La monografia dedicata da A. Faulkner all’Inno omerico ad Afrodite (da qui in avanti Aphr.) è opera senz’altro benvenuta nel panorama degli studi di epica arcaica e di letteratura greca in generale. Il libro — una versione profondamente rielaborata ed ampliata della tesi D.Phil. dell’Autore— ha il merito di colmare una grave lacuna nella storia degli studi relativi a questo inno omerico, che non era mai stato oggetto di un commento continuo e completo. Faulkner è consapevole della novità e della rilevanza del compito intrapreso e lo dichiara nel “Preface” (p. vii); nello stesso luogo vengono anche espresse valutazioni tanto concise quanto pertinenti sui precedenti commenti di Allen-Halliday-Sikes e Càssola (a tutti gli inni) e di van Eck (al solo Aphr.).1 Scopo dichiarato del volume di Faulkner è fornire una trattazione dell’inno che sia comprensiva di vari aspetti (linguistico, letterario, storico ed archeologico), di modo che ogni lettore si trovi nella condizione di prendere decisioni informate sulle singole questioni. L’Autore non ha deluso le aspettative.
Il corpo principale del libro è composto, come informa il sottotitolo, da Introduzione, Testo e Commento all’inno. Lo stile di scrittura del volume è piano e scorrevole, perfettamente accessibile a lettori specialisti e non, secondo gli auspici della collana che lo ospita (Oxford Classical Monographs). Faulkner sa anche qua e là divertire il lettore con qualche piacevole venatura ironica (cf. nn. a vv. 40, 64-91, 81, 107-42, 185-6).2
L’introduzione, di 56 pagine, è divisa in sette capitoli che differiscono notevolmente in estensione. L’opzione per la brevità operata in quattro dei sette capitoli non è sinonimo di carenze nella trattazione del materiale. Nel cap. I, “Summary of the Poem”, le macro- e microsequenze in cui è diviso il poema sono ben individuate; una notevole attenzione agli accorgimenti formali ed alle tecniche di composizione dell’inno è del resto percepibile nell’arco di tutto il Commento (cf. vv. 7-33, 11, 36 etc.). Per quanto riguarda il cap. V, “Date and Place of Composition”, l’Autore saggiamente non si diffonde troppo a lungo sulle intricate ed irrisolvibili questioni di cronologia assoluta e relativa delle varie opere che costituiscono il corpus della poesia epica arcaica. Le evidenze concrete relative ad Aphr. sono presentate nel dettaglio nei capp. II e IV, mentre nel cap. V è soltanto formulata la più che verisimile conclusione finale (l’inno è stato composto in Asia minore nella seconda metà del VII a.C.). Il cap. VI, “Impact on Later Literature”, parte dall’importante constatazione che la communis opinio sulla scarsa fortuna goduta da Aphr. nella letteratura successiva vada profondamente rivista. Qui Faulkner offre una lista di passi (da Callimaco, Apollonio Rodio, Mosco ed autori più tardi) che sono a suo parere influenzati da Aphr., con qualche commento. Molto materiale prezioso per chi voglia cimentarsi con la storia, ancora tutta da scrivere, del Nachleben di Aphr. è disseminato anche nelle singole note. L’indice dei passi citati può essere una prima, utile guida per misurare la presenza di Aphr. in autori anche tardi (ad es. Eudocia) o bizantini (ad es. Teodoro Prodromo). Il cap. VII, “Manuscripts and Text”, dichiara il proprio debito nei confronti dello studio sulle relazioni tra i manoscritti offerto nell’edizione di Càssola, di cui si accettano le sigle e si riproduce lo stemma codicum. Faulkner dichiara espressamente di non aver intrapreso alcun tentativo di tracciare un nuovo stemma, perché “the data from Aphr. are clearly insufficient to inform a reappraisal” (p. 54). Nella stessa sede si prende posizione sul problema delle lezioni particolari offerte in parecchi casi dai due differenti rami della tradizione; il metodo di Faulkner non differisce da quello seguito dai più validi studiosi dell’inno (cf. p. 55) in assenza di criteri generali che permettano di dichiarare il codice M migliore dell’iparchetipo ricostruito
Nel cap. II, “The Aineidai and Interpretation of the Hymn” (pp. 3-18), Faulkner fa rivivere la teoria, caduta in relativa disgrazia tra gli studiosi più recenti dell’inno, secondo cui Aphr. fu composto per onorare una famiglia di Eneadi che un tempo deteneva il potere nella Troade (cf. p. 4). Chi è scettico sulla possibilità che questi Eneadi abbiano davvero svolto il ruolo di committenti del brano o addirittura sull’esistenza stessa di questa famiglia regnante non verrà convinto né dalla discussione di Faulkner né dalle trattazioni precedenti specificamente dedicate a questo problema, che vengono comunque opportunamente richiamate all’attenzione del lettore. Faulkner stesso sa bene che Aphr. non può essere ridotto a pura espressione di poesia cortigiana e si mostra sensibile anche ai motivi letterari presenti in esso. Accanto a quelli da lui toccati, non avrebbe stonato un accenno al tema dei rapporti interni al cosmo divino ed al tema della distribuzione / delimitazione delle prerogative tra le singole divinità, altro grande nodo concettuale sotteso all’inno ma nominato da Faulkner soltanto in qualità di costituente della narrazione degli altri tre inni maggiori, come se esso fosse estraneo (e non lo è) ad Aphr.3
Il cap. III, “Near Eastern Motifs” (pp. 18-22), elenca i motivi dell’avventura di Afrodite ed Anchise sull’ Ida che hanno un parallelo nella letteratura del Vicino Oriente (la toilette della dea, le bestie feroci di cui ella si circonda, la minaccia finale all’amante, etc.) e conclude sensatamente che la comparsa di questi motivi nel nostro inno non obbliga a supporre alcun debito diretto col Vicino Oriente, ma dimostra quanto la trasmissione di materiale culturale da Est verso Ovest abbia influito sulla formazione della figura di Afrodite nella letteratura greca arcaica.
Il cap. IV, “Overview of Language and Relationship to Early Poetry” (pp. 23-47), affronta due problemi complementari seppur distinti: la natura formulare ed orale della lingua di Aphr. e la possibilità che Aphr. abbia operato e / o subito imitatio (termine di Faulkner, p. 31) nei confronti di altri brani epici. Faulkner passa in rassegna gli episodi omerici che paiono essere stati modelli per Aphr, i luoghi esiodei, i molto discussi contatti tra Aphr. e l’inno omerico a Demetra con la cautela necessaria allo scivoloso argomento, traendone conclusioni corrette (il poeta dell’inno conosce e imita sia Omero che Esiodo) o quantomeno possibili (è l’inno omerico a Demetra ad imitare Aphr., e non viceversa). A Faulkner va il merito di aver osservato con occhio acuto una mole di dati studiata da gran tempo e di aver notato un nuovo contatto tra Aphr. e l’inno omerico a Demetra (
L’Introduzione è seguita dal testo critico, stabilito da Faulkner attraverso collazione e controllo autoptico (così si dichiara a p. 55) dei 22 manoscritti che contengono l’inno. La situazione testuale di Aphr. non è tormentata e dunque il testo proposto da Faulkner non si discosta da quello di Càssola se non in un esiguo numero di casi, talvolta con buone ragioni (v. 52 Faulkner stampa correttamente
L’apparato critico non introduce particolari novità ed è attento a segnalare varianti minime, anche se non sempre utili alla constitutio textus.4 Nei tre casi in cui compare con proprie proposte in apparato (vv. 51, 207, 267), Faulkner ha voluto restaurare la forma o la grafia propriamente omerica di un termine dato dai codici in una facies più “moderna”; questi lievi interventi di correzione sono possibili e legittimi: gli atticismi eliminati da Faulkner sono effettivamente ben spiegabili come errori intervenuti nella fase di trasmissione del testo; non si tratta però di interventi certi: bisogna tener conto del fatto che l’inno presenta anche altrove particolarità linguistiche ignote all’epica maggiore (ad es. v. 135, v. 197). Più che di una nuova edizione critica, Aphr. necessitava di un commento perpetuo, e proprio in questo campo era legittimo attendersi dall’Autore i maggiori risultati. In effetti, le 229 pagine occupate dal Commento costituiscono la parte del volume che dà un contributo decisivo alla comprensione dell’inno. Si deve dare atto a Faulkner di aver svolto (e di avere svolto bene) gran parte del lavoro che il suo predecessore van Eck aveva lasciato incompiuto (cf. p. vii). L’impianto delle singole discussioni è quello classico: riassunto dello stato degli studi, analisi linguistica e / o dei loci paralleli, conclusione personale oppure opzione di preferenza per una delle soluzioni prospettate dagli altri studiosi. Com’è inevitabile, ogni conoscitore dell’inno avrà da lamentare qualche sporadica omissione nella discussione delle tesi altrui, oppure vedrà passati sotto silenzio nessi che egli avrebbe ritenuto meritevoli di trattazione. È sufficiente però passare in rassegna le note apposte alle parole tradizionalmente “difficili” dell’inno e su cui più ricco è stato il dibattito critico (tra le altre ad es. v. 4
Non è questa la sede per entrare nel dettaglio delle singole interpretazioni e discussioni critiche, nell’insieme molto ricche e apprezzabili. Meritano di essere segnalati alcuni passi in cui Faulkner è il primo a trovare la corretta chiave di lettura di un verso:
v. 1 (p. 74). Afrodite è
vv. 93-9 (p. 175). Leto e Artemide appaiono affiancate nel verso come paradigmi di bellezza poiché sono “a natural pair” composta da madre e figlia.
vv. 202-17 (p. 263). È assolutamente vero che “the erotic implication of the abduction [di Ganimede da parte di Zeus] are even stronger in Aphr.” rispetto al possibile modello Il. 20.
vv. 181-2 (p. 245). Faulkner si accorge che sia in Aphr. 181-2 che in Il. 3.396-8 che in Verg. Aen. 1.402 sgg. la rivelazione della vera identità di Afrodite avviene a partire dal particolare della bellezza del collo della dea.
Mi trovo invece in dissenso su alcuni passi specifici:
v. 44 (p. 129). Faulkner afferma che in Od. 1.428 e 19.346 la qualifica di
v. 114 (p. 192). Non è vero che gli studiosi moderni tacciono sul problema posto dall’accezione temporale di
v. 127 (p. 201). È ovvio che Afrodite “finta sposa” di Anchise sarà una moglie giovane, ma
vv. 173-5 (p. 239). L’uso di
A chiusura del volume sono posti due Indici, tematico e locorum e una lista delle “opere citate”. A questa bibliografia, pur già ingente e generalmente aggiornata, avremmo volentieri aggiunto qualche titolo, primi fra tutti i contributi di Rudhardt e di Cantilena (vd. sopra). Infine, ad un Autore così sensibile al tema della fortuna dell’inno segnaliamo volentieri il breve articolo di Flores sulla presenza di Aphr. nel poema di Lucrezio.6
Questo volume è una preziosa acquisizione nel panorama degli studi. L’edizione è ben condotta e d’ora innanzi si potrà far riferimento ad essa per ogni discussione dell’inno; il Commento è non solo un buon “reference work” per chi voglia accostarsi per la prima volta allo studio del poema, ma anche un interlocutore stimolante per chi intenda confrontarsi ancora con questioni già a lungo meditate.
Notes
1. Allen, T.W – Sikes, E.E., The Homeric Hymns, London, 1904; Allen, T.W – Halliday, W.R – Sikes, E.E, The Homeric Hymns, Oxford 1936; Càssola, F., Inni Omerici, Fondazione Valla, Milano 1975; van Eck, J., The Homeric Hymn to Aphrodite. Introduction, commentary and appendices, Utrecht 1978.
2. Per quanto riguarda gli errori di stampa, oltre ad un’inconsistenza nella abbreviazione del nome di Gregorio di Nazianzio (Gr. Naz. a p. 179 n. al v. 97, p. 213 n. al v. 141, p. 275 n. al v. 233 ma Greg. Nanz. a p. 272, n. al v. 224 e Gr. Nanz. a p. 296 n. al v. 286), ho notato a p. 273
3. Si veda in proposito J. Rudhardt, “A propos de l’hymne homérique à Déméter”, MH XXXV (1978) pp. 1-17; Id., “L’hymne homérique à Aphrodite”, MH XLVIII (1991) pp. 8-20.
4. Si allude a casi come v. 30
5. M. Cantilena, Ricerche sulla dizione epica, Roma 1982.
6. E. Flores, “La composizione dell’inno a Venere di Lucrezio e gli inni omerici ad Afrodite”, Vichiana VIII (1979) pp. 237-251.