BMCR 2009.09.11

Der König und sein Land

, Der König und sein Land: Untersuchungen zur Herrschaft der hellenistichen Monarchen über das königliche Gebiet Kleinasiens und seine Bevölkerung. Klio. Beiträge zur Alten Geschichte. Beihefte Neue Folge; 14. Berlin: Akademie Verlag, 2008. Pp. 200. ISBN 9783050044743. €59.80.

Christian Mileta ha cominciato ad interessarsi dell’argomento di questo libro già da studente, allievo di Heinz Kreissig a Berlino. Il libro, in sei capitoli (8-133) e tre appendici, sviluppa ed espone in modo più dettagliato ciò che l’autore aveva esposto nel suo contributo “The King and His Land: Some Remarks on the Royal Area (basilikê chôra) of Hellenistic Asia Minor,”1 con la sostanziale aggiunta del capitolo quinto sullo statuto e le condizioni di vita delle popolazioni di terre regie.

Mileta nell’Introduzione, che costituisce il primo capitolo, fa partire il suo lavoro da due considerazioni: 1. dall’VIII al VI secolo, e di nuovo fino al IV secolo a.C. sotto gli Achemenidi, i Greci e la popolazione dell’Asia Minore condivisero il territorio asiatico in una coabitazione impermeabile, senza che ci fosse comunicazione, né istituzionale, né culturale; 2: dopo Alessandro e i Successori tutto cambió e i nuovi dominatori si trovarono nella necessità di legare terre e popoli a strutture non urbane ad uno Staatstyp greco-macedone. Poiché con l’Ellenismo si constata un dinamismo nuovo nella grecizzazione dell’interno, e poiché i territori più lontani dalle coste coincidono in gran parte con la terra regia, questo dinamismo deve essere la conseguenza di una precisa politica regia, quindi l’impulso all’ellenizzazione deve essere stato conferito non solo dalle poleis e dalle colonie militari, ma anche dai possedimenti regi (8-9). D’altra parte la relazione dei sovrani con la basilikê chôra può essere espressa da tre diversi campi semantici: quello della proprietà, quello del possesso o disponibilità delle risorse, quello della sovranità o autorità. Per esempio, secondo Mileta, Alessandro nei discorsi alle truppe parla di patrimonio macedone, non di suoi paesi conquistati, e dunque dimostra come i re in Asia non fossero automaticamernte proprietari delle terre conquistate (13-14). Peraltro la tradizione asiatica voleva che chi avesse avuto la disponibilità della terra l’aveva anche dei suoi abitanti (15); di qui la necessità di analizzare anche la posizione delle genti che risiedevano in quei territori. Pertanto il libro “deve contribuire a rispondere a uno dei problemi fondamentali della storia ellenistica, quello del significato dei possedimenti indigeni e delle loro popolazioni per la costituzione e lo sviluppo dello stato ellenistico” (16). Le fonti sono epigrafiche e letterarie.

Il capitolo 2, la conquista di Alessandro, è suddiviso in tre lunghi paragrafi sulla nuova organizzazione politica dell’Asia Minore sotto i Macedoni (2a, 20-33), sulla dicotomia tra poleis e chora come struttura fondamentale di governo (2b, 33-35), sul governo delle terre regie (2c, 36-40), quest’ultimo basato sul cosiddetto dossier di Priene, molto parzialmente ripreso nell’Appendice 1. Mileta sottolinea come l’Asia Minore non diventasse immediatamente, con Alessandro e nemmeno con Seleuco, uno dei territori più importanti, sebbene si delineasse subito il rapporto di diretto interesse del sovrano. L’autore conferma inoltre la sostanziale continuità, per la chora, con il regime adottato dagli Achemenidi, ma spiace che liquidi con poche righe (40) uno dei problemi centrali, cioè se e quanto di macedone ci sia stato nelle soluzioni adottate da Alessandro, e si limita a dire che, come sovrano, l’Argeade aveva possedimenti anche in Macedonia.

Il capitolo 3 tratta della denominazione, estensione e funzione della terra regia in Asia, similmente articolato in paragrafi sulla denominazione e dimensione dei territori (3a, 42-52), e sulla loro funzione, rispettivamente politica (3b 1, 53-57) ed economica (3b 2, 57-62) . La prima sezione esamina le due teorie sulla basilikê chôra, la prima che la considera coincidente con tutto il territorio non pertinente a poleis, la seconda che invece ne fa una categoria speciale. Mileta ricorda che c’erano appunto tre diversi livelli semantici nella parola chora, ben documentati nelle fonti: il primo, generale, sinonimo di dominio; il secondo come opposto di polis, a indicare aree non urbanizzate, o meglio aree prive di poleis; il terzo come possedimenti regali privi di poleis, ethne o demi. La seconda sezione si concentra invece sulla possibilità della basilikê chôra di accrescere o mantenere il potere del re attraverso i legami con i philoi, cui porzioni di queste terre potevano essere assegnate in dono, e lo sfruttamento delle risorse. Una funzione politica inoltre veniva assolta attraverso la sperimentazione di nuove forme di organizzazione del territorio come le cleruchie e la fondazione di nuove poleis (56-57), anche se pare forse eccessiva, oltre che scarsamente dimostrata, l’affermazione che “quando le nuove città portavano nomi come Apamea, Laodicea e Stratonicea allora non avevano più niente a che fare con l’ideale di indipendenza della polis” (57). Nella sezione sulla funzione economica Mileta si sofferma sullo sfruttamento anzitutto a favore della casa regnante, che di volta in volta poteva attingere alle risorse per il proprio mantenimento, ma ancora di più poteva utilizzare tali risorse per donativi anche ingenti, come accadde nel caso degli Attalidi. Anche in questo caso però risulta eccessiva un’affermazione come quella dell’autore secondo il quale questi ultimi, grazie alla basilikê chôra, avrebbero avuto a disposizione più grano dei Tolemei per i loro donativi: l’assenza sia di un’articolazione cronologica, sia di un calcolo, per di più veramente arduo, documentalmente fondato, rende questa valutazione del tutto gratuita. Basti pensare che il periodo di maggiore presenza attalide nella vita delle poleis, sotto il regno di Eumene II, cui si riferisce l’autore, coincide con il ripiegamento politico e diplomatico dei Lagidi, senza che ciò ovviamente presupponga un’assoluta minore disponibilità di risorse, ma solo, probabilmente, una diversa destinazione.

Il capitolo 4, sovranità dei monarchi ellenistici sui possedimenti, il cuore del volume, è dedicato al governo dei re ellenistici sulle terre regie d’Asia Minore. L’obiettivo è quello di individuare un modello di governo dei possedimenti regi, anche in questo caso però senza cercare eventuali differenze tra le diverse dinastie, né proporre un’articolazione cronologica. Il capitolo comprende dunque una lunga analisi delle caratteristiche fondamentali della sovranità ellenistica—analisi fondata però non soltanto sulle fonti antiche, ma anche su frequenti comparazioni con la regalità medievale e soprattutto post-rinascimentale, e costellata da osservazioni in parte sconcertanti e di cui non è chiaro lo scopo. Vedi, per esempio, i commenti sull’assenza nella storia dei re ellenistici di abdicazioni e successivi ritiri nei possedimenti (64), come se questo fenomeno fosse il risultato di una specifica relazione funzionale con la chora, anziché dipendere da una comune caratteristica delle monarchie antiche e dalla parallela mancanza di un diritto dinastico propriamente definito, in cui il concetto stesso di legittimità veniva definito da parametri molto diversi. L’insistenza su tematiche e problematiche a mio avviso poco stringenti, come quella sul significato di sovranità, torna anche in altri punti dello studio di Mileta e si esprime in frequenti excursus su discussioni storiografiche di sapore quasi museale, per dimostrare, partendo da J. Bodin, l’analogia tra le monarchie ellenistiche e quelle post-rinascimentali (65-66). E qui, un po’ perplessi, ci si domanda per la prima volta (dato che anche nel prosieguo del volume l’autore sembra avere questo interesse) quale utilità possa avere soffermarsi oggi sulle teorie sociologiche di Franz Oppenheimer, esposte a cominciare dal 1922 e ormai ampiamente metabolizzate, contemporaneamente ignorando, quanto meno in apparato critico e in bibliografia, l’opera di Biagio Virgilio sulla regalità ellenistica, in entrambe le sue edizioni.2

Mileta individua la relazione tra il sovrano e i suoi possedimenti nel rapporto di κυριεία, accettando così suggestioni già esposte da Laura Boffo (72), ma non cogliendo l’importanza e l’originalità, rispetto ai modelli precedenti di regalità, che questo concetto poteva trascinare con sè sotto il profilo della responsabilità verso beni e persone, di cui si godeva piena disponibilità—concetto che forse sarebbe stato utile anche per la confutazione, su cui l’autore si sofferma, della teoria weberiana di stato patrimoniale (75-77). La conclusione di Mileta è comunque che la piena sovranità era espressa in modo completo dai re ellenistici solo sulla terra regia (78), ed era esercitata attraverso tre prerogative: l’autorità assoluta sui sudditi, il regolare la vita e amministrare la giustizia, e l’utilizzare le risorse economiche e fiscali. Va comunque ricordato che tutte queste osservazioni derivano da un numero di fonti piuttosto scarso, che consiste, spesso ripetutamente , nelle stesse iscrizioni, la cui lettura o sovralettura, ritorna per tutto il libro. Il quarto capitolo comprende infine un ampio excursus, di dubbia utilità, sulle leggi di Roncaglia e l’articolato che servì di base all’autorità imperiale sveva nei confronti dei territori comunali italiani alla metà del XII secolo. Chiude questa trattazione un paragrafo dedicato alla definizione delle risorse economiche messe a disposizione dei re, risorse che vengono calcolate più dettagliatamente nella appendice III, e che, come si è già detto, si fondano su una base documentale molto parziale e limitata.

Il capitolo 5 è dedicato all’esame dello statuto e condizioni di vita degli abitanti della basilikê chôra (111-126) e si sofferma soprattutto sulla questione, molto dibattuta in passato, dei λαοί. Se la conclusione di Mileta—che questa parola non designasse giuridicamente ed esclusivamente gli abitanti delle terre regie— è del tutto condivisibile, anche per questo capitolo, come in altri passi, i riferimenti bibliografici appaiono usati in modo strano: l’articolo sui λαοί di O. Montevecchi, di cui l’autore condivide le conclusioni, compare in bibliografia, ma non è citato nelle note del testo e da esso non sono ripresi tutti i testi papiracei, che pure l’autore vuole elencare in toto e che sono riportati nell’appendice II del volume.

Qualche discussione susciterà probabilmente il contenuto dell’appendice III, relativa al calcolo delle entrate complessive che la basilikê chôra poteva fornire alle casse dei re. Il calcolo viene ancora una volta formulato sulla base dei dati forniti da I.Sardis 1, il lungo testo relativo alla dorea di Mnesimachos, per il quale rimane fondamentale l’analisi a suo tempo proposta da R. Descat, a tratti apparentemente fraintesa da Mileta che tende sovente a mescolare tassa fondiaria e tassa pro-capite, con ciò ottenendo dai suoi calcoli risultati non convincenti né definitivi.

Il libro avrebbe dovuto rappresentare una messa a punto aggiornata e, forse, un’occasione di nuove interpretazioni di una documentazione non abbondante per quantità, ma ricchissima di problemi. Già nell’introduzione compaiono però i limiti che si riscontrano poi nello svolgimento dello studio: manca una storia della questione, importante per individuare gli aspetti ancora da approfondire nelle fonti; il libro risulta ripetitivo nell’impostazione dell’analisi e lacunoso nella bibliografia utilizzata—per esempio sono sorprendentemente assenti opere come quella di G.G. Aperghis, The Seleukid Economy, nonostante risalga al 2004, o il libro di A. Bencivenni, Progetti di riforme costituzionali nelle epigrafi greche dei secoli IV-II a.C. del 2003, mentre, sebbene l’autore dichiari come termine del suo lavoro il 2005, compare poi citata ,e.g., la seconda edizione del 2006 dell’antologia di testi ellenistici tradotti da M. Austin o addirittura l’edizione di C. Crowther della lex portorii che è del 2008.

Bella come sempre la veste tipografica dei Beihefte di Klio, con pochi refusi: due volte il nome di Z. Archibald (non Archiebald), in bibliografia; a p. 50 Aristodikides (non Aristidikides); a nota 272 la data del libro di Hölbl è 1994, non 2004; a p. 105 “der offizielle..” (non er offizielle); a nota 342 manca il riferimento E., usato nelle appendici per le iscrizioni; a p. 181 il numero del papiro riprodotto è 59203 (non 59503) e a p. 182 parimenti il numero va corretto in 59204.

Notes

1. In D. Ogden, ed., The Hellenistic World. New Perspectives (London 2002, 157-75).

2. B. Virgilio, Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica, (Studi ellenistici XI, Pisa 1999) e (Studi ellenistici XIV, Pisa 2003 2).