BMCR 2010.04.09

Conrad Celtis: Oden/Epoden/Jahrhundertlied: libri odarum quattuor, cum epodo et saeculari carmine (1513). NeoLatina, 16

, Conrad Celtis: Oden/Epoden/Jahrhundertlied: libri odarum quattuor, cum epodo et saeculari carmine (1513). NeoLatina, 16. Tübingen: Gunter Narr Verlag, 2008. 394. ISBN 9783823364627. €98.00.

Conrad Pickel (o Bickel), in arte Conradus Celtis,1 nacque a Wipfeld, in Baviera, nel 1459 e morì a Vienna nel 1508, dopo una vita di successi letterari e accademici. Allievo di Rudolf Agricola, viaggiò di paese in paese, prima per formarsi e poi in cerca di protezione, conquistando amicizie sincere e instaurando comunioni letterarie con molti uomini colti dell’epoca. In particolare, un lungo viaggio in Italia (1487-89) gli permise di conoscere personaggi del calibro di Ficino, Beroaldo, Guarino, Musuro, Sabellico e Manuzio. Ricoprì diversi incarichi accademici di prestigio, fino a diventare professore ordinario di retorica e poesia per privilegio imperiale; ottenne inoltre da Federico III la corona di poeta laureatus (Norimberga, 1487).

Oltre alla sua attività filologica, che lo portò a riscoprire molti mss. di autori antichi e medievali e a pubblicarne le edizioni, tra le opere poetiche dovremo citare l’ Ars versificandi et carminum, gli Amores in quattro libri, la Norimberga, il Ludus Dianae, e i 5 libri di epigrammi pubblicati solo nel 1881. A parte gli epigrammi, le altre opere furono pubblicate vivente Celtis. Le nostre Odi, con gli Epodi e il Carmen saeculare (già apparso nel 1500), furono invece pubblicate solo nel 1513, postume, a Strasburgo.

Di questo personaggio eccellente non si sa nulla, o quasi, al di fuori della Germania (nella pur ricca ed aggiornata Literaturverzeichnis, pp. 389-394, ci sono solo tre titoli inglesi); moltissimo resta però da scoprire, commentare, (ri)editare e studiare in ogni direzione. Doppiamente meritorio è quindi il lavoro di S. e di altri eminenti studiosi che hanno più di recente ripreso i lavori su Celtis e li hanno resi disponibili e accessibili in riviste e collane diffuse a livello internazionale. Dopo le edizioni delle poesie da parte di Felicitas Pindter ( Odi, Epodi e Carmen saeculare furono editi per Teubner, Leipzig 1937), non prive di mende, e del ricco epistolario da parte di Hans Rupprich (München 1934), gli studi diventano ora sempre più frequenti e variegati. L’impegno è costante e fruttuoso: tra le acquisizioni più recenti, si possono ricordare la Norimberga di Fink (Nürnberg, 2000), la Germania generalis di Müller (Tübingen, 2001), la Panegyris di Gruber (Wiesbaden 2003), lo studio di Robert ( Konrad Celtis und das Projekt der deutschen Dichtung, Tübingen 2003), e gli atti della conferenza Horaz und Celtis (2000).

Certo soccorrono al bisogno della diffusione le enormi possibilità offerte dal materiale in rete. Ottime le pagine su Celtis e sulle sodalitates su Wikipedia (che viene citata come fonte, talora testualmente, da S. in ben tre luoghi!), in cui si trovano anche link interessanti ad altri articoli su Celtis e sulle sue opere (molto illuminante, p. es., è quello di Bautz sul Biographisch-Bibliographisches Kirchenlexikon). Inoltre, diversi testi sono disponibili sul sito della Bibliotheca Augustana; dell’ Ars versificandi si trova la scannerizzazione su Gallica (soprattutto, delle cinquecentine degli Amores e della strasburghese di Odi, Epodi, Carmen saeculare (d’ora in poi citati complessivamente con OEC, quando se ne parli in termini di tradizione ed edizione) si trovano le immagini, nonché la trascrizione, nel sito del progetto Camena, da cui si può anche accedere alla Germania generalis, alla Norimberga, al Ludus Dianae e altri documenti e stampe.

Si badi poi che la lettura, così resa più facile, delle opere di Celtis (come in verità di ogni umanista di qualche rispetto) è utile anche a chi studi la produzione di altri paesi o si occupi di altre aree della storia della cultura europea: nelle poesie di quest’uomo ingegnosissimo ritroviamo Filippo Callimaco, Albert Brudzewski (o Blar) maestro di Copernico, Gutenberg, Reuchlin, Tritemio, Cuspiniano, Charitas e Willibald Pirckheimer, e altre figure che hanno avuto un’importanza fondamentale nello sviluppo della letteratura, della cultura e della storia ora tedesca, ora italiana, ora europea e mondiale.

Nella sua poesia lirica ricorrono temi variegati e solitamente pertinenti a generi tra loro differenziati, e qui invece riuniti nel magma delle Odi : l’esaltazione della philosophia naturalis, in termini specializzati (soprattutto astronomia) e molto meno ingenui di quanto ci si possa aspettare (S. sottolinea spesso, e giustamente, questo aspetto); l’orgoglio nazionale, unito ad un insormontabile complesso verso l’Italia del fulgore rinascimentale. Gli Epodi mostrano una varietà di caratteri e temi, una continuità con la realtà e un’arguzia simili a quelle dell’omonimo Liber epodon oraziano, in imitazione del quale il libro di Celtis contiene 17 carmi. Tra questi si trovano invettive contro pubblici nemici delle lettere e del decoro, fiabette e apologhi, dichiarazioni di poetica, tirate salaci, e le famose esortazioni a Febo perché venga in Germania. Il Carmen saeculare celebra l’arrivo del 1500 e con esso l’eterna bellezza del cosmo, le cui parti (pianeti, costellazioni, stelle fisse) si incastrano nel progetto insondabile del deus absconditus.

Come si diceva, queste tre opere furono raccolte postumamente nell’ed. di Strasburgo del 1513. Questa edizione è alla base del lavoro di S., che però edita il testo criticamente, partendo dai risultati dell’ed. Pindter già citata; l’innovazione più cospicua, poiché colma una lacuna da lungo patente, è il commento perpetuo, di ampia informazione e solido spessore critico e storico: insomma quello che ci si augurava da quasi un secolo.

Va subito aggiunto anche che, oltre a OEC, S. ha molto opportunamente corredato questo corpo principale di altri testi. In particolare: il ciclo poetico del Proseuticum ad divum Fridericum tertium pro laurea Apollinari (1487), costituito da due odi e un epodo incorniciati da due epigrammi programmatici in distici (pp. 20-30); un’appendice ( Anhang, pp. 373-383) di quattro carmi provenienti da opere a stampa o da manoscritti di vario tipo, tutti scritti da Celtis ma mai pubblicati nelle sue raccolte, nenche in quelle postume; infine un epilogo ( Nachspiel, pp. 384-388) che racconta la storia della mancata pubblicazione in vita delle Odi, degli ostacoli che la impedirono, e della pubblicazione postuma di OEC.

Nell’ Ars versificandi Celtis aveva dato prova di grandi abilità e conoscenze metriche (non esenti da forzature o errori veri e propri, ma comunque fuori della norma per quel periodo e quella zona). Il metro delle Odi e degli Epodi (il Carmen è in strofi saffiche) è variegato, pieghevole, musicalissimo e sagace, e sa accogliere diversi generi e diverse ispirazioni nelle combinazioni strofiche o nelle sequenze strofiche che già furono di Orazio. Ciononostante, è a Celtis e non alla tradizione che bisogna imputare alcuni errori, che sporcano qua e là i testi altrimenti perfetti; mediamente, però, Celtis appare uno dei migliori versificatori neo-latini che abbiano praticato così tanti e vari metri. Dall’ed. di Strasburgo S. ha tratto l’utile Metrikindex (pp. 15-16) in cui, libro per libro, vengono classificati i metri usati. Forse un’analisi più sistematica della metrica, e delle licenze — o talora, per meglio dire, errori — che Celtis si concede, avrebbe permesso di capire con quali percentuali di probabilità un’anomalia, nonché un’eventuale correzione del metro nelle redazioni successive dei carmi, possa essere ascritta a Celtis o ai suoi editori (conosciamo il nome dell’amico di Celtis che si occupò della pubblicazione: Thomas Resch). Ma si consideri anche, quando si parla di ‘errori’ di metro, che l’ Ars versificandi contiene diversi errori di prosodia e metrica: non possiamo essere troppo sicuri che un’anomalia di questo tipo dipenda da guasti di tradizione.

S. ha uniformato le molte aberrazioni grafiche dell’epoca (alcune ascrivibili a copisti ed editori, alcune all’uso dello stesso Celtis), smussandole sul latino corrente dei testi classici. Gli sono però sfuggiti i seguenti casi: od. 1.1.23 littore per litore, 1.5.78 astitit per adstitit; è adottata generalmente la distinzione grafica tra u e v, e ci si può chiedere se non fosse il caso di adottarla a od. 1.1.37 tenuia (trisillabico), 1.10.6 Suetiis (è scandito come anapesto; andrebbe forse scritto Svetiis : Celtis usa altrove forme diverse per “svedese”, con diversa prosodia e grafia); 3.4 tit. bisognerebbe scrivere elenctice e non elenchtice, poiché il gr. ha ἐλεγκτικός; 4.2.24 coelo per caelo; nel Carmen saeculare, 67 Alemanis e 75 Alemanas andrebbero scritti, com’è lecito e come il metro richiede, Allemannis e Allemannas.

Semplificando un po’ il discorso sulla trasmissione (su cui S. dà utili informazioni nella Einleitung, pp. 9-12), i due testimoni principali per lo studio del testo e delle eventuali diverse redazioni di OEC sono ‘N’, un ms. di Norimberga con la sottoscrizione di Celtis che lo data al 1500, e che costituisce una bella copia delle opere in questione, che doveva essere la copia definitiva per la tipografia, finché però non cominciò a funzionare da canovaccio per diversi rimaneggiamenti interlineari e marginali; e ‘o’, l’edizione postuma del 1513 di cui si è già parlato. Si noti però che ‘N’ manca, per un guasto materiale, da od. 3.14.6 a od. 4.4.4. Inoltre, per alcuni carmi sussistono altre classi di testimoni, e in particolare altri mss. (perlopiù tra Monaco, Norimberga e Vienna) e edizioni a stampa di altre opere di Celtis o d’altri autori in cui i carmi erano già comparsi. Questi dati sono presentati più specificamente nella forma di una tabella (pp. 17-19) dove si precisa per ogni carme la tradizione manoscritta al di fuori di ‘N’, e quella a stampa al di fuori di ‘o’.

Se la coincidenza di ‘N’ e ‘o’ non è rarissima, sono pure moltissimi i punti in cui i due divergono, ponendo l’editore davanti a una questione sostanziale: posto che ‘N’ è sorvegliato (e in parte esemplato) da Celtis, e che ‘o’ è — per quanto la si voglia vicina a un esemplare d’autore — un’edizione postuma i cui editori dichiarano esplicitamente nella prefazione di averla limata, allora che peso bisogna dare a quelle lezioni di ‘o’ che sembrano superiori a ‘N’? Si tratta di correzioni e miglioramenti di Celtis, o di interventi degli editori postumi? L’atteggiamento di S. sembra molto eclettico e in effetti questo è l’unico atteggiamento possibile, in un caso come questo dove neanche la copia ‘definitiva’ sorvegliata dall’autore è scevra da ripensamenti, e dove la stampa postuma sembra effettivamente l’unico tra i due testimoni ad avere una lezione buona. Quest’ultima, temo, in molti casi proverrà da congettura; tuttavia, davanti a errori di metro e di sintassi, se ‘o’ è buono, credo possa accettarsi senza troppa preoccupazione, poiché errori di questo tipo sembrano inammissibili per Celtis e, se pure si trovano nel sorvegliato ‘N’, possiamo ammettere che l’autore in una revisione (a un qualche stadio tra ‘N’ e ‘o’) li abbia emendati. L’apparato è ugualmente eclettico e talora è più ‘positivo’ e discorsivo, talora più ‘negativo’ ed economico: sempre comunque le informazioni date da S. sono chiare, ben classificate e ragionate.

Per motivi di spazio, sono costretto a rimandare per intero ad un’altra sede le discussioni dei singoli punti in cui credo di divergere da S. nella costituzione del testo.

Il commento segue immediatamente all’apparato (che, per meglio dire, è un unico apparato sintetico, con la prima parte di carattere testuale, e la seconda esegetica e informativa; le parti sono visivamente separate con un simbolo convenzionale). Talora essenziale, talora più approfondito e discorsivo, il commento è sempre puntuale e non manca di offrire informazioni sulle figure evocate nei ritratti lirici di Celtis, o sui luoghi e le popolazioni cui l’erudizione geografica dà sempre ampio terreno, o ancora sulle configurazioni stellari indicate per perifrasi, sugli eventi storici contemporanei a cui Celtis allude, sulle dottrine e le nozioni antiche e rinascimentali che si devono presupporre per la comprensione dei testi: personaggi, tutti questi, e condimento del fitto ricamo delle Odi e degli Epodi. Anche in questo caso, i limiti di spazio m’impongono di ampliare altrove le discussioni esegetiche e storico-letterarie sui singoli carmi.

Ciò che interesserà più al classicista e allo studioso della ricezione è l’indicazione delle riprese dagli autori antichi. Com’è naturale, Orazio spicca su tutti, essendo il modello naturale delle Odi per il genere, il metro e per l’organizzazione della materia in quattro libri; lo stesso vale ovviamente per gli Epodi nonché per il Carmen saeculare. Ma non dovrà sorprendere una commistione linguistica e stilistica che porta spesso il lirismo oraziano in secondo piano, per lasciare talora il posto a un Catullo più vibrante o anche più sboccato, e in questo senso anche a Plauto e Terenzio, talora a Virgilio, e non raramente ai poeti tardoantichi. Altro merito di S. è quello di avere opportunamente intessuto dei richiami tra le note ai vari carmi. Inoltre sono frequenti e mirati i rimandi all’epistolario, di enorme importanza per la ricostruzione delle vicende personali a cui molti carmi fanno riferimento.

Interessanti sono poi le note di S. che segnalano un’interferenza con l’attività del Celtis editore, p. es. di Apuleio (n. a od. 2.2.31-32, p.129), o Seneca tragico (p. 212, n. a 3.3.3-4). Inoltre S. segnala spesso i rapporti con le altre opere, in particolare la Norimberga (prodromo di molti dettagli geografici qui versificati) e gli Amores (per il complesso delle vicende amorose rispecchiate anche nelle Odi), ma anche il Ludus Dianae o l’ Ars versificandi. I molti Realien, spesso inusitati o desueti per il lettore moderno, vengono restituiti alla sua cognizione dall’attenta resa nella traduzione di S., che a volte ne precisa i dettagli nel commento.

TRADUZIONE

La traduzione tedesca a fronte è sempre molto curata ma, pure nell’esattezza del dettato, resta sempre limpida e perfettamente comprensibile anche a chi non abbia il tedesco come prima o seconda lingua. Di séguito solo alcuni appunti e poche precisazioni.

1.5.118 sors movens curas animos prementes : movens curas è tradotto con weckt Sorgen, “desta gli affanni”, ma credo che qui moveo stia per removeo, quindi “toglie, assopisce gli affanni”.

2.19.48 crimina pendunt : va inteso “espiano le loro colpe”, mentre S. traduce “der gemeine Mann seine Fehler bedenkt”.

3.14.17 centipelli omaso : in realtà non è “hunderthäutig”, il centipellio è bensì il secondo stomaco dei ruminanti (la trad. del nesso dovrà essere qualcosa di orrendo e pleonastico come “trippa molle”); lo stesso aggettivo è con viscere a epod. 10.39 (anche lì tradotto con “hunderthäutig”).

8.25s. non ipse, qui memoratur aegrorum pater | sive Machaonius, vel clarus arte Hippocrates : S. traduce Machaonius con “Äskulap”, ma credo invece che bisogni mantenere una serie trimembre con aegrorum pater (= Asclepio) in primo luogo, in secondo luogo Macaone figlio di Asclepio (qui chiamato Machaonius con l’aggettivo denominativo, ma probabilmente il testo è sano), e poi Ippocrate.

EPILOGO

Come si diceva prima, il Nachspiel ci mette a conoscenza della vicenda tormentata delle Odi. Al buon Celtis fu contestato, quando provò a divulgare il testo, che le sue poesie nascondevano (e anche male, potremmo aggiungere per assurdo) una commistione di paganesimo e cristianesimo tali da configurare per Celtis l’accusa di eresia. Questi rispose con una Protestatio che si apprende essere sulla scrivania di S. per una prossima pubblicazione, dopo che la carta autografa fu riscoperta da Dieter Wuttke alcuni anni fa in un fondo ms. di Brema; se non intendo male, il testo sembra molto difficile da interpretare ed editare, e questa è la ragione dell’attesa. S. offre alcuni stralci (in trad. tedesca e con brevi citazioni dal testo latino) per mostrare come Celtis si difendesse soprattutto sulla base della licenza poetica, e sulla pregnanza di questa garanzia in termini retorici ma anche teologici. Fatto sta che non arrivò mai a pubblicare le Odi in vita. La vicenda vede dunque avvicendarsi al banco degli imputati l’editore postumo di Celtis, Thomas Resch, che difese il caso dell’amico ormai scomparso e delle poesie di quello da lui pubblicate, che avevano indotto la facoltà di teologia di Vienna a convocarlo a giudizio. Le fasi e riprese successive del processo sono ben riassunte da S., che fa anche riferimento alla più antica biografia di Celtis (quella di Klüpfel), e riesce in poche pagine a informare il lettore e a stimolarne la curiosità — che speriamo venga soddisfatta presto con l’edizione dell’inedito suddetto.

INDICE

L’indice dei nomi ( Namenverzeichnis, pp. 361-371), correttamente rivendicato alla Pindter, è molto utile (e comprende non solo i nomi propri, ma anche aggettivi etnici e geografici); pare tuttavia che il sistema abbreviativo adottato (p. es. ‘a’ corrisponde al primo libro delle Odi, ‘cs.’ al Carmen saeculare, etc.) possa confondere alla prima lettura; inoltre, se non sbaglio, nell’indice trovano posto solo i nomi estrapolati dai testi, mentre quelli citati nel commento no: p. es. non si trova l’indicazione di Gutenberg, cui pure è dedicata l’ ode 3.9.

REFUSI

I refusi sono pochi e assolutamente veniali. Segnalo quelli che sono riuscito a scoprire in un volume altrimenti pulitissimo: n. a v. 18 p. 129 in realtà è relativo a v. 28; n. 20-28 p. 155: Germanis generalis invece di Germania generalis; apparato di 2.20: la nota di apparato al v. 51 è in realtà da spostare nell’apparato di od. 2.19 (tanto più che 2.20 ha solo 29 vv.); apparato di 2.24.40: entrambe le lezioni sono attribuite a ‘o’, mentre invece conspicuus, messo a testo, è di ‘o’, e operiens con ogni probabilità di ‘N’, che è l’unico altro testimone; apparato di 2.29.2: S. mette a testo gemens di ‘N’ ma in apparato antepone gemis di ‘o’, come se preferisse quest’ultima lezione (la stessa cosa a 2.20.5: inanis di ‘N’ prima di fabana di ‘o’, ma a testo c’è Fabana); 4.4.54 mardus per madrus (lezione di ‘o’, ho verificato); od. 3.19.37 ocultas per occultas; epod. 3.8.4 incolumen per incolumem.

Notes

1. celtis è il nome, tramandato in modo incerto solo da pochi testi tardi e glossari, di un arnese simile a uno scalpello, e traduce “Pickel”, appunto “piccozza, scalpello”; al nuovo nome il dotto bavarese aggiunse un cognomen grecizzante, Protucius, parrebbe dal gr. τύκος, “scalpello”.