BMCR 2009.11.17

La Catacomba di Santa Lucia e l’Oratorio dei Quaranta Martiti

, , La Catacomba di Santa Lucia e l'Oratorio dei Quaranta Martiti. Siracusa: Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, 2006. 113. ISBN 88-7260-171-1. (pb).

Realizzata con il contributo della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, dell’Università degli Studi di Cassino e della Provincia Regionale di Siracusa, esce per le stampe una nuova monografia dedicata alla Siracusa paleocristiana e bizantina.Come preannunciato dal titolo, il lavoro si articola in due parti, curate rispettivamente da Mariarita Sgarlata, Ispettrice della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, e dalla giovane studiosa Grazia Salvo.

Nell’Introduzione (pp. 8-11) alla prima parte, dedicata alla catacomba nel suo complesso, sono esposti i motivi che hanno spinto il riavvio degli studi sulla catacomba di Santa Lucia, la più famosa ma allo stesso tempo, meno nota fra quelle siracusane, risalente al terzo secolo d.C. e sita nel quartiere di Achradina. Da stimolo hanno fatto i gravi problemi di natura statica che flagellano tuttora il sito. Le prime ricerche (pp. 11-18) sul monumento sono state segnate dalle difficoltà ormai insormontabili di ricostruire l’assetto originario della Catacomba prima della costruzione della chiesa ottagonale, eretta nel 1630 da Giovanni Vermexio, che ha tagliato, isolandolo, il sepolcro della santa, meta certo di pellegrinaggio antico.

La stessa basilica extra-moenia di Santa Lucia non ha avuto ancora uno studio definitivo che ne determinasse le prime fasi edilizie e confermasse la sua origine ad età bizantina. La sua edificazione inoltre non fu affatto indolore per le strutture della catacomba sottostante che subì crolli e interramenti che la resero inagibile e quindi, ignota ai più, già dal Seicento, come testimoniano d’altronde gli studi antiquari dell’epoca. Vincenzo Mirabella, uno dei primi eruditi locali che la menzioni nel 1613, sebbene conoscesse l’esistenza di tante “Città sotterranee” per sua stessa ammissione, esplorò soltanto la catacomba di San Giovanni della quale si fece spesso guida per studiosi stranieri che allora iniziavano timidamente ad interessarsi alle antichità della Pentapolis.1

Dopo circa un secolo, il conte Cesare Gaetani, autofinanziando i primi scavi nelle catacombe alla ricerca di materiale epigrafico di carattere cristiano, non riuscì a squarciare il velo di mistero che ancora avvolgeva la catacomba nei pressi della basilica di Santa Lucia.2 A Giuseppe Capodieci si deve la prima esplorazione sistematica del monumento, limitate però alle regioni A e C, uniche note all’epoca ed accessibili da due ingressi distinti.3 Francesco Saverio Cavallari, direttore alle antichità di Siracusa, realizzò la pulitura della regione A (1887) ed alcuni interventi mirati a salvaguardare la statica del monumento.4 La mirabile descrizione di Führer nel 1907 chiuse il primo ciclo di studi che formalizzava la divisione in quattro regioni (A-D) della catacomba.5

Le ricerche riprese da Paolo Orsi nel triennio 1916-1919,6 fino agli studi di Giuseppe e Santi Luigi Agnello (pp. 18-24), rappresentarono certo l’inizio di una nuova fase di studi del monumento del quale non solo si continuò ad esplorare nuove zone ancora interrate ma che dovette subire anche l’ultima (in ordine temporale) offesa ad opera dell’Unione Nazionale per la Protezione Antiaerea. Nel 1942 furono, infatti, realizzate larghe gallerie di raccordo per facilitare l’afflusso dei rifugiati ed una grande sala rettangolare nella regione B, rendendo così impossibile la ricostruzione dell’assetto originario del settore che gravitava attorno al sepolcro della santa.

Agli inizi del 1950, la fortuita scoperta del secondo oratorio bizantino,7 ricco di affreschi fino ad allora sconosciuti, fu la scintilla che mise in moto la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. La regione C, dove la falda acquifera rendeva inaccessibili i livelli inferiori, era rimasta inesplorata e recava urgenza per la sua precaria condizione statica.

Le ultime ricerche (pp. 24-30) finalizzate per lo più agli interventi da eseguire sul sopraterra, hanno cambiato rotta nel 2004, quando finanziate dall’Assessorato ai Beni Culturali della Regione Sicilia, sono state fatte indagini che hanno riguardato i differenti aspetti conoscitivi necessari ad una corretta progettazione dei futuri interventi di tutela e consolidamento della catacomba (rilievo topografico ed architettonico, indagini geognostiche, strutturali, monitoraggio strumentale e indagini diagnostiche sui dipinti).

L’antico quartiere di Achradina vide mutare lentamente ma inesorabilmente la sua destinazione originaria, a causa della decadenza che attanagliò Siracusa dopo la conquista romana, alla fine del III secolo a.C. Da zona abitativa e produttiva, pullulante di vita, essa venne destinata su iniziativa privata a funzione funeraria. Furono così scavati colombari, piccoli ipogei e tombe subdiali che rappresentano le preesistenze della successiva catacomba, nata intorno al III secolo d.C., quando fu costruito un cimitero comunitario ed alcuni ipogei di diritto privato. Le quattro regioni (A-D) furono così collegate fra loro da gallerie che univano i vari ipogei e reimpiegavano vani di culto pagani. Tre di questi settori (A, C, D) furono trasformati in luoghi di culto dopo la fase funeraria. La costruzione della basilica della santa, la realizzazione del sottopassaggio fra di essa e la vicina chiesa del sepolcro e l’erezione del portico antistante sono i tre fattori che hanno alterato non poco la primitiva struttura della catacomba (pp. 30-52).

La trasformazione dello spazio funerario tra tardo-antico e alto medioevo (pp. 52-57) fu un processo a cui risultò immune il cimitero di San Giovanni ma non quelli di Vigna Cassia e di Santa Lucia che divennero pian piano loca sancta. Nella catacomba di Santa Lucia sono ad oggi noti tre di essi: l’oratorio c.d. Trogloditico della regione A,8 quello nella regione C,9 ed infine il locale di culto nella regione D, sottostante l’abside della chiesa.10 Se nel primo caso, si avverte un programma decorativo chiaramente bizantino, nel secondo sfuggono i contorni dell’impianto originario a causa del prolungato uso dell’ambiente. Al momento sembra da escludersi l’ipotesi dell’esistenza di itinera ad sanctos, di percorsi cioè finalizzati al raggiungimento delle cripte dei martiri.

Nella breve Introduzione (pp. 62-63), l’autrice ripercorre le fasi della scoperta, avvenuta ad opera di Paolo Orsi, che, durante le cinque campagne di scavo fra il 1916 ed il 1919, fu incuriosito dalla raffigurazione della Vergine in un clipeo, decorante, nella regione A, una cisterna datata al XV secolo. Dopo aver liberato il tetto dallo strato di malta idraulica, venne fuori il ciclo di affreschi che rappresenta il martirio dei Quaranta avvenuto a Sebastia in Armenia, probabilmente agli inizi del IV secolo d.C.11 La struttura architettonica originaria e la probabile funzione (pp. 64-66) del monumento sono stabilite grazie ad alcuni confronti effettuati con analoghe strutture in Cappadocia, in Armenia, in Palestina e nella stessa Sicilia orientale. Si dovrebbe trattare di un martyrium o molto più probabilmente di un battistero, dato anche il tema del programma figurativo.

Il culto dei Quaranta Martiri (pp. 67-73) nacque all’indomani del loro martirio collettivo agli inizi del IV secolo d.C. Vittime della persecuzione cristiana, promulgata da Licinio (313-323 d.C.), i quaranta soldati della XII Legione Fulminata di stanza a Metilene in Asia Minore, furono condannati a morte per assideramento. Portati nella vicina Sebastia, furono lasciati nudi al freddo di una notte invernale.

Solo una parte della decorazione pittorica (pp. 73-90) salvatasi dalla distruzione è visibile ancor oggi. Sulla volta dentro una croce latina coronata da quattro clipei decorati ( Panaghia, Christos Pantokrator e due angeli), vi sono i gruppi dei Quaranta Martiri nudi dentro l’acqua di una piscina gelata. Nella parete di sud-est, si conserva nel registro superiore, una teoria di santi (due anonimi, Damianos e Kosmas, Elena e Markianos).

Come elementi per la datazione degli affreschi (pp. 90-92) sono esaminate le fonti agiografiche in particolare la Vita di San Zosimo, vescovo di Siracusa vissuto nel VII secolo d.C. e quella di San Leone, vescovo di Catania del VIII secolo d.C.12

Il restauro degli affreschi ha consentito di fare alcune osservazioni sulla loro tecnica esecutiva, quella del mezzo fresco (pp. 92-93). Essa comprende delle campiture di fondo eseguite ad affresco e delle finiture ultimate a secco.13

Unico esempio in Sicilia di ciclo pittorico sicuramente databile al periodo bizantino (535-878 d.C.), il battistero di Siracusa presenta una difficoltà intrinseca nel ricerca degli elementi di stile (pp. 93-103). Di certo, si possono enucleare influssi chiaramente bizantini ed alcuni provenienti dall’Oriente ellenizzato.

L’appendice (pp. 114-106) a cura della restauratrice Serena Bavastrelli chiarisce concisamente gli aspetti tecnici delle diverse fasi del restauro. La Bibliografia (pp. 108-113) aggiornata e di respiro internazionale evidenzia ancor di più, l’interesse scientifico mostrato negli anni verso la città di Santa Lucia.Il volumetto si presenta in bella veste tipografica, con un apparato fotografico di buon livello con foto a colori e piantine topografiche del complesso monumentale.

Risulta purtroppo privo di un estratto, anche breve, in una seconda lingua che avrebbe facilitato la diffusione della ricerca su di un tema che interessa non poco le due sponde del mar Ionio.

Inserita in un’attività fruttuosa di studi, questa pubblicazione, prima di una serie speriamo lunga, inaugura degnamente una nuova era di studi e ricerche dedicate alla prima post Antiochiam Ecclesia Christo dicata.

Notes

1. V. Mirabella, Dichiarazione della Pianta delle Antiche Siracusa, e d’alcune scelte Medaglie di esse, e de’ Principi, che quelle possedettero, Napoli 1613.

2. M. Sgarlata, La raccolta epigrafica e l’epistolario archeologico di Cesare Gaetani, conte della Torre, in SEIA, X, 1993, Palermo 1996, pp. 75-76.

3. G. Capodieci, Antichi Monumenti di Siracusa, I, Siracusa 1816, pp. 268-269.

4. F.S. Cavallari, Appendice alla Topografia archeologica di Siracusa, Palermo 1891, pp. 58-61.

5. J. Führer, Forschungen zur Sicilia sotterranea, München 1897 e J. Führer – V. Schultze, Die altchristlichen Grabstätten Siziliens, in JdI, Ergänzungsheft, VII, Berlin 1907, pp. 36-45.

6. P. Orsi, “La catacomba di Santa Lucia. Esplorazioni negli anni 1916-1927”, in NSc, XXVI, (1918), pp. 257-280. Idem, “Scoperte nel sobborgo di Santa Lucia”, in Nsc, XXVIII, (1920), pp. 312-327.

7. S.L. Agnello, “Recenti esplorazioni nelle catacombe di Siracusa”, in RAC, XXXI, (1955), pp. 7-50.

8. Oggetto della seconda parte della monografia, l’oratorio dei Quaranta Martiri, databile al VIII secolo, fu trasformato in cisterna nel XV secolo. Cfr. G. Agnello, Le arti figurative della Sicilia bizantina, Palermo 1962, pp. 162-169.

9. L’oratorio con affreschi palinsesti, rimase aperto al culto almeno fino alla metà del XIII secolo. Cfr. G. Agnello 1962, pp. 170-180.

10. Esso ha restituito un pavimento in sectile-tessellato databile ai secoli VI-VII. Costituirebbe quindi l’attestazione archeologica fino ad oggi mancante della coeva fase della basilica.

11. Cfr. Orsi 1918, pp. 274, 282-283.

12. L’assenza nella prima Vita della figura del vescovo Markianos a Siracusa e la notizia che il vescovo Leone abbia importato da Siracusa i culti dei Quaranta Martiri e di Santa Lucia, sembrano circoscrivere alla prima metà del VIII secolo d.C. la datazione del complesso siracusano.

13. M. Cordaro, s.v.“Affresco”, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, I, Roma 1991, pp. 11-15.