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Un convegno che puntasse alla conoscenza di quegli ambienti scolastici in cui si sono radicati insegnamenti di filosofia, medicina, diritto, dall’Antichità al Medioevo, con i loro statuti ed i loro confini istituzionali e nell’ottica del rapporto tra maestri ed allievi, come quello organizzato dall’Institut des Traditions Textuelles a Parigi il 7 ed 8 ottobre 2008, “L’enseignement supérieur dans les mondes antiques et médiévaux. Aspects institutionnels, juridiques et pédagogiques”, di cui questo volume raccoglie gli atti, era certamente un desideratum.
Come illustra Henri Hugonnard-Roche, nell'”Avant-propos” (pp. 5-9), è solo attraverso un’ottica policentrica che si può delineare un quadro delle istituzioni giuridiche e socioculturali in cui si è sviluppato l’insegnamento ed è stata elaborata la produzione scientifica. Dalla riflessione sul rapporto fondante dell’istituzione scolastica, quello tra maestro e allievo, nascono una serie di domande che si fanno stimolo di ricerca (p. 9): rispondere a tutte non è nel disegno del volume — e prima ancora, del Convegno —, ma entrare nel dettaglio di ognuna sì.
Il volume è articolato in tre sezioni tematiche, all’interno delle quali gli studi si susseguono per ordine cronologico. La prima (pp. 11-85), “Antiquité et Moyen Âge. Analogies et contrastes”, si apre con “L’enseignement du droit dans le monde romain” (pp. 13-28) di Michèle Ducos che, attraverso un confronto tra la formazione classica e l’insegnamento nel Tardoantico, dimostra come cambiamento del diritto e cambiamento del sapere corrano paralleli. I mutamenti nella situazione politica guidarono ad una progressiva ‘istituzionalizzazione’ dell’insegnamento del diritto che da lezioni pubbliche approdò a opere che ne disquisissero sistematicamente e a scuole — a Roma come a Beirut — che ne costituissero lo strumento di diffusione. Con l’età tardoantica, però, quando è l’imperatore stesso a creare il diritto, anche l’insegnamento esce modificato: ai discenti non sono più richieste interpretazioni brillanti o ragionamenti sottili, ma di acquisire il sapere prestabilito delle scuole e dei professori.
“Famille, pouvoir politique et argent dans l’école Néoplatonicienne d’Athènes” (pp. 29-41) è, invece, il contributo di Luc Brisson: un quadro dell’Atene di IV-V secolo, perfettamente scandito dal punto di vista ‘familiare’, politico ed economico, è necessario per comprendere come la scuola neoplatonica abbia potuto resistere in una situazione ostile e contro il crescente potere dei cristiani. Attraverso un sapiente snodarsi dell’argomentazione tra i passi dalla Vita Isidori di Damascio, è evidente come solo lungo la linea dell’esistenza di una famiglia aristocratica, la cui collocazione era quella della scuola, ed in correlazione con la pratica di culti pagani si potesse articolare la storia stessa della Scuola.
Con la relazione su “Les écoles et les relations entre maîtres et étudiants dans l’Université de Paris ai XIIIe siècle” (pp. 43-68) di Natalie Gorochov ci si sposta sensibilmente in avanti lungo l’asse cronologico: le evoluzioni del sistema parigino di istruzione superiore e la sua progressiva istituzionalizzazione, fin da quando, tra 1207 e 1215, ebbero origine le universitates di maestri, vengono rappresentate attraverso il ben articolato ricorso ad una ricca gamma di fonti costituite da norme giuridiche e da un’abbondante letteratura scolastica — per lo più inedita — fatta di note di studenti, commentari, discussioni, archivi ecclesiastici. Uno scritto come il De conscientia di Robert de Sorbon contribuisce ad arricchire l’attuale conoscenza del mondo universitario parigino e l’importanza di un’esatta scelta del maestro, che percepiva un salario per il suo lavoro (le collectae): la scuola è un luogo di produzione intellettuale.
Un ulteriore salto in avanti nel tempo si ha con “L’enseignement de la Common Law en Angleterre: enseigner le droit National en langue étrangère” (pp. 69-85) di Jean-Philippe Genet: essere, innanzitutto, una land Law è uno degli elementi che contribuisce all’essenzialità della Common Law, scritta in francese. Riattraversate le tappe storiche che hanno guidato alla sua istituzione e alla professionalizzazione da un punto di vista giuridico, vengono tracciati il sistema legislativo della Common Law e la questione linguistica degli inns of Court. Gli esempi del reading legato ad Henry Spelman, la lettura di Thomas Fitzwilliam, o le esercitazioni dei moots lasciano cogliere un carattere tecnico e limitato della Common Law, cui si accompagna la conseguenza naturale del rapporto complementare con l’istituzione universitaria nel fatto che i principali utilizzatori degli inns of Court appartengano al gentry, ed insieme a questa la specializzazione garantita dall’uso del francese nel diritto inglese.
La seconda parte del volume (pp. 87-128) è focalizzata, invece, sugli “Aspects juridiques. Données et incertitudes” e si apre con l’intervento di Mattias Haake, “Das ‘Gesetz des Sophokles’ und die Schliessung der Philosophenschulen in Athen unter Demetrios Poliorketes” (pp. 89-112): dalla citazione di alcuni frammenti dell’ Hippeus di Alexis e dal cenno al legame tra Demetrio Poliorcete ed i nomoteti, la riflessione si articola su una serie di fonti che rendono chiaro il contesto storico in cui venne messa in atto la ‘legge di Socrate’, che prevedeva, al calare del IV a.C., la cacciata dei filosofi da Atene e la chiusura delle scuole filosofiche. Le incongruenze tra i riferimenti alla ‘legge’ che si leggono in Ateneo, Diogene Laerzio e Polluce spingono ulteriormente ad interrogarsi sulla sua finalità, che può essere esplorata solo in relazione alla politica ‘filosofica’ e bollata dal rapporto con Teofrasto che Demetrio esercitò nel suo decennio di potere.
Con Alberto Maffi il quadro si sposta su “Lo statuto giuridico delle scuole filosofiche greche nel III sec. a.C.” (pp. 113-125), scuole che si presentano come strutture didattiche focalizzate su un tipo di rapporto personale quanto gerarchico, in cui l’istituzionalizzazione è pressoché inesistente e l’unico parametro considerevole è nell’informalità del rapporto tra docente e discente. Analizzati tre testamenti di filosofi aristotelici tramandati da Diogene Laerzio — di Teofrasto, di Stratone e di Licone — e messi in parallelo con quello di Epicuro, la conclusione è univoca: nel III a.C., le scuole filosofiche greche sono caratterizzate da una duttilità che è conseguenza della sola esigenza di garantire alla scuola continuità: né i membri della scuola né le loro strutture erano conformate ad un unico modello giuridico.
“Les chaires impériale à Athènes aux IIe et IIIe siècles” (pp. 127-174) è, invece, il titolo del contributo di Stééphane Toulouse. È solo l’incrocio di dati che emergono dall’analisi di testi dall’ Historia Augusta, da stralci della lettera di Plinio il Giovane a Tacito e da quella di Frontone a Aufidio Vittorino e dalla cosiddetta ‘iscrizione di Opramoas’ a dare prova che, nel II d.C., l’intervento imperiale nell’insegnamento pubblico era pressoché irrilevante, ma piuttosto esplicato in un rapporto personale, di cui è segno la lettera di Adriano a Metrodoro del 125 d.C.: il potere centrale interveniva in modo diretto, attraverso forme di evergetismo, o in modo indiretto attraverso una regolamentazione politica con concessioni di immunità ai professori. Parlare di ‘cattedre imperiali’ è frutto dell’erudizione moderna, e affrontare una questione del genere significa innanzitutto sganciarsi dalle ‘categorie’ attuali: le cattedre di retorica istituite da Vespasiano sono di Roma, quelle da Marco Aurelio di Atene. Ci si sposta, poi, sulla questione del numero delle cattedre di retorica, per cui si approda alla conclusione che ad Atene ce ne fosse solo una pubblica ma sotto il controllo dell’imperatore; un passo dell’ Eunuchus lucianeo, unito alla testimonianza di Porfirio su Longino e ad epigrafi, permettono, poi, di spingersi a conclusioni su un’altra questione, quella sulle otto cattedre di filosofia.
Con Richard Goulet, “Réflexions sur la loi scolaire de l’empereur Julien” (pp. 175-200), l’attenzione è spostata sulla “loi fantomatique” (p. 175) in materia scolastica emanata, stando al Codex Theodosianus (13, 3, 5) da Giuliano il 17 giugno 362. Fonti storiche pagane e concordano nel fatto che Giuliano emanò una legge, presentata sotto forma di interdizione all’insegnamento o all’accostamento a testi greci o pagani rivolta ai cristiani, che sarebbero potuti sfuggire a questo divieto rinunciando alla loro religione e sacrificando agli dei pagani: il riferimento sembra essere ai soli maestri di grammatica e retorica. Il parallelismo, però, con lo specifico passo dal Codex ed il riferimento ad una lettera di Giuliano (61 c) fanno emergere la discrepanza: non si tratta della stessa legge di cui parlano le fonti storiche.
Un’impostazione filologica è quella della relazione di Joëlle Beaucamp, “L’enseignement à Athènes au VIe siècle: droit ou science des astres?” (pp. 201-218): di una sezione dalla cronaca universale di Giovanni Malalas, dove ci si focalizza sull’interdizione ad insegnare la filosofia, sono abilmente analizzati i problemi testuali del Baroccianus graecus 182, fino ad arrivare alla conclusione che, per quanto ci sia apparentemente un’allusione all’insegnamento dell’astronomia, Giustiniano si era adoperato affinché ad Atene — e a Beirut — arrivasse, nella primavera del 529, un esemplare del codice che aveva il suo nome, il che è segno dell’esistenza di una scuola di diritto.
Sul tema delle “Écoles religieuses” si sposta la terza parte del volume (pp. 219-261). La questione delle accademie rabbiniche a Babilonia è affrontata da Sacha Stern in “Rabbinic Academies in Late Antiquity: state of current research” (pp. 221-238): è una messa a punto dello stato degli studi al fine di dare spunti a future ricerche: le accademie rabbiniche della Babilonia geonica (cioè alto medievale) esistevano già a partire dall’età talmudica, cioè dalla Tarda Antichità? Attraverso la testimonianza di Nathan ha-Bavli, la lettera del 987 di Rav Sherira Gaon, il lavoro omiletico ed esegetico della Midrash Tanhuma, il Talmud di Babilonia, emerge la possibilità di ipotizzare una continuità culturale tra il Sanhedrin mishnaico e le accademie medievali: le accademie rabbiniche erano certamente state fondate nel periodo amorraico ed esistevano in età geonica, ma non è chiaro se siano nate prima o dopo l’avvento dell’Islam.
Interrogativi sull’insegnamento di Origene e, poi, di Panfilo ed Eusebio a Cesarea sono sollevati da Alain Le Boulluec, “D’Origène à Eusèbe: bibliothèque et enseignement à Césarée de Palestine” (pp. 239-261). Mettendo in parallelo passi tratti dall’opera di Origene, vengono fuori i caratteri nuovi del suo insegnamento, basato sulla filosofia greca come preparazione alla comprensione delle Scritture e, soprattutto, sulla libertà lasciata agli allievi che, prima di tutto, senza essere necessariamente battezzati, aspiravano alla conoscenza di retorica e filosofia: una scuola innovativa che, però, muore con Origene, dal momento che con Panfilo ed Eusebio una scuola gerarchizzata fu esclusivamente devota alle Scritture, in vista della formazione di filologi che ne approntassero commenti.
Agli “Aspects pédagogiques” sono indirizzati i contributi della quarta sezione (pp. 263-331). Sull’insegnamento atipico di Galieno è incentrato lo studio di Véronique Boudon-Millot, “Un étudiant sans école, un maître sans disciples: l’exemple paradoxal de Galien de Pergame” (pp. 265-282): dalla sua prima formazione, che vide crescere la personalità del medico intorno ad Ippocrate e svincolata dai contemporanei, si passa alla sua non convenzionale figura di maestro, che, mosso dall’idea della necessità della scelta di un buon maestro, selezionò un piccolo uditorio che penetrasse gli arcani della scienza medica: solo in questo modo gli sarebbe stato possibile arrivare ai posteri.
Laurent Pernot, in “Aspects méconnus de l’enseignement de la rhétorique dans le monde gréco-romain à l’époque impériale” (pp. 283-306), invece, analizza i progymnasmata, in quanto serie non fissata in manuali canonici: il trattato di Teone presenta cinque esercizi “supplémentaires” (p. 287) rispetto agli altri trattati di retorica (
La sezione — e, con essa, il volume — si chiude con lo studio di Lucio Del Corso, “L’insegnamento superiore nel mondo greco-romano alla luce delle testimonianze iconografiche” (pp. 307-331), che punta a sfruttare il “potenziale euristico” (p. 308) dello studio delle testimonianze iconografiche sull’istruzione superiore, corredato di un buon numero di tavole. Anticipazione di un auspicato corpus, lo studio di Del Corso riunisce una serie di esempi, dalla coppa di Duride a Berlino ad un rilievo dell’Abbazia di Grottaferrata fino al mosaico di Platone con i suoi allievi dalla villa romana di Torre Annunziata, segno della visibilità di docenti e discenti. Anche la statuaria — tra cui si distingue il Marcus Mettius Epaphroditus grammaticus Graecus — mette in rilievo come la celebrazione della paideia fosse di moda; le immagini funerarie, inoltre, con una serie codificata di segni che si fa specchio di pratiche scolastiche altrettanto codificate, contengono spesso riferimenti alle pratiche scolastiche. Ad emergere, però, come ben si nota nel medico-filosofo del rilievo degli Staatliche Museen di Berlino, è il valore paradigmatico delle immagini relative all’insegnamento della filosofia.
La ricchezza e la complessità degli studi del volume lo rendono degno di considerazione: florido di spunti di ricerca e di interrogativi piuttosto che di risposte, richiede al lettore l’abilità di muoversi lungo un ampio asse diacronico e diatopico, in vista di quel denominatore comune che si chiama ‘istruzione’.
H. Hugonnard-Roche, “Avant-propos”, pp. 5-9
M. Ducos, “Antiquité et Moyen Âge. Analogies et contrastes”, si apre con “L’enseignement du droit dans le monde romain”, pp. 13-28
L. Brisson, “Famille, pouvoir politique et argent dans l’école Néoplatonicienne d’Athènes”, pp. 29-41
N. Gorochov, “Les écoles et les relations entre maîtres et étudiants dans l’Université de Paris ai XIIIe siècle”, pp. 43-68
J.P. Genet, “L’enseignement de la Common Law en Angleterre: enseigner le droit National en langue étrangère”, pp. 69-85
M. Haake, “Das ‘Gesetz des Sophokles’ und die Schliessung der Philosophenschulen in Athen unter Demetrios Poliorketes”, pp. 89-112
A. Maffi, “Lo statuto giuridico delle scuole filosofiche greche nel III sec. a.C.”, pp. 113-125,
S. Toulouse, “Les chaires impériale à Athènes aux IIe et IIIe siècles”, pp. 127-174
R. Goulet, “Réflexions sur la loi scolaire de l’empereur Julien”, pp. 175-200
J. Beaucamp, “L’enseignement à Athènes au VIe siècle: droit ou science des astres?”, pp. 201-218
S. Stern in “Rabbinic Academies in Late Antiquity: state of current research”, pp. 221-238
A. Le Boulluec, “D’Origène à Eusèbe: bibliothèque et enseignement à Césarée de Palestine”, pp. 239-261
V. Boudon-Millot, “Un étudiant sans école, un maître sans disciples: l’exemple paradoxal de Galien de Pergame”, pp. 265-282
L. Pernot, “Aspects méconnus de l’enseignement de la rhétorique dans le monde gréco-romain à l’époque impériale”, pp. 283-306
L. Del Corso, “L’insegnamento superiore nel mondo greco-romano alla luce delle testimonianze iconografiche”, pp. 307-331
Index locorum, pp. 335-342
Index nominum, pp. 343-347
Liste des reproductions, p. 348
Contributeurs, p. 349