Potrebbe sembrare una contraddizione di fondo se non addirittura una provocazione un libro su Alessandro Magno accompagnato dal titolo: “A New History”, in considerazione, se non altro, della messe di studi sul re macedone, che richiedono ormai apposite banche dati. Su Alessandro e la Macedonia, sulla sua impresa, i rapporti con l’entourage, i successori tutto parrebbe essere stato detto in studi monografici e / o in articoli che, specialmente negli ultimi sessant’anni, hanno esplorato in diverso modo tutti gli aspetti della vita e dell’impresa del re macedone. Ne sono consci gli editori Waldemar Heckel e Lawrence A. Tritle che, proprio in considerazione di questo rischio, hanno ritenuto opportuno chiarire il significato del titolo nell’introduzione al volume. La novità, spiega Heckel (p. 1), è data soprattutto dalla combinazione delle problematiche affrontate, che abbracciano le vicende politiche, leggono l’impresa del re macedone dal punto di vista delle fonti orientali, sondano i rapporti interpersonali tra Alessandro, la madre e gli hetairoi, indagano la vita privata del sovrano. Dal canto suo Tritle indica nel “New” la novità dell’approccio a problematiche già sondate, nonché la varietà delle tematiche affrontate nei singoli contributi, che non mancano di indagare aspetti fino a qualche decennio fa ritenuti marginali (pp. 2-6).
Nato sull’onda dell’impatto emotivo avuto dal film di Oliver Stone ma anche dalla necessità di chiarire le tante inesattezze contenute nel Kolossal, il volume raccoglie sedici contributi di studiosi da tutto il mondo completati da una tabella cronologica, da una ricca bibliografia complessiva, dagli indici.
Apre lo studio l’articolo di Michael Zahrnt con una indagine sulla Macedonia prima di Filippo vista da una prospettiva nuova che capovolge l’ottica tradizionale. Poteva dirsi in decadenza lo stato macedone prima di Filippo? Questa la domanda alla quale lo studioso cerca di rispondere, portando una serie di argomentazioni già sviluppate in sue precedenti ricerche. Anche se, come è ormai acclarato, l’impresa di Alessandro non sarebbe stata possibile senza l’azione del padre, tuttavia, spiega Zahrnt, Filippo non partì dal nulla. In altri termini, lo stato che ereditò, pur in difficoltà, non era tuttavia in decadenza. Peraltro, chiarisce lo studioso, sebbene minata da discordie interne, la Macedonia, alla morte di Archelao nel 393, era stata ben retta da Aminta III che, nel 370/369, aveva lasciato in eredità un regno assai solido. Solo errori strategici e politici dei successori determinarono per la Macedonia rovesci e umiliazioni, come la sconfitta patita da Alessandro II nel 369 ad opera dei Tebani. Su questa solidità, rileva Zahrnt, Filippo avrebbe costruito il suo stato, arrivando a progettare una spedizione contro i Persiani già prima del 350, ipotesi questa che lo studioso sostiene con forza (pp. 23-25), ma che comunque non trova unanime consenso nel mondo accademico, come egli stesso evidenzia.
La spedizione antipersiana di Alessandro è indagata da Waldemar Heckel nel primo due suoi lavori presenti nel volume. L’A. ne sottolinea non solo le tappe salienti, ma anche il graduale cambiamento della politica del sovrano macedone fin dal 334, allorché, ottenuta la prima vittoria contro i Persiani, fu costretto ad abbinare ai temi propagandistici della vendetta e della democrazia (impiegati già efficacemente nella distruzione di Tebe), motivi che in qualche modo gli conciliassero anche i vinti: da qui, sottolinea lo studioso, la crescente orientalizzazione, fin dal 334, dei costumi di Alessandro capace di evidenziare (ad esempio attraverso profezie) la legittimità del suo potere in Asia e di accettare (già in Licia nel 334) atti di proskynesis.
Il tema della successione ad Alessandro e delle numerose lotte tra i suoi generali è al centro del contributo di Patrick Wheatley. Lo studioso suddivide in tre fasi le guerre: la prima (321-320 a.C.) segnata dalla morte di Cratero e Perdicca e dal convegno di Triparadiso; la seconda (317-315 a.C.) caratterizzata dalla morte di Eumene e Olimpiade; la terza (312-311 a.C.) scandita dalla battaglia di Gaza e dal ritorno di Seleuco a Babilonia. Ad esse si agganciano gli eventi del 306-305 che, a seguito del pesante successo militare ottenuto da Demetrio Poliorcete sulla flotta di Tolomeo a Salamina di Cipro, portarono Antigono Monophthalmos e lo stesso Demetrio a proclamarsi “basileis” di fatto evidenziando la legittimità del loro potere come successori di Alessandro. Una scelta, fondata sul diritto di lancia, che ebbe un effetto domino: a distanza di poco tempo gli altri diadochi (ma anche il tiranno Agatocle in Sicilia) assunsero il titolo di “basileis” di fatto portando alla formazione delle monarchie ellenistiche.
Ancora Heckel, nel suo secondo lavoro presente nel volume, indaga i rapporti tra Alessandro e le truppe. Partendo da un passo di Curzio Rufo (III 6,18-20), nel quale si ricorda l’estremo rispetto dei soldati verso il loro re, lo studioso prende in considerazione soprattutto gli episodi nei quali il rapporto tra il sovrano e i suoi uomini sembrò incrinarsi. In essi evidenzia non tanto veri e propri atti di insubordinazione finalizzati ad eliminare Alessandro, quanto avvenimenti sporadici determinati da motivi precisi: un atto di negligenza costò la vita a Filota e Parmenione; una lite privata portò alla morte di Clito; la colpa di complicità determinò la condanna di Callistene; un disagio delle truppe causato rispettivamente dalla lunghezza della spedizione e dalle tendenze orientalizzanti del re determinarono le insubordinazioni dell’Ifasi e di Opi.
Gregor Weber si sofferma sui rapporti tra Alessadro e la sua corte nel corso della spedizione in Asia. Una corte, avverte lo studioso, non solo itinerante per via dei continui spostamenti dei contingenti militari, ma anche in evoluzione. Costituita all’inizio da nobili macedoni (come Antipatro e Parmenione), essa si allargò inglobando via via anche personaggi della nobiltà persiana, alla quale Alessandro si legò attraverso i matrimoni con Barsine, Rossane, Statira, Parysatis. Così, dal 335 al 323, la corte assunse sempre più un aspetto eterogeneo comprendendo al suo interno Macedoni e Orientali.
Elisabetta Poddighe affronta il tema relativo al rapporto tra Alessandro e i Greci attraverso lo strumento istituzionale della Lega di Corinto. Lo fa tenendo conto sia delle dinamiche politiche e militari sia dei temi ideologici impiegati a scopo propagandistico da Filippo prima, da Alessandro poi. La studiosa, evidenziando come la Lega di Corinto avesse costituito per i due sovrani uno strumento di controllo sul mondo greco, rileva l’uso continuativo a scopo propagandistico dei temi della vendetta e della libertà che tanto Filippo quanto Alessandro impiegarono in relazione alla spedizione asiatica. Ne riscontra l’uso nella fine di Tebe nel 335, distrutta per il suo passato filopersiano; nella liberazione dalle tirannidi filopersiane delle poleis greche di Asia Minore dopo il successo del Granico; nella lettera a Dario del 332; nel proclama di liberazione dei Greci emesso all’indomani del successo definitivo sui Persiani a Gaugamela nel 331; nella distruzione di Persepoli nel 330; nel decreto sul rientro degli esuli emanato nel 324.
Ancora sul rapporto tra Alessandro e i Greci si sofferma Lawrence A. Tritle, ma in relazione ad artisti, poeti, medici, ingegneri, intellettuali in genere, che accompagnarono il re macedone in Asia. Di essi l’A. non solo fornisce un elenco dettagliato (pp. 126; 130-136), ma ne indica anche le funzioni. Ad esempio, artisti e atleti, evidenzia, parteciparono all’impresa nella doppia veste di soldati e professionisti rendendosi utili al re nelle campagne militari, nell’allestimento di competizioni musicali ed agonistiche, in attività politiche e diplomatiche. Una variegata tipologia di personaggi gravitava così intorno ad Alessandro: dagli immancabili adulatori (come Gorgo di Iaso), agli attori (come Aristocrito e Tessalo), agli atleti (come Diossippo), ai medici (come Critobulo e Dracone).
Pierre Briant, nel primo dei suoi contributi presenti nel volume, sposta l’attenzione sulla documentazione orientale relativa alla spedizione di Alessandro, non tanto per destituire di credibilità la documentazione greco-romana (comunque caratterizzata da una forte connotazione ideologica che a volte distorce i dati), quanto per integrarla, per una più completa visione di insieme. A questo proposito l’indagine dello studioso si sposta sull’organizzazione delle province. L’Economico dello Pseudo Aristotele, ad esempio, integrato e supportato da notizie provenienti da fonti orientali, evidenzia come Alessandro avesse lasciato inalterata l’organizzazione delle province persiane appoggiandosi su strutture organizzative preesistenti. Tutto ciò a conferma, rileva lo studioso, di come l’impero persiano, contrariamente alla communis opinio, non fosse affatto in decadenza all’epoca della spedizione di Alessandro e di come Dario III, lontano dall’essere un re codardo e senza valore, avesse saputo reggerlo con competenza.
Una storia della storiografia moderna e contemporanea relativa ad Alessandro e all’impero persiano può essere definito il secondo contributo di Briant. Nel ripercorrerla lo studioso parte da Rollin (1791) per arrivare a Droysen e Wilcken. Rilevando l’impostazione di questi studi, evidenzia la dicotomia tra quanti considerarono l’impero persiano ormai in decadenza nel IV secolo (Rollin), quanti, invece ne misero in evidenza la solidità (Heeren), quanti, come Droysen, seguito dal Wilcken, videro in Alessandro non solo un conquistatore ma anche un “civilizzatore” capace di “modernizzare” l’impero persiano e di provare ad unificare nel suo progetto tutto il mondo conosciuto. Una tesi, quest’ultima, che, partendo dalla pregiudiziale decadenza dell’impero achemenide, ha finito per imporsi largamente. Solo faticosamente, rileva Briant, oggi è stata definitivamente accantonata a vantaggio di uno studio più equilibrato dell’azione di Alessandro fondato su una documentazione tanto occidentale quanto orientale.
Fu Olimpiade una “madre terribile” e quale peso ebbe su Alessadro e le sue scelte? Questo l’interrogativo che si pone Elizabeth Carney. Sicuramente tra le mogli di Filippo Olimpiade fu quella più potente. Sebbene il matrimonio, come del resto gli altri sei contratti dal re macedone nel corso del suo regno, fosse stato dettato da motivazioni di ordine politico, tuttavia, rileva la Carney, tra Olimpiade e Filippo ci furono sempre buone relazioni almeno fino al 336, anno nel quale il re sposò la nobile macedone Cleopatra. Lo lasciano intendere lo scambio di lettere, i regali che Filippo le faceva comprare ad Atene, ma anche l’elevazione di una statua della principessa epirota all’interno del Philippeion all’indomani della battaglia di Cheronea. Olimpiade, conclude la Carney, appoggiò e favorì Alessandro nell’arco di tutta la sua vita prima sostenendone la divinizzazione, poi, all’indomani della morte, diventandone custode della memoria senza esitare a porsi contro Antipatro e la sua famiglia. Una donna forte e lealmente legata al figlio, “the only woman Alexander could trust”.
Entra nelle dinamiche della vita privata di Alessandro Daniel Ogden che, con questo e altri lavori, smantella i veli della censura che lo studio di Tarn, ormai sessant’anni fa, aveva steso su una parte di essa. Lo studioso ne ricompone criticamente l’intricata matassa di relazioni, caratterizzate, come del resto già per Filippo, da legami di tipo eterosessuale con le donne persiane Barsine, Rossane, Statira, Parysatis, e legami di tipo omosessuale con Efestione ma anche con l’eunuco Bagoa, quest’ultimi non dettati da depravazione e vizio ma liberamente consentiti dal contesto culturale dell’epoca.
Boris Dreyer indaga gli episodi della strateia nei quali è possibile rintracciare la presenza di un culto di Alessandro. Oltre al notissimo episodio di Siwah, oracolo presso il quale il re macedone fu indicato come figlio di Zeus, l’A. si sofferma sugli onori che diverse città di Asia Minore tributarono al re macedone all’indomani della loro liberazione dai Persiani nel 334. La Sibilla di Eritre, ad esempio, già nel 332 riconobbe in Alessandro il figlio di Zeus; gli abitanti di Efeso indicarono in Alessandro un dio nel 334 all’indomani della loro liberazione; Ilio denominò come Alexandris una delle sue tribù. Questi ed altri elementi (ad esempio l’onore di tredicesimo dio concesso a Filippo ad Atene dopo Cheronea, cui si agganciano gli onori da dio concessi ad Alessandro ed Efestione ad Atene nel 324), portano lo studioso a concludere che non già dopo il responso di Siwah e la vittoria di Gaugamela, ma fin dall’avvio della spedizione e soprattutto all’indomani del successo sul Granico Alessandro aspirò ad essere equiparato ad un dio: anche in questo poteva giovarsi dell’esempio paterno.
La persistenza del ricordo di Alessandro presso i suoi successori dopo la sua morte è al centro del contributo di Alexander Meeus. A ragione l’A. rileva come la memoria del sovrano diventi, anche nell’intricata matassa delle guerre tra i Diadochi, un potente strumento di legittimazione del potere. Non a caso ad essere conteso fu soprattutto il corpo del sovrano che, alla fine, trovò la sua sede definitiva in Egitto presso Tolomeo, “master of propaganda”. Il ricordo di Alessandro, rileva Meeus, continuò anche dopo il 306 e la nascita dei regni ellenistici con i nuovi basileis pronti a perpetuare la memoria del re macedone attraverso la moneta.
Diana Spencer analizza l’utilizzo della figura di Alessandro a Roma dal periodo tardo repubblicano al periodo imperiale. L’autrice trova nella tradizione diversi personaggi che, direttamente o attraverso gli intellettuali che li sostenevano, trovarono nel re macedone un modello di riferimento: da Crasso, a Cesare, a Pompeo, ma anche ad Antonio con il quale, per via delle sue marcate tendenze orientalizzanti, della sua equiparazione al dio Sole, del suo legame con Cleopatra, il paragone con Alessandro assunse una connotazione negativa diventando emblema di vizio e lascivia. Il paragone tornò ad avere un valore positivo con Augusto e Germanico, mentre assunse nuovamente colori foschi sotto Caligola, Nerone e Domiziano che, nel richiamarsi ad Alessandro, fecero assumere al re macedone i tratti del despota.
Oltre ad una immagine letteraria costruita dalle fonti, di Alessandro rimane anche l’immagine iconografica. La recupera Catie Mihalopoulos attraverso i tanti ritratti che diversi artisti crearono in epoche differenti ispirandosi al re macedone: da quello di Lisippo, che del giovane sovrano intese evidenziare soprattutto l’arete, l’ethos e il pathos, a quello di Apelle che ritrasse Alessandro con i tratti dello Zeus Keraunos.
Aperto, nell’introduzione, da un preciso riferimento al film “Alexander” di Oliver Stone, il volume si chiude con il contributo di Elizabeth Baynham che, richiamandosi ancora al Kolossal, pone in parallelo le opere pittoriche di Charles Le Brun, realizzate in Francia sotto il regno di Luigi XIV, al film girato di Stone. Se in entrambi i lavori l’autrice nota inaccuratezze e imprecisioni storiche (nella fattispecie nei vestiti, nelle location delle battaglie, nella rappresentazione della vita sessuale del re macedone addirittura censurata nel film di Stone) tuttavia, rileva, nell’opera di Le Brun quste possono in qualche modo essere giustificate dalla necessità dell’artista di fare di Alessandro e della sua impresa uno strumento per magnificare il Re Sole. Nonostante inesattezze e anacronismi perciò le opere di Brun sono ancora ricordate, a differenze del film di Stone accompagnato dall’insuccesso e subito accantonato.
Tanti, dunque, i temi affrontati nel volume, tutti suscettibili di ulteriori discussioni e già oggetto di numerosi studi1: dal problema del culto del sovrano, alle dinamiche della propaganda macedone, all’importanza delle fonti orientali, alla vita privata di Alessandro, al rapporto tra i il re, i Greci, il suo entourage, all’uso strumentale del suo nome da parte dei diadochi, al ruolo di Olimpiade. La contemporanea presenza di tante problematiche, costituisce il pregio più grande del volume, che certamente ridà vigore agli studi e riaccende il dibattito. Un merito, in questo senso, va riconosciuto anche al film di Oliver Stone che, proprio attraverso le sue tante imprecisioni e le sue censure, ha involontariamente stimolato il mondo scientifico e dato nuova linfa agli studi su Alessandro Magno e la Macedonia.
Indice del volume
Introduction (1-6)
M. Zahrt, The Macedonian Background (7-25)
W. Heckel, Alexander’s Conquest of Asia (26-52)
P. Wheatley, The Diadochi or Successor of Alexander (53-68)
W. Heckel, A King and His Army (69-82)
G. Weber, The Court of Alexander the Great as Social System (83-98)
E. Poddighe, Alexander and the Greeks (99-120)
L.A. Trittle, Artists and Soldiers, Friends and Enemies (121-140)
P. Briant, The Empire of Darius III in Perspective (141-170)
P. Briant, Alexander and the Persian Empire, between “Decline” and “Renovation” (171-188)
E.D. Carney, Alexander and his “Terrible Mother” (189-202)
D. Ogden, Alexander’s Sex Life (203-217)
B. Dreyer, Heroes, Cults, and Divinity (218-234)
A. Meuss, Alexander’s Image in the Age of Successors (235-250)
D. Spencer, Roman Alexanders. Epistemology and Identity (251-274)
C. Mikalopoulos, The Construction of a New Ideal. The Official Portraiture of Alexander the Great (275-293)
E.J. Baynham, Power, Passion, and Patrons. Alexander, Charles Le Brun, and Oliver Stone (294-310)
Bibliography (311-348)
Index (349-366)
Notes
1. Per indicazioni si rimanda alle seguenti bibliografie online: http://hum.ucalgary.ca/wheckel/alexande.htm; http://www.csun.edu/~hcfll004/alexbibl.html; http://1stmuse.com/alex3/bibliography.html.