In un’epoca come la nostra, di quotidiano confronto e di intensa dialettica fra cultura occidentale e islamica, è da salutare con vivo interesse l’incontro di grecisti e arabisti che ha prodotto il presente volume. I risultati di questa collaborazione sono ancora più apprezzabili, in quanto Simon Swain, il classicista che ha diretto il gruppo di lavoro, conosce l’arabo, e i due arabisti (Antonella Ghersetti e Robert Hoyland) hanno familiarità con le fonti classiche. Il convergere e l’intersecarsi di competenze diverse non pregiudicano così l’unità e la chiarezza, costituendo invece un apporto prezioso e una condizione in questo caso imprescindibile per affrontare il tema in modo completo ed esauriente. Sia la complessa tradizione della Fisiognomica di Polemone di Laodicea, il cui testo originario è perduto, sia l’articolata e diversificata storia della fisiognomica richiedono lo sforzo congiunto di studiosi di diversa formazione. Pienamente condivisibile è l’auspicio che i risultati raggiunti attraverso questa fruttuosa collaborazione sollecitino altri progetti orientati con altrettanto equilibrio metodologico.
Ai tre obiettivi principali corrispondono tre sezioni del volume. Nella prima si analizza il contesto storico e culturale in cui si situano l’attività e l’opera di Polemone (cap. 2-4); nella seconda si estende l’indagine alla sua presenza e alla sua influenza nella letteratura, nella società e nella scienza araba (cap. 5-7); nella terza si propongono i testi delle più significative versioni in greco, in latino e in arabo, e traduzioni in inglese (cap. 8-11). Particolare attenzione è stata dedicata anche alla Fisiognomica del Corpus Aristotelicum, in quanto essa rappresentò un punto di riferimento per tutta la produzione antica su questo argomento; per noi essa è inoltre la prima trattazione sistematica greca di un tema già da tempo oggetto di attenzione. La sua traduzione in arabo favorì molto probabilmente anche la traduzione di Polemone nella stessa lingua (p. 4). Confronti, riferimenti e analisi di quest’opera sono costanti in tutto il volume; l’Appendix ne contiene il testo e la traduzione.
George Boys-Stones (cap. 1) offre un’ampia panoramica di testi filosofici e medici che indagano sul rapporto tra anima e corpo, tra funzioni psicologiche e stati fisiologici con diversa accentazione delle influenze reciproche e delle interazioni: “I. The circle of Socrates (1): Phaedo of Elis; II. The circle of Socrates (2): Plato; III. Aristotle and his School (i) Aristotle (ii) Two Anonymous Aristotelians: the Authors of the Physiognomy (iii) Loxus ‘Medicus’; Appendix: The Aristotelian Physiognomy; IV. The Hellenistic Schools (i) The Older Stoics (ii) Posidonius (iii) Physiognomical Conclusion; V. Medical Writers (i) The Hippocratic Corpus (ii) Galen (iii) Other Medical Writers; VI. Post-Hellenistic Platonism”. Lo studio intende portare un contributo all’approfondimento di concezioni filosofiche e fisiognomiche antiche, considerate in stretta connessione quando si indaga sulla possibilità stessa di fare fisiognomica, di stabilire delle relazioni e di motivarle. Concentrando il proprio interesse sugli aspetti teorici dell’indagine fisiognomica, l’autore propone interessanti puntualizzazioni, utili per non confondere temi, ambiti e scopi distinti in opere e in autori diversi. Su alcune controverse e dibattute questioni, l’autore prende posizione. In particolare, ritiene che il Trattato A e il Trattato B, cioè le due parti di cui è composta la Fisiognomica del Corpus Aristotelicum, secondo un’opinione largamente condivisa, siano dovuti a due autori diversi (p. 65), che esprimerebbero anche due tendenze diverse (p. 58: “My claim [. . .] is that the author of Treatise A was an epiphenomenalist of some kind [. . .] Treatise B on the other hand, looks as if its author might have taken the opposite view”). Losso, di cui sappiamo pochissimo e sulla cui collocazione spaziale e temporale non esiste un’opinione unanime, viene considerato un peripatetico; la sua impostazione viene assimilata a quella dell’autore del Trattato A (p. 58-64; p. 59: “Loxus, I contend, is a writer of clear Peripatetic affiliation”). Il lungo articolo, focalizzato su alcuni problemi cruciali quali il rapporto tra l’anima e il corpo, tra psicologia e fisiologia, tra la fisiognomica e la filosofia, tra la fisiognomica e la medicina, costituisce un’efficace introduzione a tutto il volume, mettendo in evidenza le basi su cui si forma la Fisiognomica di Polemone, e gli aspetti peculiari dell’indagine fisiognomica in Grecia: il lettore ha così dei punti di riferimento per comprendere meglio quale influenza essa possa aver esercitato nel mondo islamico, e quali sviluppi poterono derivare dall’incontro con la cultura araba.
Simon Swain (cap. 3) offre una vivida, dettagliata ed esauriente descrizione della personalità di Polemone, dell’ambiente in cui visse e operò (“I. The Second Sophistic; II. Morality and Society; III. The ‘Intolerable’ Polemon: Career and Personality; IV. The Physiognomy). L’autore esplora il rapporto di Polemone con la tradizione precedente e le novità da lui apportate, sempre avendo lucidamente presente il contesto storico e culturale più ampio. Questa capillare ricostruzione permette di capire come la tradizionale funzione della fisiognomica, che la metafora dello specchio compendia bene, si arricchisca e si amplii nel secolo di Polemone, acquistando una rilevanza sociale. Stimolanti sono le considerazioni sul romanzo greco (p. 132), sul senso delle minute classificazioni e categorizzazioni in Polemone (p. 155). Pur non rientrando l’analisi della tecnica di traduzione tra gli scopi del volume (p. 7), le pagine dedicate alla struttura della Fisiognomica di Polemone, analizzata nelle versioni e nelle rielaborazioni che ce ne sono pervenute (p. 176), mettono a frutto la ricca competenza linguistica dell’autore, che si sofferma sul significato di alcuni termini.
Jas Elsner (cap. 4) indaga sul rapporto tra la fisiognomica e l’arte. La questione è affrontata tenendo conto anche delle teorie sull’arte e delle tipologie retoriche, quali si affermano nel periodo della cosiddetta Seconda Sofistica (“I. Writing on Art; II. The Influence of Physiognomics on Art; III. The Influence of Art on Physiognomics; IV. Polemon’s Colours”). La cautela nel valutare i confronti è necessaria, come avverte l’autore stesso (p. 218), per evitare di considerare ogni volta frutto di precise influenze ci che è invece il prodotto di sviluppi paralleli, in un determinato contesto. L’autore si mostra in ogni caso incline a considerare con più attenzione la possibile influenza di alcune tecniche e di alcuni stilemi della ritrattistica romana sull’opera di Polemone, facendo riferimento soprattutto all’insistenza della sua Fisiognomica su alcuni tratti fisici (l’interesse per gli occhi sembra quasi ossessivo), e all’omissione invece di altri. Nelle pagine dedicate alla grande varietà di termini di colore usati da Polemone soprattutto per descrivere gli occhi si riaffaccia un’antica questione: la difficoltà degli interpreti di fronte a una classificazione diversa dalla nostra, nella letteratura greca (p. 219: “One significant difficulty for the modern reader is that the colours Polemon uses often seem counter-intuitive to modern colour-perception”). Su questo problema mi sono soffermata in saggi diversi; rimando in particolare alle argomentazioni contenute nella mia edizione critica del trattato sui Colori, appartenente al Corpus Aristotelicum (Pisa, ETS, 1999), e nel volume, da me curato, dedicato ai Colori e ai Suoni (Milano, Bompiani, 2008), limitandomi qui a sottolineare la polisemia di molti termini greci di colore: attribuire a essi il valore di una precisa tinta non è sempre proficuo, n metodicamente giustificabile. Il nostro sistema dei colori è fondato sulla divisione dello spettro solare, in ambito scientifico; per il costituirsi di quello antico è invece determinante l’insieme di opposizioni e di analogie che emergono di volta in volta, in stretta relazione con le “cose”, con un contesto nel senso più ampio, un insieme differenziato e complesso in cui confluiscono categorie universali della percezione dei colori, specifiche concezioni, tradizioni e tendenze, condizionamenti, echi e risonanze di varia natura. Elsner, basandosi sull’opera di Adamanzio, che egli ritiene possa conservare le parole greche utilizzate da Polemone (p. 203, n. 1), si sofferma sul significato di alcuni termini. Se alcune sue valutazioni possono essere oggetto di discussione, sembra invece perfettamente condivisibile la seguente affermazione (riguardante le motivazioni che possono aver indotto Polemone a una sorprente, coinvolgente e minuta classificazione), che apre un più ampio orizzonte di ricerca, lungimirante e produttiva: “it may be that his colour system was such that no one — even in antiquity — would ever have been expected fully to master it” (p. 221). Il problema della traduzione dei termini di colore è sottolineato più volte dagli autori di questo volume, dato il frequente ricorso a essi nelle descrizioni di varie parti del corpo (vd. Swain, p. 180 ss.; Repath 491 s.).
Robert Hoyland (cap. 5) dà un quadro chiaro ed esauriente delle circostanze storiche e culturali in cui si situa la sistematica attività di traduzione in arabo tra l’ottavo e il decimo secolo, e focalizza l’attenzione sulla presenza di una tradizione fisiognomica nel mondo musulmano e sulla funzione che in questo contesto ebbe il trattato di Polemone (p. 239: “physiognomy does not seem to have had a distinct and definable existence in Islam before the translation of Polemon’s treatise”). Il legame con la tradizione greca e le particolari caratteristiche della fisiognomica nel mondo musulmano, i significativi ampliamenti e la maggiore estensione sono messi in evidenza, dettagliatamente descritti (“II. (i) Physiognomy before the Translation of Polemon; (ii) Physiognomy Based on Bodily Feature; (iii) Physiognomy Based on Bodily Expression and Movement; (iv) Physiognomy Based on Gender; (v) Physiognomy Based on Similarity to Animals; (vi) Physiognomy Based on Environment and Race; (vii) Physiognomy Based on Biology; (viii) Divine Physiognomy; (ix) Divinatory Physiognomy; (x) Physiognomy as an Islamic Science) e spiegati nelle loro connessioni e nel contesto sociale (” III. (i) Court Life; (ii) Religious Life”). La parte dedicata all’accettazione, peraltro graduale, della fisiognomica nel canone della scienza islamica, nel periodo in cui visse Avicenna, dà rilievo a un aspetto importante: il tentativo di dare un fondamento teorico alla scienza fisiognomica; nel mondo greco questo tentativo non è solo implicito (vd. p. 263), ma, si pu dire, ben evidente nelle sezioni programmatiche della Fisiognomica del Corpus Aristotelicum (vd. M. F. Ferrini, Aristotele Fisiognomica, Milano, Bompiani, 2007, p. 89 ss. e passim).
Antonella Ghersetti (cap. 6) integra efficacemente lo studio di Hoyland, soffermandosi sul posto occupato dalla fisiognomica all’interno della scienza islamica, e concentrandosi sul suo collegamento con la medicina, basata anch’essa sul metodo dell’inferenza. I continui confronti con la fisiognomica greca fanno emergere affinità e differenze significative. In collaborazione con Simon Swain è redatto l’articolo seguente (cap. 7) in cui sono proposti l’elenco e la descrizione dei manoscritti del Polemone arabo e dello Ps.-Polemone. L’elenco non pretende di essere esaustivo, come si precisa (p. 310, n. 6); tuttavia il confronto tra le fonti e le conclusioni che ne vengono tratte (p. 318 s.) costituiscono un notevole avanzamento dell’indagine filologica.
Sulla tradizione del Polemone arabo, sul valore del testo offerto dal MS Leiden Or. 198, sull’opportunità di rivedere le impostazioni di Georg Hoffmann, che realizz per Foerster l’edizione del Polemone arabo, torna Robert Hoyland (cap. 8) nell’introdurre la nuova edizione che egli propone, e che ha a fronte la prima traduzione inglese, corredata da note critiche ed esegetiche. L’edizione, non critica, e la traduzione in inglese del Polemone di Istanbul, curata da Antonella Ghersetti (cap. 9), è limitata invece alla parte introduttiva contenente la versione più completa di un celebre aneddoto documentato anche altrove: la storia è basata sull’incontro tra Zopiro e Socrate nelle fonti classiche. Ian Repath ripropone il testo greco di Adamanzio (cap. 10) e il testo dell’Anonimo latino (cap. 11), dati da Foerster (1893), discostandosene solo in qualche punto. A fronte è stampata la traduzione inglese dei due trattati, con note critiche ed esegetiche. L’autore premette ogni volta informazioni, e proprie valutazioni (vd. per es. p. 487 s.: “The Physiognomy of Ad. is essentially an abridgement of Polemon’s treatise”), sugli autori, sulle caratteristiche e sulla struttura delle loro opere, sulla tradizione manoscritta, e sul contributo che l’epitome di Madrid e lo Ps.-Polemone possono dare (p. 490: “Although Matr. and Ps.-Pol. do not expand our knowledge of ancient physiognomy, they contribute a great deal to correcting the text of Ad.”).
Il volume si conclude con il testo (di Foerster) e con la traduzione (di T. Loveday and E. S. Forster in J. Barnes, ed., Princeton 1984), della Fisiognomica pseudoaristotelica, nell’Appendix curata da Simon Swain, che introduce qualche modificazione sia rispetto al testo sia rispetto alla traduzione. L’autore solleva brevemente il problema del confronto tra il testo dato da Bekker (1831) e quello dato da Foerster (1893). Prendendo posizione nei confronti delle scelte operate da Sabine Vogt nel suo autorevole commento alla Fisiognomica del C. A. (1999), Swain sostiene la necessità degli interventi di Foerster. L’esame della tradizione manoscritta di questo trattato, che ho condotto e i cui risultati sono in parte confluiti in un mio articolo di prossima pubblicazione, sembrano invece suggerire una prudenza molto maggiore. L’edizione di Foerster ha avuto certamente il merito di richiamare l’attenzione sulla problematicità di molti passi; tuttavia si impone, per il futuro editore, una questione di metodo, riguardante prima di tutto l’utilizzazione di trattati molto più tardi per correggere, o integrare il testo della Fisiognomica del C. A., là dove esso sembra lacunoso.
Il volume, ricchissimo e ben documentato, unitario ed equilibrato nelle parti che lo compongono, è destinato a rimanere un punto di riferimento negli studi dedicati non solo a Polemone, ma anche alla diversificata storia della fisiognomica nel mondo greco-romano e islamico. L’attenta presentazione e valutazione delle versioni del testo di Polemone in varie lingue e culture, e della sua influenza, unitamente alle traduzioni in inglese di alcune di esse, costituiscono elementi di novità che si rivolgono sia agli specialisti sia a un pubblico più vasto.