BMCR 2010.05.15

The Customs Law of Asia. Oxford Studies in Ancient Documents

, , , , , The Customs Law of Asia. Oxford Studies in Ancient Documents. Oxford/New York: Oxford University Press, 2008. xxi, 370. ISBN 9780199551514. $120.00.

Preview

Fin dalla sua prima pubblicazione nel 1989 ad opera di H. Engelmann e D. Knibbe (Epigr.Anat. 14, 1989) la lex portorii Asiae ha destato l’interesse di molti studiosi di diverse discipline. Straordinari erano infatti gli apporti che la lunga iscrizione efesina poteva dare alla conoscenza dei modi di imposizione e riscossione dell’imposta doganale, nonché della storia della provincia e dell’organizzazione amministrativa dell’intera area asiana. E non solo: da subito il documento si propose come fonte importante per gli studiosi di prosopografia e per gli storici del diritto romano. Il Colloquium organizzato ad Oxford nel 1999 (1-2 ottobre) da A.K. Bowman, M.H. Crawford e B.M. Levick, nell’ambito delle iniziative del Centre for the Study of Ancient Documents, ha fornito perciò una preziosa occasione per fare il punto sullo stato della ricerca e proporre differenti interpretazioni del testo. In quella sede venne soprattutto presentata e discussa una nuova edizione commentata dell’epigrafe efesina, che si giovava anche della lettura del calco in lattice messo a disposizione dall’Österreichisches Archäologisches Institut. Il volume in esame non è solo la pubblicazione degli Atti dell’Incontro di Studio oxoniense, ma rappresenta il frutto meditato delle discussioni di quelle giornate, degli scambi di opinione che ne seguirono, di successivi esami autoptici del cd. Monumentum Ephesenum conservato nell’Ephesus Archeological Museum a Selçuk e di ulteriori riunioni. Questo spiega e giustifica il lungo lasso di tempo trascorso tra il Convegno e l’apparizione dell’opera.

Una breve precisazione in via preliminare va fatta sul titolo del documento: aderendo alla proposta di Wörrle nel volume in esame l’iscrizione viene chiamata lex portorii Asiae, soluzione legittima ma non più di lex portus Asiae. L’obiezione posta a tale formula (Preface, p. v nt. 4: ” portus is narrow for the scope of the lex, which includes posts at inland crossings”) mi sembra invero non decisiva, dal momento che l’espressione lex portus si trova in importanti fonti tecniche (ad es. D. 50.16.203 e CIL VIII.1 4508), in cui portus è sinonimo di portorium ed è evidente che il significato di entrambi è dogana, ovunque la stazione fosse collocata. Passando poi al contenuto, la lunga epigrafe (155 linee) conserva il testo di una lex locationis e ci informa con grande ricchezza di particolari sulla gestione dell’imposta doganale nella provincia d’Asia. Ad accrescerne la rilevanza contribuisce la struttura stratificata: dalle linee 1-7 apprendiamo che il 9 luglio del 62 dall’archivio degli epimeletai ton demosion prosodon è stata eseguita una copia del documento, poi tradotto in greco e riprodotto nella nostra iscrizione.1 Un testo composito: fino alla linea 84 è conservato il cd. testo base, redatto secondo gli editori nel 75 a.C. dai consoli Lucio Ottavio e Gaio Aurelio Cotta; nella seconda parte sono riportate le disposizioni aggiunte dai vari consoli a partire dal 72 a.C. fino agli interventi in materia degli stessi tre curatori del 62 d.C. La datazione della prima parte del documento ha animato vivaci discussioni, con posizioni molto discordanti: se, infatti, non ci sono dubbi sulla pubblicazione finale della legge nel 62 d.C., né sulle clausole aggiuntive, precedute dal nome dei consoli che ne erano stati autori, per il testo base la questione è più complessa, perché ai consoli del 75, il cui nome ricorre alle linee 73 e 74-76, non viene attribuita in maniera esplicita la compilazione delle linee precedenti. Contro la datazione al 75 a.C. Claude Nicolet aveva sostenuto che in realtà il testo base risaliva al momento stesso dell’istituzione della provincia (in questo modo si spiegherebbero i riferimenti ad Attalo alla linea 68 e alla linea 69 e ss.).2 L’ipotesi di una datazione molto risalente è stata accolta nella nuova edizione da Rowe (p. 238: “the first half of the text of the Monumentum is essentially the lex Sempronia“), da Rathbone (p. 264: “the original lex portorii Asiae of the 120s BC”) e soprattutto da Mitchell (part. p. 198 ss.), che in pagine molto dense conclude che la composizione delle ll. 11-71 si colloca nei primi anni dopo la creazione della provincia d’Asia, forse tra 129 e 126 o al più tardi nel 123 all’epoca della legge Sempronia. Ma, a conferma della vivacità del dibattito tra i diversi curatori del volume nell’introduzione (p. 9) viene giudicata “extremely satisfying” la soluzione ben diversa che avevo formulato in merito: partendo dalla costatazione che le disposizioni del 75 sono espresse in modo molto differente da tutte le altre clausole aggiuntive e considerando che nel testo non c’è alcun riferimento neppure alla legge Sempronia, la datazione al 75 della prima parte della legge mi era sembrata la più convincente, pur ammettendo che i consoli del 75 avessero in larga misura tenuto conto delle disposizioni più antiche (come poi faranno i curatori del 62 d.C. con quelle del 75 a.C.).3

Dopo una breve descrizione di materiale, misure e tipo di scrittura, viene proposto il testo dell’epigrafe, con a fronte la traduzione inglese e latina (pp. 22-85). Per ogni linea sono evidenziate nell’apparato critico le differenze con la prima edizione e con le proposte di integrazione degli altri studiosi che si sono occupati dell’iscrizione in questi anni. La traduzione è la prima e più difficile forma di interpretazione, strumento utilissimo ma in qualche caso pericoloso. L’autore (Crawford) sente perciò il bisogno di illustrare (pp. 22-23) almeno alcune delle sue scelte, non sempre condivise dagli altri autori del volume.

Segue il Commentario (pp. 89-164) a cura di M. Cottier (ll. 1-26), M.H. Crawford (ll. 26-53), J.-L. Ferrary (ll. 53-81), O. Salomies (ll. 81-108), M. Wörrle (ll. 109-133), B. Levick (ll. 133-155). Si tratta di un esame denso ed approfondito delle singole clausole: per ogni paragrafo (si conserva la divisione di Engelmann e Knibbe) si presenta brevemente il contenuto e poi si analizzano linea per linea gli elementi problematici, per spiegare le soluzioni adottate nell’integrazione delle lacune, con continui riferimenti alla bibliografia sul tema. Il fatto di non aver riproposto per ogni paragrafo il testo greco (come avveniva nella prima edizione) rende certo più snello il volume, ma non più comoda la lettura.

Nella seconda parte del volume sono pubblicati cinque contributi già presentati durante il convegno del 1999 e solo parzialmente aggiornati.

S. Mitchell, Geography, Politics, and Imperialism in the Asian Customs Law (pp. 165-201), affronta uno degli aspetti più interessanti dell’iscrizione efesina: un regolamento doganale deve per forza di cosa fornire indicazioni geografiche e in questo senso la nostra epigrafe è una vera miniera di informazioni, che consentono di ricostruire la storia dell’area. Mitchell dapprima esamina il dibattuto problema dell’ambito di validità della legge, concludendo che si trattava della provincia d’Asia, territorialmente intesa, e che i riferimenti di linea 7 a Cappadocia, Galazia e Bitinia individuano regioni indipendenti dell’Asia Minore e non province romane. Degna di nota (ma non accolta nel testo, vd. p. 28) è, a questo proposito, l’integrazione della lacuna tra le ll. 7-8 suggerita da Mitchell, una sorta di titolo che, per così dire, fotografa una situazione geografica; quasi sicuramente quella dell’epoca in cui il regolamento doganale è stato scritto, piuttosto che del 62 d.C., quando è stato pubblicato. Assolutamente condivisibile l’opinione di Mitchell che la presenza di uffici doganali nei territori di Bisanzio e Calcedonia sul Bosforo (e analogamente in città della Panfilia) si spiega perché in questo momento tali territori appartengono alla provincia d’Asia, tesi da cui invece nel testo si discosta Crawford (pp. 22-23 e integrazione di l. 9 a p. 28). Non mi persuade invece la conclusione che questa sia un’ulteriore prova per datare il testo base agli inizi della provincia.

M. Corbier, The Lex Portorii Asiae and Financial Administration (pp. 202-235), esamina le informazioni che il documento efesino fornisce in relazione all’amministrazione finanziaria romana, sulla gestione dell’ aerarium populi Romani, ma anche e soprattutto sui dettagli pratici dei contratti d’appalto, per cui avevamo pochissime notizie nelle altre fonti. La legge doganale getta luce in particolare su due importanti iniziative imperiali nel campo delle entrate pubbliche: il praescriptum fa riferimento ad un documento stilato dai curatores vectigalium publicorum del 62 sulla base di un precedente testo opera di T. Domitius Decidianus.4 Questi personaggi erano già noti da altre fonti, ma adesso riusciamo a farci un’idea più chiara dell’attività che furono chiamati a svolgere. Decidiano fu il primo quaestor aerarii, cui Claudio affidò per tre anni (per l’a. dal 5 dicembre del 44 al 4 dicembre del 47) la responsabilità dell’erario, togliendola ai praetores aerarii (cfr. Cass. Dio 60.24.1-3): la sua opera (p. 211: “a summary or a synthesis”) secondo Corbier consistette in una compilazione di tutte le leges di tutti i vectigalia riscossi, non solo nella provincia d’Asia. La commissione di tre consolari per la cura dei vectigalia publica, creata nel 62, ha redatto invece gli epinomia dieneke telon Asias poi riprodotti nell’epigrafe.5 Per meglio inquadrare l’iscrizione efesina nella storia della politica finanziaria del tempo, in appendice l’a. inserisce una tavola con le principali misure prese dagli imperatori del I secolo in questo campo.

G.D. Rowe, The Elaboration and Diffusion of the Text of the Monumentum Ephesenum (pp. 236-250), si sofferma sulla storia del testo, esaminando la sua elaborazione (come e da chi è stato scritto) e la sua diffusione (le circostanze dell’incisione sul marmo). Continuo e proficuo è il confronto con diverse altre fonti giuridiche (molte delle quali trasmesse per via epigrafica), richiamate più volte per meglio comprendere la genesi della nostra legge, valutarne la natura, forma e la terminologia. Su un punto in particolare l’a. si discosta dalla opinione corrente: la pubblicazione del Monumentum Ephesenum è stata considerata in genere la diretta conseguenza dell’editto di Nerone del 58, di cui ci parla Tacito;6 secondo Rowe (p. 246) invece i contenuti dell’editto neroniano non trovano corrispondenza nel testo rimanente della lex portorii Asiae.

Una posizione ben diversa esprime invece a tal proposito D. Rathbone, Nero’s Reforms of Vectigalia and the Inscription of the Lex Portorii Asiae (pp. 251-278), che vede una stretta relazione tra la (ri)pubblicazione della legge nel 62 d.C. e le riforme di Nerone delle imposte indirette. Il discorso poi si allarga all’esame della natura e dello scopo di questi interventi, arrivando alla conclusione che essi non rappresentarono la risposta ad una crisi finanziaria, né si collocarono in un più generale e demagogico piano economico, né determinarono una centralizzazione del controllo finanziario. Con una chiave di lettura decisamente nuova l’a. suggerisce che tali riforme erano parte di una più tradizionale politica di “probità fiscale”, soprattutto a vantaggio dell’élite di Roma e dell’Italia. La nuova valutazione nasce da un attento riesame delle fonti letterarie, in primo luogo Svetonio e Tacito, costantemente poste in parallelo con l’iscrizione efesina.

O. van Nijf, The Social World of Tax Farmers and their Personnel (pp. 278-311), si propone di esaminare l’organizzazione tributaria romana da un punto di vista sociale, intende cioè ricostruirne “l’elemento umano”. Anche se per molti provinciali i pubblicani rappresentavano il vero volto del potere romano, sappiamo veramente poco sulla loro esistenza, soprattutto per quanto riguarda gli strati più bassi, della cui attività quotidiana quasi nulla ci dicono le fonti letterarie. Nei rari casi in cui gli autori antichi si sono occupati dei pubblicani, si evince una certa nota di disprezzo oppure di fastidio, chiaro riflesso dei preconcetti della classe superiore. Non manca neppure una valutazione morale, per cui i pubblicani sono spesso associati ai peccatori, e non solo nel Nuovo Testamento. Difficile trovare nelle fonti letterarie un’immagine dei pubblicani che non sia condizionata da pregiudizio o ideologia. Proprio per questo van Nijf si serve soprattutto di testi epigrafici e papiracei per tracciare un “coherent picture of the daily chores of Roman tax collecting” (p. 287), dando spazio, attraverso l’esame di epitaffi e iscrizioni onorarie, anche all’autorappresentazione di questi esattori. Se ne trae la conclusione che, nonostante il pregiudizio delle élites e il rancore (spesso motivato) dei provinciali, i pubblicani sembrano essere stati un gruppo chiaramente identificabile, articolato, sicuro di sé.

Seguono la bibliografia e un ricco corredo di indici (delle parole dell’epigrafe, delle fonti, dei personaggi, dei popoli, dei luoghi, dei principali argomenti citati e discussi).

In conclusione, al di là dell’innegabile valore dei contributi pubblicati nella seconda parte del volume, in cui però solo parzialmente si tiene conto degli studi successivi al 1999 (una scelta che senza sminuirne l’interesse può in qualche caso dare l’idea di un lavoro ‘già vecchio’), basilare è soprattutto la revisione fatta dell’iscrizione efesina, con le nuove letture e le nuove proposte di integrazione, che ne fanno, senza ombra di dubbio, l’edizione di riferimento per chiunque in futuro voglia studiare o solo citare questo documento.

Notes

1. Si discute se la traduzione in greco della legge sia stata fatta a Roma prima dell’invio in provincia o nella provincia stessa: cfr. nel volume Cottier, p. 89; Rowe, p. 245 ss.; Rathbone, p. 274.

2. C. Nicolet, in MEFRA 105, 1993, p. 955 ss.

3. G.D. Merola, in MEFRA 108, 1996, p. 281.

4. Il praescriptum uno dei punti più complessi e dibattuti dell’intera epigrafe, sul quale rimane ancora fondamentale la trattazione di T. Spagnuolo Vigorita, Lex portus Asiae, in I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica, Napoli 1996, 120 ss.

5. I tre curatori nominati da Nerone nel 62 d.C. erano già noti da Tacito, Ann. 15.18.3. Il loro titolo si trae da un’iscrizione onorifica: ILS 9484. Su questa commissione si vd. anche in questo volume Rathbone (p. 267 ss.). I primi editori (p. 38) avevano interpretato epinomia come regolamenti e in questo senso si era espresso anche C. Nicolet, in CRAI, 1990, pp. 686 s. e 698. Nel Commentario (p. 96) Cottier considera, invece, convincente la traduzione proposta da Spagnuolo Vigorita ( Lex portus Asiae, pp. 128-130) come “rendite permanenti dei vectigalia d’Asia”. Anche Rowe (p. 243) si dichiara convinto che epinomia serva a rendere il termine tecnico pascua (Plinio, N.H. 18.11), “public revenues”, mentre sul significato di dieneke lascia aperte due possibilità: “complete or permanent”. Mitchell (p. 167 nt. 2) al contrario presuppone che epinomia vada inteso come “regulations”; e la stessa interpretazione dà, ma per ragioni diverse, anche Rathbone (p. 273 nt. 62).

6. Tacito, Ann. 13.50-51: Nerone, per limitare gli abusi dei pubblicani, stabilì tra l’altro di render noti i regolamenti di ogni imposta che fino a quel momento erano stati tenuti nascosti.