musicali dei corredi funerari sicelioti. Per molti dei soggetti prescelti si pone l’accento su come, sia in ambito sacro che funerario, essi risultino intimamente connessi al mondo dell’adolescenza, ai riti di passaggio dall’età puberale a quella adulta o alle cerimonie di iniziazione ad essi legate (p. 171, e nota 273). Per altri si propone un legame con la lamentazione funebre, (la threnodia), ed una stretta relazione tra lo strumento musicale e la vita dell’aldilà promessa dalla religione misterica . Ciò conferisce un diverso valore —prettamente funerario, apotropaico, o improntato al pandionisismo, nel caso di soggetti di argomento teatrale (p. 165, nota 155 e p. 177)— alla deposizione di queste terrecotte figurate all’interno del corredo.7 La stessa netta suddivisione degli ambiti archeologici di rinvenimento ricondotti a tre categorie principali (aree sacre, abitato, necropoli), che si riflette anche nelle Tabelle in appendice, non tiene in giusta considerazione la comunanza di temi e di risvolti simbolici tra i vari contesti, nonostante l’avvertenza da parte della stessa Bellia sulla natura dei depositi di terrecotte in abitato, di sovente riconducibili a culti domestici (p. 162).
Dalla paziente e approfondita analisi condotta da Bellia si ricostruisce, tuttavia, una storia della musica nella Sicilia greca ricca di eventi religiosi e civili che rimandano a utilizzi differenti di canti, danze, ed esecuzioni strumentali.8 Nel mondo siceliota, così come in quello greco in generale, la musica costituisce il fulcro di cerimonie religiose, di cortei e processioni sacre, accompagna ritmicamente attività quotidiane come la mietitura e la macina del grano o la lavorazione della lana, divenendo anche parte integrante di riti iniziatici o di passaggio, in virtù del rapporto con la paideia di fanciulli e fanciulle.
La trattazione originale della materia di ricerca da parte di Bellia ha l’indubbio duplice merito di averne attirato l’interesse e di aver fornito una ricca serie di spunti da approfondire, accompagnata da un’ampia bibliografia aggiornata.
Notes
1. Un esperimento simile, se pure limitato ad un piccolo contributo, è stato affrontato di recente anche per la coroplastica ellenistica di Taranto: M. Castaldo, “Musica a Taranto in età ellenistica,” in M. C. Martinelli, La Musa dimenticata. Aspetti dell’esperienza musicale greca in età ellenistica (Atti del Convegno di studio Pisa, Scuola Normale Superiore, 21-23 settembre 2006 (Pisa 2009) 271-283.
2. Tra i suonatori va incluso anche il cat. 376, erroneamente ritenuto essere una figura femminile.
3. N. Bonacasa, L. Braccesi, E. De Miro (eds.), La Sicilia dei due Dionisi, (Atti della settimana di studio. Agrigento, 24-28 febbraio 1999), Roma 2002; E. C. Portale, “Le Terrecotte di Scornovacche e il problema del “classicismo” nella coroplastica siceliota del IV secolo,” in Un ponte tra l’Italia e la Grecia (Atti del Simposio in onore di Antonino di Vita), (Padova 2000) 265-282.
4. Per una sintesi sull’articolato dibattito relativo ai metodi di classificazione tipologica (da Nicholls 1952 a Uhlenbrock 1989 e a Bonghi Jovino 1990, si veda: G. Greco in EAA, secondo suppl. (1971-1994), vol. V, (Roma 1997), 689-690, s.v. Terracotta. Per le posizioni più recenti vd. A. Muller (ed.), Le moulage en terre cuite dans l’Antiquité. Création et production dérivée, Fabrication et diffusion [Actes du XVIIIe Colloque du Centre de Recherches Archéologiques-Lille III (7-8 déc. 1995)] Lille 1997.
5. Ai nn. di cat. 320-322, la figura sembrerebbe interpretabile più come un’Artemide sicula con arco o fiaccola seduta su rialzo roccioso, che non come una suonatrice di timpano; quanto al cat. 8 non è ben chiaro se “modellato sino al torso” si riferisca all’inclusione dell’oggetto tra i busti o rimandi allo stato frammentario della terracotta.
6. Sulla presenza delle Ninfe a Fontana Calda di Butera vd. da ultimo C. Lambrugo, “Ninfe di Sicilia. Luoghi di culto, riti, immagini,” in F. Giacobello, P. Schirripa (eds.), Ninfe nel mito e nella città dalla Grecia a Roma, Milano 2009.
7. Per la proposta di considerare l’uso di deporre terrecotte come atto votivo da interpretare nel singolo contesto e luogo di riferimento, vd. B. Alroth, Greek Gods and Figurines: Aspects of the Antropomorphic Dedications (Boreas, 18), Uppsala 1989; S. E. Alcock, R. Osborne (eds.), Placing the Gods. Sanctuaries and Sacred Space in Ancient Greece, Oxford 1994, p. 69; J. D. Baumbach, The Significance of Votive Offerings in Selected Hera Sanctuaries in the Peloponnese, Ionia and Western Greece, BAR 1249, Oxford 2004, pp. 44-45.
8. Sul tema, oltre alla bibliografia riportata da Bellia, si veda anche: A. Zschätzsch, Verwendung und Bedeutung griechischer Musikinstrument in Mythos und Kult, München 2002.