Un’ulteriore prova della grande fortuna che stanno avendo gli studi sulla tradizione classica1 è costitutita da questo volume, che raccoglie un’ampia serie di interventi presentati in un convegno tenutosi a Logroño (Spagna) nel 2007, promosso dall’Universidad de la Rioja, dall’Università di Bristol e dalla Technische Universität Dresden. Il volume si articola in diverse sezioni dedicate rispettivamente alla ricezione dell’antico nel teatro (5 saggi), nell’opera lirica (4 saggi), nel cinema (7 saggi), nell’architettura e nella scultura (11 saggi), nella pittura e nella decorazione (9 saggi), nella pubblicità e nei fumetti (6 saggi); chiude il libro una sezione dedicata all’uso didattico dell’eredità classica (6 saggi).
Nella relazione iniziale Carlos García Gual (“Si se ausentan los dioses”) propone un vivace percorso tra la letteratura classica e alcune riprese contemporanee (come Alessandro Baricco o Christa Wolf) sul tema degli dèi e della loro presenza (o assenza) nelle vicende narrate; l’obbiettiva difficoltà dei moderni dinanzi al senso del pantheon antico non deve impedire di cogliere l’importanza fondamentale del ruolo degli dèi nel pensiero religioso, nella cultura e nell’arte del mondo classico.
La prima sezione di apre con una relazione di Eleonora Cavallini (“Appunti per una performance multimediale di testi: i ‘Dialoghi con Leucò’ di Cesare Pavese”), che descrive una esperienza teatrale presentata a Ravenna (2006) e incentrata sulla rappresentazione di alcuni dei ventisette ‘Dialoghi con Leucò’ (1947) di Cesare Pavese; il resoconto diventa l’occasione per illustrare l’interpretazione dei miti greci offerta dallo scrittore italiano e i rapporti da lui intrattenuti con studiosi del mito come Mario Untersteiner.
Sofia Eiroa e Jorge A. Eiroa (“La Antigüedad Clásica en el teatro del Siglo de Oro: Rojas Zorrilla”) analizzano la “Numancia destruida” del drammaturgo Francisco de Rojas Zorrilla (1607-1648) e inquadrano l’opera nel contesto del teatro barocco, con un particolare riferimento alla “Numancia” di Cervantes.
Ricardo del Molino (“La Antigüedad Clásica en la Nueva Granada: teatro revolucionario e iconografia republicana”) mostra come fossero utilizzati temi, personaggi e riferimenti classici nella Nueva Granada (Colombia) degli ultimi decenni del Settecento e della Prima Repubblica (1810-1816): si tratta di spettacoli in occasione di feste, di dialoghi satirici, o di opere come “El monólogo o soliloquio de Eneas” di J. M. Salazar; molto interessante il testo in cui si descrivono immagini e iscrizioni delle medaglie emesse per commemorare una battaglia del 1811, con un parallelo tra Corinto e Popayan.
Filippo Carlà (“Il modello di ogni caduta: il V sec. d. C. nelle sue riduzioni teatrali tra XIX e XX secolo”) sviluppa in modo molto convincente il tema della caduta dell’impero romano come paradigma della crisi epocale per eccellenza, della disgregazione e “della dissoluzione dell’entità statuale” (p. 101); si analizzano con grande attenzione alle relazioni con lo sfondo storico e con il corrispondente pensiero filosofico e storiografico opere teatrali di F. L. Z. Werner, A. Guimerà, F. Dürrenmatt e si studia con finezza il ruolo che in questi testi giocano i protagonisti, Attila, Galla Placidia, Romolo Augusto.
Irene Berti (“Mito e politica nell’Orestea di Pasolini”) si sofferma sulla traduzione dell'”Orestea” (1959) da parte del poeta e regista italiano, ma soprattutto sul suo “Pilade” (1966) e sugli “Appunti per un’Orestiade africana” (1968); il profondo interesse dello scrittore per la cultura classica — tema su cui ritorna anche A. M. Sedeño (vedi infra) — non deriva da interessi eruditi, ma dall’idea che il mito antico possa rappresentare i conflitti che caratterizzano l’Italia del “boom” economico degli anni ’60, in particolare quello tra la cultura del mondo contadino e la cultura consumistica introdotta dal neocapitalismo.
La sezione sull’opera lirica viene aperta da un’interessante relazione di Pepa Castillo (“La Antigüedad Clásica de los poetas cesáreos pre-metastasianos”); la studiosa prende in esame la tematica classica presente nell’opera lirica italiana, lo spettacolo musicale per eccellenza nella Vienna tra XVII e XVIII sec., prima dell’arrivo di Pietro Metastasio; per questo affronta le più importanti figure di “poeti cesarei”, i letterati incaricati di scrivere i testi dei “drammi per musica”; con il ricorso a utilissime tabelle che di ogni opera a soggetto classico riportano anche il compositore delle musiche, l’occasione dei festeggiamenti e la data della rappresentazione, viene così descritta l’attività dei principali librettisti: Nicolò Minato (tra 1669 e 1698), Renato Cupeda (1695-1704), Pietro Antonio Bernardoni (1701-1710), Silvio Stampiglia (1706-1714), Pietro Pariati (1714-1733), Apostolo Zeno (1718-1729); il bilancio della ricerca è notevole sia per il numero delle opere individuate (75), sia per la varietà e, in taluni casi, la rarità dei soggetti scelti.
Carmen Herreros Gonzáles (“El Sila de Gamerra”) prende in esame il libretto del ‘Lucio Silla’ scritto dal letterato livornese Giovanni de Gamerra, con sostanziose modifiche di Metastasio; il testo viene riassunto, si individuano le fonti classiche e se ne discute l’uso da parte del librettista in funzione della rappresentazione nella Milano austriaca (1772); vale la pena ricordare che lo stesso libretto, musicato in quella occasione da Mozart (KV 135), venne utilizzato anche da altri compositori nella seconda metà del XVIII secolo.2
Il titolo dell’articolo di Milena Melfi (“Excavating Opera: composers and archaeologists in 19th century Italy”) promette più di quanto effettivamente contenga: l’autrice approfondisce infatti un solo episodio, peraltro di un certo interesse, quello di un’opera lirica di Giovanni Pacini, “L’ultimo giorno di Pompei” rappresentata a Napoli nel 1825; Melfi dimostra come il ‘plot’ (del librettista A. L. Tottola) e la scenografia fossero strettamente legati alle conoscenze architettoniche e topografiche acquisite negli scavi di Pompei dei recenti decenni.
Nel saggio di Ana Paula Fontao (“Lecturas románticas de un mito antiguo: Medea”) si elencano i titoli di opere liriche che hanno come argomento la religione e i riti degli antichi tra Sette e Ottocento (p. 170), si fa una rassegna delle opere dedicate alla figura di Medea nel teatro, ma anche nelle arti figurative (p. 173), e soprattutto si analizzano due melodrammi, la “Medea” di Luigi Cherubini (1797) e la “Medea in Corinto” di Giovanni Simone Mayr (1813).
La sezione dedicata al cinema si apre con una relazione di Bernardo Sánchez Salas “(Ars gratia artis”), che analizza il film di M. LeRoy “Quo vadis?” (1951) in rapporto al precedente “Via col vento” (“Gone with the wind”) di V. Fleming (1939) e al successivo “La tunica” (“The robe”) di Henry Koster (1953); ma soprattutto l’autore cerca di inquadrare il film nel suo contesto storico, come rilettura degli avvenimenti della seconda Guerra Mondiale, ma anche come “spettacolo autoreferenziale” nella implicita esaltazione dei nuovi mezzi cinematografici (il “technicolor”): l’idea dell'”ars gratia artis” (“l’arte per l’arte”) ricorre tanto in uno dei dialoghi del film, quanto nel simbolo della MGM, la casa produttrice.
Nella prima delle comunicazioni, José Antonio Molina (“A través del espejo: preocupaciones contemporáneas por la paz mundial en el cine histórico sobre la Antigüedad”) si sofferma su due film, “Spartacus” di Stanley Kubrick (1960) e “Gladiator” di Ridley Scott (2000), osservando come in entrambi si proietti il punto di vista dei rispettivi periodi storici sul tema della violenza e della guerra.
Gabriella Sciortino (“Clio e la ‘decima Musa’: il Mondo Antico attraverso le immagini della settima arte”) prende in considerazione i film a soggetto classico in rapporto alla prospettiva accademica da una parte e alla cultura popolare dall’altra, e si chiede in che misura la visione del mondo antico proposta dal cinema possa incidere sulla memoria sociale contemporanea.
Martin Lindner (“Small Gods — (Halb-)Götter als Figuren des Antikfìlms”) esamina le modalità con cui nei film a soggetto antico, dagli inizi del cinema fino a esempi recentissimi, vengono presentate le figure degli dèi e dei semidei; l’autore, appoggiandosi a un’aggiornata e utile bibliografia, segue la riproposizione degli antichi miti, ma anche le loro trasformazioni o addirittura le nuove avventure degli antichi eroi (ad es. “Ercole al centro della terra”).
Oscar Luis Lapeña (“La Ciudad Antigua en el Cine: mucho más que un decorado”) prende in esame il ruolo simbolico del paesaggio urbano (la casa, le terme, l’anfiteatro, il tempio . . .) nella rappresentazione cinematografica del mondo classico (ma anche di quello orientale e dell’Egitto); opportuni i raffronti, sul medesimo argomento, da una parte con la pittura a tema antico del XIX secolo,3 dall’altra con i manifesti degli stessi film.
Ana María Sedeño (“La tragedia en Edipo rey de Pier Paolo Pasolini”), dopo una rassegna dei film basati su una tragedia greca, osserva la tecnica cinematografica di Pasolini in relazione alla sua poetica, alla sua visione politica e alla sua idea di mito, per passare poi a una rapida analisi dell'”Edipo re” (1967).
Alberto Prieto e Borja Antela e (“Alejandro Magno en el cine”) si soffermano su due film incentrati sulla figura di Alessandro Magno, “Alexander the Great” (1956) di Robert Rossen e “Alexander” (2005) di Oliver Stone, opere che vengono analizzate accuratamente in rapporto alle fonti storiche sul sovrano macedone; la seconda pellicola viene osservata anche sullo sfondo della politica estera statunitense degli ultimi anni.
Le sezioni dedicate alle antichità nelle arti figurative sono aperte da Silke Knippschild (“El prestigio del pasado: la representación de la Antigüedad como signo de poder en la Inglaterra del siglo XVII”), che riflette sul rapporto tra uso dell’antico e vita politica nell’Inghilterra del Seicento, soffermandosi in particolare sulle collezioni di antichità di Carlo I e di Thomas Howard conte di Arundel.
Carmen González Román (“Modelos e imágenes del teatro antiguo en los palacios del Renacimiento”) discute alcune rappresentazioni rinascimentali dell’edificio teatrale antico e ne osserva il riflesso nella progettazione architettonica civile della stessa epoca, ma con un taglio piuttosto compilativo e, purtroppo, con un rado apparato bibliografico.
Christiane Kunst (“Paestum imagery in European Architecture”) traccia la storia della scoperta dei templi di Paestum, della loro fortuna (specialmente in Winckelmann e Goethe), e, più in generale, della ricezione del dorico.4
Maria Elena Gorrini (“L’Afrodite velata di Mantova: nuove osservazioni”) ripercorre le vicende collezionistiche della statua oggi nel Palazzo Ducale di Mantova — arrivata da Roma nella città lombarda già nel XVI secolo — e ne fornisce un’accurata disamina storico-artistica.5
Brigitte Ruck (“Kolosse und ihre grossen Vorbilder aus der Antike”), dopo una definizione del “colosso” in scultura, ne delinea una storia fino al Novecento, approfondendo l’esame di due esempi precisi: il primo è la statua equestre di Cosimo I in Piazza della Signoria a Firenze (1595), letta soprattutto in rapporto al Marco Aurelio capitolino; il secondo esempio è la copia dell’Ercole Farnese, alta quasi tre volte l’originale, collocata sul padiglione a piramide del parco di Wilhelmshöhe presso Kassel (1717).
Il titolo dell’intervento di Eduard Cairol (“Un jardín de estatuas sin ojos. El legado de la Antigüedad en la Viena Fin-de-siglo”) deriva da una frase di Hugo von Hofmannsthal; Cairol analizza infatti con finezza lo sguardo della Vienna tra ‘800 e ‘900 sul mondo classico partendo da alcune opere di Klimt e, appunto, da alcuni testi di Hofmannsthal, in particolare la “Chandos-Brief”.
In “Museums and Literature: Marguerite Yourcenar’s Mémoires d’Hadrien” Rosario Rovira si interroga sul ruolo delle opere d’arte nell’elaborazione del capolavoro della scrittrice; particolarmente interessanti le notizie sui rapporti con gli archeologi (Raissa Calza in particolare) e sulle recensioni (negative) al libro da parte di Charles Picard e Ronald Syme.
Dolores Villaverde (“La Antigüedad como paradigma de la escultura gallega contemporánea”) vuole dimostrare la presenza di elementi neoclassici in alcune sculture della Galizia tra Sette e Ottocento, tentativo ben poco convincente, a giudicare almeno dagli esempi riportati in foto: una cosa infatti è il classicismo pur presente nella cultura barocca, un’altra quello che si afferma nel secondo Settecento dopo gli studi di Mengs e Winckelmann.
José Mayor (“El vinculo del arte griego con los tratados sobre morfologia artistica”) intende evidenziare il legame tra l’arte greca e gli studi di anatomia e fisiologia umana dal Rinascimento al XX secolo; si tratta però di un percorso tanto lungo, quanto poco incisivo e generico, come del resto conferma la scarsità dei riferimenti bibliografici.
Jesús Martinez Oliva (“Miradas transversales de la fotografia de desnudo masculino a la Antigüedad Clásica”) studia il tema del nudo maschile nella fotografia tra XIX e XX secolo, osservando come il frequente richiamo ai modelli statuari classici serva a nobilitare tali immagini, ma anche ad attenuarne la dimensione omoerotica; accanto a figure ben note come quella di Wilhelm von Gloeden,6 si affronta il ruolo di riviste meno conosciute, come “Physical culture” o “Physique pictorial”.
Isaac Sastre (“Iconographic Influences of Roman Aras in Early Christian Altars. Prevalence of Formal and Conceptual Elements in Hispania”) presenta un lavoro ben documentato sul ruolo degli altari nel passaggio dal paganesimo al primo cristianesimo nell’area iberica; gli elementi di continuità a livello rituale e simbolico favoriscono persistenze tipologiche e iconografiche, consentendo anche il fenomeno del reimpiego;7 l’autore approfondisce alcuni casi di tali reimpieghi, osservando le possibili modificazioni alle decorazioni e al testo epigrafico originario.
Molto puntuale e ben documentato, il saggio di Carmen Heredia (“La recepción del Clasicismo en la Platería española del siglo XVI”) traccia le lineea fondamentali della penetrazione del classicismo rinascimentale — italiano prima di tutto — in Spagna, soffermandosi sulla oreficeria e, in particolare, sulla lavorazione degli argenti. James H. Lesher (“Feuerbach’s ‘Das Gastmahl des Platon’ and Plato’s Symposium”) legge accuratamente il “Banchetto di Platone” del pittore tedesco in contrappunto al “Simposio” platonico; sostenere però che “what ‘Das Gastmahl’ offers us is less ‘Plato’s symposium’ and more ‘Feuerbach’s symposium'” è quasi un’ovvietà, se è vero che ogni artista non può che sottoporre a interpretazione le indicazioni che gli arrivano da un testo, da un medium cioè totalmente differente; lascia dunque perplessi l’attribuzione al pittore di propositi filosofici — come “to offer a visual contrast of reason with desire” in una presunta anticipazione dell’opposizione apollineo-dionisiaco di Nietzsche (p. 488) — a partire dagli scarti tra dipinto e testo. Inoltre, a fronte di un’analisi molto attenta del dipinto, ci sono conclusioni piuttosto prevedibili, come quella che Feuerbach intenda “to convey a sense of the nobility of the ancient Greeks”; sembra altrettanto normale, in quella data, che si voglia arricchire la scena di dettagli tratti dalla recenti scoperte archeologiche.
Francisca Feraudi-Gruénais (“L. – A – T: – L(awrence) A(lma) T(adema) und die Transformation antiker Inschriften oder: Wie funktioniert(e) “Antike-Rezeption”?”) affronta con molta originalità il tema della presenza di epigrafi antiche nei dipinti di L. Alma-Tadema, tracciando una tipologia di differenti situazioni; il tema viene inquadrato in una più ampia riflessione sui meccanismi della ricezione dell’antico, che tocca anche, con vivacità, aspetti della situazione contemporanea.
Isabel Valverde e Marina Picazo (“¿La reina vencida? Cleopatra y el poder en el arte y la literatura”) delineano i contorni della figura di Cleopatra nella letteratura europea dal Trecento in poi, in particolare nelle biografie delle donne celebri dell’antichità; quindi affrontano la trattazione degli episodi della sua biografia (il suicidio in primis) nella pittura dal XVI al XIX sec.8
José Maria Blázquez (“Mitos clásicos y naturaleza en la pintura y dibujos de Carlos Franco”) descrive i miti classici (e i loro possibili riferimenti artistici) presenti nei dipinti di Carlos Franco, in particolare in quelli per la Real Casa de la Panadería (Madrid), ma anche in altri quadri e opere di grafica datati tra 1989 e 2007.
Antonio Joaquín Santos (“Ornamentos y figuración de origen clásico en la obra de los Ballesteros”) prende in esame la ricezione di forme decorative classiche in opere dei Ballesteros, famiglia di argentieri di Siviglia, tra gli anni ’50 e gli anni ’80 del XVI secolo; tale ricezione è mediata dal confronto con modelli rinascimentali, in particolare incisioni di artisti italiani degli inizi del secolo.
Claudia Wagner (“A Picture-Book of Antiquity: The Neoclassical Gem Collection of Prince Poniatowski”) descrive la collezione di glittica formata dal principe Stanislas Poniatowski (1754-1833), ricca di pezzi che illustravano il mito, passi omerici e virgiliani, personaggi del mondo classico: la raccolta, oggi dispersa, conteneva gemme di ottima qualità, ma di età neoclassica, spesso contrassegnate da pseudo-firme di incisori antichi.
Thomas Mannack (“The Ancient World in Miniature: Flat German Tin Figures of the 19th and 20th Centuries”) illustra un gioco educativo infantile particolarmente diffuso in area tedesca (“Zinnfiguren”) a partire dal tardo Settecento, le piccole figure piatte poggianti su una base: tra i vari temi si trovano figure di divinità antiche, ma anche episodi della storia greca e romana; dopo la I Guerra Mondiale le “Zinnfiguren” diventano oggetto da collezione e aumentano e si raffinano i soggetti legati all’antichità classica.
Javier Andreu (“La Antigüedad como argumento: su uso en la heráldica municipal de Navarra”) studia l’uso della tematica classica come mezzo di nobilitazione civica negli stemmi municipali della Navarra dal XVII in poi; tra gli esempi è particolarmente rilevante l'”escudo” di Valle de Lana (pp. 585 ss.) in cui campeggiano il testo e le decorazione della perduta stele di Minicia Aunia (CIL, II, 5828).
Molto ben documentato e con preziosi rimandi bibliografici è il saggio di Marta García Morcillo (“La Antigüedad Clásica en el cartel político contemporáneo: de la Europa decimonónica a la Guerra Civil española”), in cui si illustra l’uso di motivi e allegorie classiche nella storia del manifesto politico, in particolare alla fine dell’Ottocento, durante la prima Guerra Mondiale, al tempo della Repubblica di Weimar, nell’Italia fascista e infine durante la guerra civile in Spagna.
Audy Rodríguez (“Les fêlures du miroir ou les dieux vecteur de mise en abîme. Modalités, formes et enjeux de la transmission de la référence antique. Un exemple: les dieux grecs”) descrive alcune immagini di divinità greche in fumetti recentissimi, con un commento che da un lato prescinde dalla storia delle immagini, dall’altro sembra piuttosto generico; interessanti le riflessioni sugli dèi raffigurati in forma di statue e il confronto con la “Venus d’Ille” (ma il “Prosper M.” della nota a p. 629 è Prosper Mérimée).
Adexe Hernández Reyes (“Los mitos griegos en el manga japonés”) esamina il fenomeno dell’uso dei miti greci nei fumetti e nei cartoni animati giapponesi negli ultimi decenni; si tratta a volte di adattamenti (“Ulysses 31”, una storia dell’eroe greco ambientata nel secolo XXXI), a volte di vere e proprie reinvenzioni (“Sailor Moon”).
Pilar Iguácel (“Tartessos. El mito en lenguaje de cómic”) illustra una serie di fumetti incentrata sull’antica Tartessos individuandone le fonti antiche e precisandone il linguaggio; interessante il caso di un personaggio modellato sulla “Dama de Elche”.
Miguel Angel Novillo (“‘Astérix en Hispania’: realidad histórica o realidad caricaturizada”) esamina minutamente alcune vignette dell’episodio del ben noto fumetto ambientato in Spagna evidenziando l’intreccio tra dati della storia antica e riletture in chiave comica.
Anna Pujadas (“Desplegando el peplo. Un ensayo sobre arte, moral, moda y danza”) descrive sommariamente l’uso del peplo nella Grecia antica, per osservarne poi la rilettura moderna nella moda (Fortuny) e soprattutto nella danza (Isadora Duncan).9
L’ultima sezione del volume è dedicata alle valenze didattiche dell’eredità classica e si apre con una ricca relazione di Teresa García Santa María e Joan Pagès Blanch (“La imagen de la Antigüedad en la enseñanza de la Historia”) sull’insegnamento della storia antica; gli autori partono con l’esaminare le riflessioni sul valore educativo dell’insegnamento della storia antica svolte in area francese, italiana e anglosassone, per poi affrontare con grande attenzione il peso e il ruolo della materia nel curricolo scolastico spagnolo e infine nella manualistica.
Fernando Lillo (“El cine de romanos y su aplicación didáctica”) passa prima in rapida rassegna la cinematografia con soggetti greci o romani, quindi propone una serie molto concreta e dettagliata di percorsi ed esempi di possibili usi didattici di questi film.
Esther López Ojeda (“Lorca y la tragedia griega. El caso concreto de ‘Bodas de sangre'”) offre un confronto tra le “Baccanti” di Euripide e “Bodas de sangre” di F. García Lorca come possibile percorso didattico capace anche di facilitare la comprensione della tragedia greca.
M. Carmen Santapau Pastor (“La recepción de la Mitologia clásica en la escultura del Barroco. Aplicaciones didácticas”) presenta una unità didattica fondata sulla ricezione della mitologia classica in età barocca, in particolare in Bernini, descrivendo due schede analitiche per guidare il lavoro di apprendimento.
Daniel Becerra e Soraya Jorge (“El cómic como elemento de atracción para la enseñanza del Mundo Clásico. Entre la literatura y la rigurosidad histórica”) discutono il possibile uso didattico di alcune serie di fumetti (“Alix”, “Asterix”, “Tartessos”, “Age of Bronze”, “Murena”) che hanno come sfondo l’antichità greca e romana.
M. Luz Husillos (“Publicidad y Mitología: su uso en el aula”) presenta una veloce rassegna di adattamenti della mitologia e della cultura classica nella pubblicità contemporanea, valutandone il possibile uso didattico.10
Il volume, in conclusione, ospita interventi di livello piuttosto differente: accanto a un buon numero di contributi notevoli per approfondimento e originalità, vi sono lavori compilativi e scarsamente incisivi; non tutti i saggi sono illustrati come si poteva sperare e, in generale, la qualità della documentazione iconografica è piuttosto modesta. L’idea di riflettere sul tema della ricezione della cultura classica come snodo essenziale per la civiltà europea è comunque positiva, come è apprezzabile lo sforzo di osservarne le varie ramificazioni sia a livello geografico, sia nelle più diverse esperienze culturali, anche in quelle solitamente meno considerate sotto questo profilo. Del tutto condivisibile la scelta di riservare uno spazio apposito alle problematiche educative e didattiche. Ci si può augurare che nei previsti prossimi incontri la storia della tradizione classica venga affrontata con una più netta delimitazione cronologica éo tematica, consentendo così un ulteriore raffinamento della qualità dell’iniziativa.
Notes
1. Si vedano, di uscita recente: Charles Martindale, Richard F. Thomas (edd.), Classics and the Uses of Reception, Oxford 2006 (rec. Sheila Murnaghan, BMCR 2007.07.19) e Lorna Hardwick, Christopher Stray (edd.), A Companion to Classical Receptions, Oxford 2008 (rec. John Henderson, BMCR 2008.08.38).
2. Johann Christian Bach (Mannheim 1773), Pasquale Anfossi (Venezia 1774) e Michele Mortellari (Torino 1778).
3. A p. 235 “Thomas Coutier” va corretto in “Thomas Couture”. Per quanto riguarda i registi, a p. 241 “Fracassi” e non “Fracasi”; a pp. 243 e 250: “Blasetti” e non “Blassetti”.
4. Anche per questo aspetto era opportuno citare il bel saggio di Kurt W. Forster, “L’ordine dorico come diapason dell’architettura moderna”, in I Greci. Storia cultura arte società. I. Noi e i Greci, a cura di S. Settis, Torino 1996, pp. 665-706.
5. Lo stesso saggio viene pubblicato dall’autrice, con lievissime varianti, col titolo “L’Afrodite-ninfa di Mantova”, in La scultura romana dell’Italia settentrionale. Quarant’anni dopo la mostra di Bologna (Atti del convegno internazionale, Pavia 2005), a cura di F. Slavazzi e S. Maggi, Firenze 2008, pp. 195-206; cfr, anche L. Giordani, M. Oddone, Studio archeometrico del marmo usato per la statua dell’Afrodite velata conservata al Palazzo Ducale di Mantova, ivi, pp. 207-210. Alla bibliografia citata a p. 337, nota 31, va aggiunto: Antiquarie prospettiche romane, a cura di Giovanni Agosti e Dante Isella, Parma 2004.
6. Sul personaggio cfr. ora Wilhelm von Gloeden, fotografie: nudi, paesaggi, scene di genere, ed. Italo Zannier, Firenze 2008.
7. Su questo tema si veda ora Cristina Maritano, “‘In altaria vertuntur arae’. Sul reimpiego dell’antico negli altari cristiani dall’età medievale al Cinquecento”, in Prospettiva, 126-127 (2007), pp. 46-55.
8. Alla bibliografia citata va aggiunto Silvia Urbini, “Il mito di Cleopatra. Motivi ed esiti della sua rinnovata fortuna fra Rinascimento e Barocco”, in Xenia antiqua, II (1993), pp. 181 e sgg.
9. Poteva essere utile anche un rimando a Linda Selmin, ” L’americana scalza. Un inedito di Aby Warburg su Isadora Duncan“, in Engramma, 34 (giugno-luglio 2004). Oltre alla bibliografia indicata, sulle danze antiche va citata ora Maria Luisa Catoni, La comunicazione non verbale nella Grecia antica, Torino 2008.
10. Si può senz’altro consigliare il ricorso alla sezione “Peitho e Mnemosyne” (e al relativo archivio) della rivista online Engramma.