Il volume raccoglie sei relazioni e tre brevi comunicazioni che vertono sul tema della medicina antica, affrontando problemi di natura storica, epigrafica e linguistica piuttosto vari, così da rendere particolarmente meritoria l’introduzione di Giovanna De Sensi Sestito, curatrice del volume, che riassume i singoli interventi che, come è proprio sovente degli atti di un convegno, non hanno tutti uguale profondità analitica.
Gabriele Marasco, “La società crotoniate, i Pitagorici e lo sviluppo delle scienze mediche” (pp. 7-28) presenta un importante contributo ove esamina sapientemente le relazioni fra pitagorismo, medicina e atletica a Crotone, attraverso le figure di Democede e di suo padre Callifonte, medico e sacerdote di Asclepio a Cnido secondo la Suda, unica fonte a datare al VI sec.a.C. un culto che trova evidenze materiali tangibili (iscrizioni, statue frammentarie, monete), solo a partire dal IV-III sec.a.C.: 1 si tratta di una situazione non dissimile da quella di Crotone ove, allo stesso modo, sempre la Suda e Giamblico testimoniano un culto di Asclepio che, però, non ha ancora trovato certa identificazione, e quindi datazione, sul terreno.2 Il lavoro di Marasco è tanto più meritorio in quanto serio tentativo volto a a investigare le relazioni storiche intercorrenti tra i due centri, e per evidenziare il precoce sviluppo della medicina proprio in rapporto alla pratica atletica.
Ancora su Democede si concentra l’attenzione di Giuseppe Squillace (“I mali di Dario e Atossa”, pp. 29-62) che, partendo dal racconto di Erodoto III, 125-138, analizza le patologie dei due sovrani e le terapie eseguite dal celebre medico, le confronta con analoghe prescrizioni del Corpus Hippocraticum e, infine, intraprende una accurata Quellenforschung del passo erodoteo. Ad avviso dello studioso, probabilmente lo storico di Alicarnasso poté attingere da fonti magnogreche (in particolare propone convincentemente il nome di Ippi di Reggio), con le quali venne verosimilmente in contatto nel corso del suo soggiorno a Turii, iniziato con la fondazione della città e durato fino al 430, anno della sua morte.
Seguono il filone di accuratissima ricostruzione storica altri due contributi, più legati all’epigrafia e alla ricostruzione prosopografica di alcune figure di medici connessi all’ambiente magnogreco: Alessandro Cristofori presenta “Menecrate di Tralles, un medico greco nella Lucania romana” (pp. 71-104), mentre Antonio Zumbo svolge accurate “Osservazioni su CIL IX, 1655 e AE 1914, 164. L. Statius L. fil. Stel. Scrateius Manilianus, supremo magistrato quinquennale e figlio di un archiater della città di Benevento” (pp. 105-128). Cristofori riconsidera l’epitafio bilingue del medico Menecrate di Tralles, rinvenuto nel 1837 in contrada Massavetere, parte dell’antico ager di Volcei (odierna Buccino). Lo studioso, attraverso la paleografia e l’onomastica, prova a datare l’iscrizione tra gli ultimi anni del II sec. a.C. e i primi decenni del secolo seguente, e identifica Menecrate in un liberto della gens Manneia, di probabile origine urbana, medico e oinodotes, che poté verosimilmente studiare le teorie, se non addirittura essere allievo di prima generazione dell’ oinodotes per eccellenza, il medico Asclepiade di Bitinia, attivo a Roma negli anni Settanta o Sessanta del I sec. a.C. Dopo l’analisi prosopografica anche della compagna di Menecrate ricordata nell’epitafio, Sadria Massima—probabilmente di origine sociale piuttosto modesta a giudicare dal patronimico S(puri) f(ilia) —lo studioso arriva a ipotizzare che le ragioni della permanenza in qualità di medico e della morte di Menecrate in un’oscura località del vallo di Diano potessero essere legate alla sua condizione di schiavo presso uno dei grandi latifondisti di quell’area. Si può certamente concludere con Cristofori che
La fattura del suo monumento sepolcrale testimonia probabilmente un discreto successo economico, oltre che un’aspirazione al riscatto sociale, che lo portò a ricordare orgogliosamente in greco, sua lingua madre, il suo vecchio nome e la sua originaria condizione di libero cittadino di Tralles.
Zumbo compie un’altrettanto accurata analisi prosopografica di L. Statius Socrateius Manilianus che, raggiunta nel 231 d.C. la carica di pretore quinquennale, dimostrò grandissima liberalità nel festeggiare il prestigioso successo. Lo studioso ragionevolmente ipotizza che il cospicuo patrimonio economico del personaggio poté derivargli dal padre, archiatra municipale di Benevento e appartenente all’ordine equestre, sebbene, probabilmente, di origine libertina, come ipotizzabile dal nome del padre Lucio Staio Eutychus; l’archiatra compì una rapida ascesa sociale e tessé sapienti relazioni parentali e curiali che arrivarono a favorire l’ascesa del figlio. L’indagine di Zumbo documenta la presenza di altri medici, di scuole mediche e, per l’età adrianea almeno, di un collegium di medici a Benevento a testimoniare la persistenza in Magna Grecia di una forte tradizione locale dell’esercizio dell’arte medica.
Il glottologo Trumper sceglie invece di esaminare il lessico dell’orzo e del grano nei processi di panificazione e di birrificazione nelle culture mediterranee (“Da allucinogeno e medicinale dell’antichità a bevanda ben conosciuta. La birra e la complessa storia di alcuni Wanderwörter”, pp. 129-156). Egli prende in considerazione alcune voci del lessico migratorio presenti nelle lingue indoeuropee e in alcune lingue contigue e ne segue la diffusione e il valore semantico nei diversi contesti culturali.
Di Kulturwörter si occupa invece Cinzia Citraro (“Osservazioni etimologiche sul lessico della medicina nell’antica Grecia”, pp. 197-211), che analizza alcuni fitonimi, tra quelli meno discussi e conosciuti, riferiti in greco antico a piante utilizzate a fini terapeutici. La giovane studiosa integra abilmente etimologie e prestiti linguistici con gli usi delle piante esaminate in terapie mediche e pratiche alimentari, allargando in questo modo le conoscenze in merito a scambi e contatti commerciali intercorsi tra mondo greco e mondo semitico.
Partendo dalla premessa secondo cui la medicina si colloca
al centro di un sistema di sapere universale dal punto di vista epistemologico formato dalla meteorologia, dall’astronomia, dalle conoscenze idrogeografiche, climatologiche e dallo studio dei venti e delle stagioni.
M. Ielo prende in considerazione il trattato Le arie, le acque, i luoghi, seppure accanto ad altri, in quanto rispecchiante più da vicino questo approccio (“Il medico e la malattia: disturbi polmonari nel Corpus Hippocraticum“, pp. 63-70), e mette in evidenza il passaggio da semeion ad anamnesi, diagnosi e prognosi attraverso i concetti di tendenza e probabilità. Accanto al metodo semeiotico, l’analisi medica antica, per quanto riguarda alcune affezioni che coinvolgono il torace, sede del diaframma, considerato dimora del pensiero, i polmoni e la respirazione, utilizza anche il metodo analogico, la tecnica diairetica di origine platonica e il sillogismo scientifico, come si evince da alcuni esempi di diagnosi e di interventi, chirurgici e non, previsti per la cura della frenite o dell’empiema polmonare.
Stefania Gardi (“Tradizione e innovazione nella medicina di IV sec.a.C.: Diocle di Caristo”, pp. 159-175), partendo dal recente lavoro di van der Eijk,3 opera un confronto tra la medicina dioclea e quella ippocratica, al fine di rilevarne i debiti e le innovazioni, attraverso l’analisi di alcune patologie, quali pleurite, apoplessia ed epilessia, e delle relative terapie.
Mariarosa Cricelli (“La medicina greca di IV e III secolo a.C. attraverso alcune iscrizioni da Epidauro”, pp.177-195) prende in esame le sanationes di IV e di III sec. a.C. dall’Asklepieion di Epidauro, raggruppandole per tipologie di malattie, al fine di provare a comprendere le ragioni alla base della decisione dei malati di rivolgersi ai medici del tempio anziché ai medici professionisti. Ad avviso della Cricelli le cause risiederebbero, da un lato, nella maggiore ‘dolcezza’ delle terapie praticate nei santuari e, dall’altro, nell’accessibilità economica delle cure santuariali.
Questi due ultimi contributi sono di un livello leggermente inferiore ai precedenti (essendo entrambi, come peraltro dichiarato, sviluppo di tesi di laurea che, per loro natura, non possono ancora essere lavori pienamente compiuti). In particolare, la comunicazione della Cricelli presenta alcune ingenuità, dovute principalmente all’incompletezza bibliografica: la giovane studiosa non include alcuni studi,4 tutti piuttosto recenti, che avrebbero permesso una migliore contestualizzazione, e quindi una piena comprensione, delle iscrizioni di guarigione epidaurie, del culto di Asclepio più in generale, e del complesso fenomeno dell’incubazione. Resta tuttavia il merito di aver innovativamente provato a recensire per patologia le sanationes, incrociando i dati epigrafici con i testi del Corpus Hippocraticum.
Per concludere, si tratta di una pubblicazione che raccoglie contributi per la grande maggioranza originali e innovativi, editorialmente assai curata5 e completata da un utile indice. Il volume rappresenta un passo in avanti degli studi di storia della medicina, e di storia antica più in generale: è merito di Giovanna De Sensi Sestito e di Giuseppe Squillace aver raccolto e coordinato approcci diversi a un tema, di per sé, dalle molteplici sfaccettature.
Notes
1. Da ultimo J. Riethmueller, Asklepios. Heiligtümer und Kulte, Heidelberg 2005, vol. II, pp. 348-9, nr.178.
2. Riethmueller 2005, vol. II, cit., p. 424 nr. 560.
3. P. Van der Eijk (ed.), Diocles of Carystus. A Collection of the Fragments with Translation and Commentaries, voll. I-II, Leiden 2000-2001.
4. L.R. Li Donnici, ‘Compositional Background of the Epidaurian iamata‘, AJPh 113, 1992, pp. 25-41; M.E. Gorrini – M. Melfi, ‘L’archèologie des cultes guérisseurs: quelques observations’, Kernos 15, 2002, pp. 247-265; M.E. Gorrini, ‘The Hippocratic Impact on Healing Cults: the Archaeological Evidence in Attica’, in P. van der Eijk (ed.), Proceedings of the 11th International Hippocratic Symposium: Hippocrates in Context (Leiden 2005), pp. 135-156; J. Riethmueller, Asklepios. Heiligtuemer und Kulte, Heidelberg 2005, recensito dalla scrivente in Ostraka 2007, pp. 493-500 e da Gil H. Renberg, in BMCR 2009.12.40; M. Melfi, I santuari di Asclepio in Grecia, I, Studia archaeologica 157, Roma 2007; M. Melfi, Il santuario di Asclepio a Lebena, Monografie della Scuola Archeologica Italiana di Atene XIX, Atene 2007.
5. Da segnalare solo due minori refusi: Maleatis al posto di Maleatas a p. I dell’Introduzione, e Liddel Scott anziché Liddell Scott a p. 182 nota 32.