BMCR 2009.01.17

The Conquests of Alexander the Great. Key Conflicts of Classical Antiquity

, The Conquests of Alexander the Great. Key Conflicts of Classical Antiquity. Cambridge/New York: Cambridge University Press, 2008. xxi, 218. ISBN 9780521842471. $25.00.

Il libro di Waldemar Heckel sulle conquiste di Alessandro Magno si inserisce nella collana di studi Key conflicts of classical antiquity di taglio divulgativo edita dalla Cambridge University Press e finalizzata a chiarire cause e dinamiche dei principali conflitti dell’antichità. Se le tante cartine relative alle battaglie, le tre appendici (sui principali personaggi che affiancarono Alessandro nel corso della sua impresa, sulle truppe che parteciparono alle tappe della spedizione, sull’amministrazione dell’impero), il glossario finale, la bibliografia essenziale, le schede disposte lungo il volume, il linguaggio assai semplice seguono un taglio mediamente divulgativo, la precisione con la quale lo studioso, autore di tanti studi su Alessandro e recentemente di una pregevole prosopografia che integra e in taluni casi corregge quella del Berve,1 si sofferma sulle tappe della spedizione e su alcuni problemi oggetto di dibattito fanno di questo volume uno strumento che consente, anche ai non addetti ai lavori, non solo di formarsi un’idea generale su Alessandro e la sua spedizione, ma anche di capire attraverso quali strumenti, strategici e ideologici, il re macedone realizzò la sua straordinaria spedizione asiatica.

Lo studio si articola in nove capitoli, il primo dei quali fa da introduzione, seguiti, come detto, da tre appendici. In essi l’A. segue le tappe dell’impresa di Alessandro dalla presa del potere nel 336 a seguito dell’assassinio del padre Filippo II, alla morte a Babilonia nel 323.

Il primo problema che, giustamente, Heckel pone in evidenza perché comune a tutte le ricerche su Alessandro riguarda la tradizione costituita da fonti tarde quali Diodoro, Curzio Rufo, Arriano, Plutarco, Trogo-Giustino.2 Pur attingendo in molti casi a fonti contemporanee al re macedone (Arriano, ad esempio, nell’incipit della sua Anabasi indica gli storici Tolomeo e Aristobulo come sue fonti guida), tuttavia in molti casi esse mescolavano il dato di partenza a personali convinzioni, talora alterando il senso della notizia. In molte occasioni, rileva Heckel (pp. 11-12), risulta dunque difficile separare il vero dal falso, il dato di partenza dalla sua interpretazione tarda. Si rivela essenziale perciò nella ricostruzione delle tappe della spedizione asiatica un’adeguata analisi critica della fonte volta a verificare chi riportasse in origine la notizia, da quale ottica, filomacedone o antimacedone si ponesse, se dicesse la verità o invece la alterasse, se commettesse errori nel riportare il dato. Su queste premesse, l’A. ricostruisce le tappe principali della spedizione del Macedone, affiancando al dato militare e strategico il lato meramente ideologico ovverosia la propaganda che precedette e accompagnò la diverse fasi della strateia asiatica e che si coglie nell’impostazione di gran parte della tradizione superstite.

Evitando di proporre in questa sede i tanti problemi legati alla spedizione e alla figura di Alessandro, sulla quale esiste una bibliografia sterminata nelle diverse lingue europee,3 è il caso di soffermarsi su quelli in relazione ai quali l’analisi di Heckel assume caratteri di novità. Se l’A. chiarisce il dato militare unendo all’analisi della tradizione una serie di cartine relative alle diverse fasi delle principali battaglie sostenute da Alessandro (Granico, Isso e Gaugamela contro Dario III, lo scontro sul fiume Hydaspes contro Poro), lo studioso pone un’attenzione particolare al dato ideologico che connota l’intera spedizione del Macedone.

Se la distruzione di Tebe nel 335, presentata dalla propaganda macedone come rappresaglia contro il medismos della città che aveva invitato i Greci alla rivolta contro il tyrannos Alessandro, non poteva non avere l’artefice nel re macedone stesso (e non nei suoi alleati greci come parte della tradizione ricorda) (p. 29), i gesti simbolici che accompagnarono la spedizione soprattutto nella prima fase (dai sacrifici ad Ilio, allo scioglimento del nodo di Gordio), gli slogan della vendetta e della liberazione dei Greci d’Asia ispirati da Callistene, avevano un valore marcatamente ideologico e propagandistico (pp. 42; 54-55).4

Merita rilevare come anche Heckel rimarchi il valore di Dario III dipinto in parte riabilitandolo.5 Non il re codardo dipinto dalla tradizione greco-macedone e da molti degli studiosi moderni secondo un modello negativo che rispecchia la voce del vincitore, ma un uomo di valore capace di valutare le diverse situazioni e di fare le mosse più opportune per risolverle sia in ambito strettamente strategico che sul fronte diplomatico.6 Analogo valore ideologico l’A. rileva nella morte di Besso, l’omicida di Dario e l’usurpatore della regalità persiana alla quale Alessandro aspirava dopo Gaugamela. Se, per un verso, l’umiliazione del regicida e la sua brutale mutilazione punivano un crimine e presentavano Alessandro nelle vesti di successore di Dario, come giustamente Heckel rileva, per un altro, va rimarcata, a mio avviso, un adattamento alla nuova situazione del tema della vendetta da parte di Alessandro e, congiuntamente, del principale ispiratore della sua propaganda: lo storico Callistene. Se in relazione alla prima parte della spedizione lo slogan era stato orientato contro Dario III e i Persiani, ora, mutata la situazione, veniva orientato in senso filopersiano. Contraddicendo palesemente le motivazioni iniziali della spedizione, Alessandro, punendo Besso, si faceva vendicatore del suo ex nemico, contro il quale aveva condotto la spedizione di vendetta in nome dei Greci. Da vendicatore dei Greci contro Dario passava a vendicatore di Dario contro Besso. L’ex nemico era ora suo alleato e suo predecessore sul trono achemenide.7 Forse anche da quest’ottica si spiegano i malumori, diventati congiure, che sorsero all’interno dell’esercito macedone e che, a ragione, Heckel ritiene veritieri e non frutto di ipotetiche macchinazioni da parte di Alessandro pronto a liberarsi di scomodi avversari come Filota, Parmenione, Clito e infine Callistene (p. 90 ss.).

Il volume affronta con nuove conclusioni altre questioni da tempo oggetto di indagini. Heckel legge le nozze di Susa non come strumento di fusione ma come gesto solo simbolico atto ad agevolare il dominio macedone sui popoli stranieri. Rileva, a proposito del decreto sugli esuli, come Alessandro intendesse attraverso tale provvedimento sia porre un freno alle masse di sbandati che si aggiravano in Asia, pericolose per lo stesso dominio macedone, sia, in forma più subdola, scatenare deliberatamente la rivolta tra i Greci necessariamente contrari ad una misura che avrebbe creato disagi e problemi nelle città. Solo così avrebbe avuto un pretesto per intervenire militarmente contro le poleis e per imporre su di esse con la forza il suo personale dominio riducendo così il potere in Europa di Antipatro personaggio non più così affidabile come in passato. Vede nella stessa morte di Alessandro, che una parte della tradizione lega ad un complotto, la crescente ostilità di uomini un tempo fedeli come lo stesso Antipatro e Antigono Monophthalmos che avrebbero anche potuto attentare alla vita del loro re pur di mantenere il potere.

Quello di Heckel è uno studio pregevole che cerca di sintetizzare, operazione certo non facile, la mole di problemi sulla figura e l’azione di Alessandro. In esso il personaggio viene fuori nelle sue diverse maschere: figlio di Filippo, hegemon dei Greci, re dei Macedoni, successore di Dario sul trono persiano. Un comandante in grado, come nei discorsi prima delle battaglie del Granico, di Isso, di Gaugamela, di motivare le truppe impiegando i temi più efficaci su ciascun contingente; un fine uomo politico, memore della lezione di Aristotele anche se non fedele ad essa, pronto a circondarsi degli intellettuali capaci di presentare la sua spedizione nella luce migliore; un sovrano macedone in grado di calarsi in nuovi ruoli: da figlio di Filippo, a figlio di Ammon, da re dei Macedoni ed hegemon dei Greci a successore di Dario sul trono achemenide, consapevole che solo mutando i suoi ruoli iniziali avrebbe dato stabilità all’ impero ed evitato lo scontro tra vecchi e nuovi dominatori.

Notes

1. H. Berve, Das Alexanderreich auf prosopographischer Grundlage, München 1926; W. Heckel, Who’s who in the age of Alexander. Prosopography of Alexander’s Empire, Oxford 2006.

2. In questo senso gli studi di W.W. Tarn, Alexander the Great, Cambridge 1948; L. Pearson, The lost histories of Alexander the Great, Philadelphia 1960 e di N.G.L. Hammond, Three historians of Alexander the Great. The so-called vulgate authors, Diodorus, Justin and Curtius, Cambridge 1983; ma anche di M.A. Levi, Introduzione ad Alessandro Magno, Milano 1977; P. Pedech, Historiens compagnons d’Alexandre, Paris 1984.

3. Solo a titolo di esempio, cfr. in francese, P. Briant, Alexandre le Grand, Paris 1974; C. Mossé, Alexandre le Grand, Paris 2001; in inglese N.G.L. Hammond, Alexander the Great, Cambridge 1980; in italiano M.A. Levi, Alessandro Magno, Milano 1977; M. Sordi (ed.), Alessandro Magno tra storia e mito, Milano 1984; in tedesco G. Wirth, Studien zur Alexandergeschichte, Darmstadt 1985. La difficoltà di controllare un patrimonio così vasto ha prima indotto alcuni studiosi a cercare di approntare delle raccolte: cfr., ad esempio, N.J. Burich, Alexander the Great. A bibliography, Kent 1970; poi, come ha fatto lo stesso Heckel: http://hum.ucalgary.ca/wheckel/bibl/alex-bibl.pdf, a creare apposite banche dati, che, pur aggiornate periodicamente, non riescono tuttavia a stare dietro a tutta la mole di pubblicazioni sul Macedone che continuamente viene edita in tutto il mondo.

4. Sull’inquadramento di questi slogan, cfr. G. Squillace, Basileis o tyrannoi. Filippo II e Alessandro Magno tra opposizione e consenso, Soveria Mannelli 2004.

5. È un tema, questo, su cui ha richiamato l’attenzione a più riprese Paul Briant specialmente nel bellissimo volume, Darius à l’ombre d’Alexandre, Paris 2003.

6. Ne è un esempio la lettera che il persiano, sconfitto ad Isso, nel 332 inviò ad Alessandro la quale, nella versione di Diodoro, conteneva , a mio avviso, le vere proposte di Dario ad Alessandro (matrimonio con una delle figlie e cessione di una parte dei territori). Il re macedone le respinse attraverso la strumentale attribuzione al nemico di una missiva dai toni tracotanti e superbi utile a giustificare il prosieguo della guerra: cfr. G. Squillace, ” La voce del vinto? La lettera di Dario III ad Alessandro a Marato nel 332 a.C.. Nota a Diodoro XVII 39,1-2 “, in Mediterraneo Antico 9, 2006, pp. 365-375.

7. Cfr. Squillace, Basileis o tyrannoi, cit., pp. 60-73.