BMCR 2009.02.20

Römische Erinnerungsräume: Heiligenmemoria und kollektive Identitäten im Rom des 3. bis 5. Jahrhunderts n. Chr., Millennium-Studien, Bd. 11

, Römische Erinnerungsräume: Heiligenmemoria und kollektive Identitäten im Rom des 3. bis 5. Jahrhunderts n. Chr., Millennium-Studien, Bd. 11. Berlin: Walter De Gruyter, 2007. xi, 635. ISBN 9783110191295. €88.00.

Il concetto dei “luoghi della memoria” (“lieux de mèmoire” o “Erinnerungsorte”), secondo una fortunata definizione sviluppata dallo storico Pierre Nora, che ha riscosso notevole successo soprattutto in Francia e in Germania, ha ricevuto particolare attenzione nell’ambito degli studi storici e sociali negli ultimi decenni. Si tratta di quei luoghi reali e simbolici attorno ai quali si organizza e costituisce culturalmente e storicamente il percorso della memoria e dell’identità collettiva. Originariamente intesa in riferimento all’ambito contemporaneo, l’indagine, con i relativi approcci concettuali, si è allargata a comprendere epoche e momenti differenti, contribuendo, tra l’altro, anche ad una migliore comprensione dei processi di formazione e cristallizzazione dell’identità etnica, culturale e religiosa nel mondo antico e tardoantico. In questa direzione si muove la ricerca condotta da Steffen Diefenbach, che affronta la questione della costruzione e della trasformazione dell’identità collettiva attorno alla memoria dei santi a Roma, tra III e V secolo d.C. Si tratta di un tema centrale, attraverso la cui disamina l’autore investiga il più complesso problema del processo di trasformazione delle strutture sociali, politiche e religiose, nonchè della topografia stessa della città di Roma tra tarda antichità e alto medioevo. Il volume è organizzato in sette ampi capitoli, ognuno dei quali prende in esame un tema specifico, ed è suddiviso in sottocapitoli e fornito di una propria sezione conclusiva che al tempo stesso introduce il tema successivo.

Il primo capitolo (pp. 1-37) è in realtà costituito da un’ampia premessa nella quale l’autore chiarisce i principi e i contenuti della sua ricerca. Egli avverte, infatti, la necessità di confrontarsi con alcuni atteggiamenti scettici nei confronti di questo tipo di indagini e di rendere espliciti gli intenti del lavoro e le scelte metodiche adottate. In particolare, individuate tre principali direzioni metodologiche in relazione alle tematiche della memoria e dell’identità collettiva presa in esame, rappresentate dai differenti approcci prospettati da Jan e Aleida Assmann (“kulturellen Gedächtnisses”), da Peter Burke (“social memory”) e da Pierre Nora (“lieux de mèmoire”), Diefenbach opta per il primo di questi, proponendosi inoltre di seguire parallelamente anche l’esempio delle recenti ricerche sulla tradizione commemorativa altomedioevale condotte da Otto Gerhard Oexle e Michael Borgolte. Lo scopo enunciato dall’autore è quello di muoversi nell’interfaccia tra queste due direzioni di ricerca, tra loro finora indipendenti nonostante la forte affinità, tentando di unire e sviluppare ulteriormente la “Erinnerungsforschung” e la tematica del culto dei santi a Roma. Il lavoro si presenta, dunque, sotto una luce innovativa, prospettando al lettore un percorso assai complesso. In effetti, la scelta tematica e cronologica operata dall’autore coinvolge inevitabilmente altre importanti problematiche, come la continuità o discontinuità tra tarda antichità e alto medioevo, o la trasformazione delle città in età tardoantica, la cui centralità è in questo caso rafforzata, in quanto ad essere oggetto dell’indagine è la città di Roma, sede prima del potere politico e poi di quello religioso. Si tratta di questioni che l’autore vuole proporre in forme originali, non limitandosi agli aspetti tradizionali (trasformazione urbanistica, funzioni politico-amministrative, ruolo economico delle città), ma chiedendosi come sia cambiata la cultura della memoria che aveva contribuito a dare forma alla vita cittadina e al quadro esteriore della città antica, e come questo cambiamento abbia contribuito a creare uno spazio della memoria del tutto originale.

Il secondo capitolo (pp. 38-80) è dedicato all’esempio più antico di forma cultuale dei santi a Roma, la memoria apostolorum sottostante l’odierna basilica di San Sebastiano, lungo la via Appia. In particolare, l’attenzione dell’autore è posta sulla cosiddetta “triclia”, un ambiente porticato coperto, realizzato su una precedente area cimiteriale, sulla cui parete di fondo sono stati rinvenuti circa 330 graffiti menzionanti i nomi degli apostoli Pietro e Paolo. Qui e nel cortile circostante si svolgevano i banchetti rituali ( refrigeria) in onore dei due apostoli, i cui resti, secondo la tradizione, sarebbero stati traslati in questo luogo il 29 giugno del 258, per rimanervi custoditi nel corso della persecuzione voluta da Valeriano. Distribuiti nell’arco di tempo che va da questo episodio agli anni della Tetrarchia, i graffiti consentono di individuare nel refrigerium una occasione di comunicazione e interazione tra la comunità dei cristiani e i martiri, nella quale assumono straordinario valore e significato i concetti di caritas e di pax. Tale realtà trova precisi riscontri nei resoconti dei martirii delle persecuzioni di quegli anni, come la Passione di Perpetua e Felicita o gli Atti di Montano e Lucio, nei quali il refrigerium lega i martiri ancora viventi ai membri della comunità cristiana. Questa comunione tra commilitoni cristiani e martiri non ancora tali, comprensibile negli anni della persecuzione, funge da elemento catalizzatore e rafforzatore del senso di identità della comunità. Ma, nota Diefenbach, il rapporto è destinato a mutare allorchè il martire è divenuto tale. Compaiono allora, tra i graffiti databili all’epoca di Gallieno, indicazioni di vota rivolti ai santi intercessori, espressione della trasformazione del rapporto di reciprocità tra essi e la comunità. Il ricordo dei martiri perde parte del suo significato sociale e si assiste al passaggio da una funzione comunicativa della memoria ad una culturale.

Il terzo capitolo, il più ampio del volume (pp. 81-214), è dedicato ad un momento fondamentale nel processo di sviluppo del culto dei santi nella città di Roma, ovvero l’età costantiniana, nella quale i rapporti tra centro e periferia, tra gli ambiti comunicativi di pertinenza tradizionale del senato e la nuova topografia sacra cristiana, tra l’attività edilizia pubblica e quella privata, giungono a nuove definizioni. Rispetto alla politica di monumentalizzazione dei luoghi centrali di Roma (Foro, Velia, Via sacra, Foro della Pace) adottata da Massenzio, ispirata al modello tetrarchico, l’attività dell’imperatore si limita al completamento di quanto avviato dal predecessore, sostituendo al suo il proprio nome. Significativamente, cancellando la memoria del predecessore, Costantino mostra di volere conservare la funzione centrale che questi luoghi hanno nel rapporto tra imperatore, èlite e popolo. Diverso è il caso delle basiliche cristiane realizzate in epoca costantiniana, a partire dalla basilica apostolorum sorta sul luogo della memoria apostolorum, lungo la via Appia, che vedono un coinvolgimento diretto dell’imperatore nelle regioni periferiche della città. La dicotomia tra centro e periferia, tra politica tradizionalista legata al mantenimento dei rapporti con il senato e l’èlite cittadina, e politica costruttiva legata alla comunità cristiana è però solo apparente e dipende dalla necessità avvertita da Costantino di comunicare con entrambe le realtà e dalle scelte strategiche messe in atto in tal senso. Secondo Diefenbach, infatti, l’assenza di costruzioni cristiane dal centro della città non dipende dalla necessità di delimitare gli ambiti eventuali di intervento, ma da opzioni di comunicazione, in quanto la comunità cristiana non svolge alcun ruolo nella simbolica raffigurzione della liberazione di Roma dalla tirannia di Massenzio che viene inscenata negli spazi centrali della città da Costantino e nella celebrazione dell’ adventus che sostituisce il trionfo. La funzione cimiteriale delle basiliche costantiniane, che ne spiega la posizione extramuranea, che sono al tempo stesso luogo di celebrazione del culto dei defunti e dei martiri, va inquadrata, secondo Diefenbach, anche nell’ottica del culto imperiale, come dimostrano le strette associazioni rilevabili tra l’edilizia privata (i mausolei dei familiari di Costantino) e le basiliche stesse. Si chiarisce così un importante aspetto della politica edilizia e di rappresentazione del potere, che unisce il palazzo e la basilica, il culto cristiano dei morti e quello dell’imperatore defunto. Le strategie comunicative di trasmissione del messaggio imperiale e i mezzi impiegati per realizzarle, nel caso individuati nelle attività costruttive, evidenziano da un nuovo punto di vista la capacità di Costantino di cogliere la centralità del momento aggregativo cristiano attorno al culto dei defunti e alle memorie dei martiri, per agganciare ad esso il culto dell’imperatore e della sua famiglia, integrando e completando così il messaggio rivolto all’èlite tradizionalista. L’azione dell’imperatore, operando in vista del mantenimento di un rapporto comunicativo e di integrazione tra lo spazio interno e quello periferico, impedisce che si costituisca una dicotomia tra i differenti elementi e contribuisce allo sviluppo dell’identità della città di Roma.

Le principali realtà di riferimento del messaggio imperiale in epoca costantiniana e post-costantiniana, ovvero comunità cristiana ed èlite romana, sono oggetto dei due capitoli che seguono (rispettivamente pp. 215-329 e 330-403), nei quali Diefenbach analizza le dinamiche e le modalità del rafforzamento dell’identità cristiana attorno alle memorie dei santi, nel corso delle complesse vicende e dei contrasti che attanagliarono la comunità cristiana tra IV e V secolo, dagli scismi dei Novaziani e dei Donatisti, alle divisioni che ebbero come protagonisti i vescovi di Roma, come Ursino e Damaso. Soprattutto quest’ultimo è una figura chiave per capire l’evoluzione del fenomeno di rafforzamento dell’identità collettiva cristiana attorno al culto dei martiri a Roma in età post-costantiniana. A dispetto delle separazioni interne alla comunità cristiana, Damaso promuove un discorso di primarietà e universalità della Chiesa di Roma che verrà sancito dal Concilio del 382, e che è veicolato attraverso i suoi noti epigrammi, collocati presso le tombe dei martiri romani, significativamente scelti come elementi identificativi della comunità cristiana nella sua totalità. Egli inaugura un nuovo ruolo del vescovo romano, la cui figura appare quale erede di Pietro e a capo della comunità unitaria dei cives Romani. In quest’ottica, la topografia delle memorie martiriali, apparentemente frammentata e con collocazione suburbana, diviene la base ideale per un discorso storico che, identificando i santi con i cittadini e gli apostoli con i nuovi Dioscuri, supera le divisioni interne alla comunità e fa dell’intera plebs romana il gregge del vescovo-pastore. Paradossalmente, proiettando la tradizione politica della città nel processo di sviluppo identitario cristiano, Damaso apre la strada opposta della cristianizzazione di Roma. A partire dall’epoca costantiniana cominciano ad essere fondati alcuni tituli, ma è soprattutto tra l’età di Damaso (366-384) e quella di Celestino (422-432) che si diffonde il modello della chiesa titolare, in molti casi di origine privata e non patrocinata da vescovi romani. In questa fase si assiste alla fondazione di chiese titolari all’interno di domus appartenenti agli strati più elevati della città, che perdono così il proprio carattere di luogo privato per divenire spazio comunicativo dell’èlite e proprietà aperta alla comunità. Muta dunque il rapporto pubblico-privato, così come si trasforma il rapporto centro-periferia attraverso il fenomeno della traslazione delle reliquie dei martiri e dei relativi culti, che sono portati dai luoghi suburbani di origine ai nuovi luoghi di venerazione con collocazione urbana centrale. Tra IV e V secolo le memorie dei santi cominciano infatti ad essere realizzate anche nelle chiese urbane. Nel V secolo, una metà circa delle chiese titolari dispone di reliquie dei santi; si tratta di santi di origine esterna, che trovano accoglienza nelle chiese cittadine in qualità di patroni. A differenza di quanto accade a Costantinopoli, non si organizza a Roma un elemento clientelare (monastico) interno alla città. Mancano anche tracce di oratori pubblici e vi è un solo esempio di oratorio privato, ma lo spazio sacro privato non è un riferimento per gruppi di amici e clienti, per cui la forma del patronato può essere intesa solo limitatamente da un punto di vista sociale.

Il VI capitolo è dedicato da Diefenbach allo sviluppo della topografia sacra nella Roma di V secolo (pp. 404-487) e al processo di formazione di nuclei spaziali di attrazione religiosa e cultuale, attraverso l’analisi degli sviluppi scismatici e delle loro conseguenze sui piani della concentrazione cultuale e dell’organizzazione cerimoniale liturgica. Tra la fine del IV e per tutto il V secolo, nel corso dei continui conflitti e scismi in atto all’interno della chiesa romana, i vescovi antagonisti privilegiano luoghi particolari dal rilevante potenziale memoriale, che uniscono la tradizione apostolica a quella episcopale, attorno ai quali legittimare le proprie ambizioni e fondare la propria successione. L’attenzione dei diversi protagonisti si focalizza così attorno a differenti spazi o luoghi pregnanti della memoria cristiana, dando vita ad una riorganizzazione policentrica dello spazio sacro che viene ulteriormente sviluppata nelle leggende martiriali e nella letteratura agiografica. Si tratta di una trasformazione dei rapporti spaziali che vede la dissoluzione della distanza tra centro e suburbio e che rispecchia lo stato di progressivo degrado del tessuto demografico e urbanistico in atto da tempo.

Il VII capitolo consiste in una riflessione conclusiva dell’autore, seguita, da una apertura verso ulteriori prospettive di ricerca che orientano i suoi più recenti interessi (pp. 488-538). Diefenbach sottolinea l’importanza dei luoghi attorno ai quali si coagula la memoria cristiana (ricordo dei martiri, venerazione dei santi, culto di patroni e intercessori) per lo sviluppo del processo identitario della comunità cristiana di Roma e per la trasformazione urbana della città stessa. Diversamente da quanto presupposto dalle ricerche medioevistiche utilizzate come spunto metodologico di avvio della ricerca, egli evidenzia, però, anche la distanza che si viene a creare tra la prassi commemorativa pagana verso i defunti, ricordati per la funzione sociale (antenati o evergeti), e quella cristiana, per la quale i defunti continuano ad essere parte integrante della comunità, e in cui il legame tra culto dei morti e culto dei santi si salda attraverso il culto dei martiri. In particolare, la sua attenzione si fissa sulla funzione della memoria nei rapporti di scambio evergetico e caritativo. Il passaggio dal processo evergetico, tipico del mondo antico, allo scambio caritativo cristiano, infatti, introduce a suo giudizio un elemento di radicale rottura tra antichità e medioevo. Il volume si chiude con un ricco repertorio delle fonti e della bibliografia (pp.539-619) e con un indice dei nomi e delle cose notevoli (pp. 621-635).

Diefenbach riesce a muoversi con capacità dal piano generale della riflessione metodologica a quello specifico del singolo caso di studio. Dando prova di una notevole competenza e conoscenza della documentazione letteraria e archeologica, che gli consente di introdurre nella ricerca anche aspetti e documenti poco noti e studiati, egli dimostra, con questa indagine, le potenzialità offerte dall’applicazione allo studio della tarda antichità di concetti e metodologie sviluppatisi nell’ambito della riflessione contemporanea. Attraverso questo studio elegante e abilmente costruito, Diefenbach conduce il lettore lungo un percorso complesso e intricato, portandolo prima ad intuire l’approccio concettuale e teorico adottato, quindi a verificarne nei singoli casi e aspetti la validità applicativa, e infine, grazie all’analisi condotta, a rinnovare o perfezionare gli stessi modelli interpretativi, aprendo la via per ulteriori approfondimenti e indagini. La sua ricerca, infatti, va intesa non solo come un caso di studio in un ambito storico nel quale il tema dei “luoghi della memoria” finora ha trovato limitata applicazione, ma anche come un contributo costruttivo allo sviluppo ulteriore del concetto stesso di “memoria” e del suo utilizzo come paradigma della ricerca in ambito socio-culturale.

L’assenza di semplici carte topografiche e di piante dei monumenti e degli edifici menzionati e studiati, che con la loro presenza avrebbero facilitato il compito del lettore 1, costituisce a mio avviso l’unica lacuna di questo libro, estremamente corretto ma anche complesso nel linguaggio utilizzato, ma non ne pregiudica certo l’elevata qualità scientifica.

Notes

1. Si veda, ad esempio, l’utile apparato di figure fornito da J. Curren, Pagan City and Christian Capital. Rome in the Fourth Century, Oxford, Clarendon Press, 2000, pp. 325-357.