Esce per il tipi delle Belles Lettres una monografia, scritta da Pierre Sineux, che va a investigare nella sua complessità l’eroe / dio Anfiarao e il suo culto.
Il libro è organizzato in sei capitoli, preceduti da un’introduzione e seguiti da una conclusione. Un indice generale e diciannove figure in bianco e nero completano l’opera.
Il primo capitolo, Querelles, prende in esame le fonti letterarie relative ad Anfiarao, a partire dalla famiglia dell’indovino (i Melampodidi), continuando con il conflitto tra Adrasto ed Anfiarao e con la partenza dell’eroe per la guerra contro Tebe. Speciale interesse viene riservato alla definizione di Anfiarao, come guerriero e mantis. Quest’ultimo aspetto, secondo Sineux (d’ora in poi abbreviato S.), non deriva solo necessariamente dalla sua appartenenza a una famiglia di indovini, ma deve essere messo in relazione a una capacità che gli viene conferita direttamente da Apollo. L’autore insiste sul problema degli oracoli di Anfiarao, che sembrerebbero iniziare già prima della spedizione di Tebe, e sarebbero da mettere in rapporto ad Apollo. S. afferma questo sulla scorta della testimonianza di un passo di Pausania (II, 13, 7) in cui il Periegeta ricorda un episodio non altrimenti attestato: si tratta della cosiddetta ‘notte di Fliunte’, durante la quale la capacità divinatoria di Anfiarao si esercitò per la prima volta, a seguito del riposo dell’eroe in un
S. passa all’analisi della figura di Erifile, includendo una disamina delle fonti iconografiche. Ritorna poi ad Anfiarao, analizzato in dettaglio negli episodi mitici che lo vedono coinvolto: la spedizione dei Sette a Tebe, la caccia al cinghiale calidonio, i giochi funebri in onore di Pelia e la conquista del vello d’oro. In questi episodi l’eroe appare come il difensore, all’interno della guerra, dei valori fondati sulla giustizia e sulla pietà.
Il secondo capitolo ( Le héros, le dieu) discute la problematica natura di Anfiarao, eroe o dio. L’autore parte ovviamente dall’ aition della divinizzazione di Anfiarao, ossia dalla scomparsa dell’indovino in terra tebana. Dopo la disamina delle fonti, S. analizza i documenti iconografici che descrivono l’episodio dell’inghiottimento del carro nel suolo, a partire dagli inizi del V sec. a.C. Diversi luoghi reclamano la sua scomparsa: lungo l’Ismeno, a Tebe; sul tragitto da Potnia a Tebe; ad Harma di Beozia (all’uscita da Tebe lungo la strada per Calcide), a cui si aggiungono le controversie tra Tebani e Tanagresi sul luogo della scomparsa del carro dell’indovino. S. sottolinea come l’insistenza sulla rivendicazione possa e debba essere letto come aition per lo stabilirsi del culto.
Il primo santuario oracolare di Anfiarao sarebbe stato a Cnopia, in Tebaide, e sarebbe stato perciò amministrato dai Tebani (come permette di evincere il racconto erodoteo — Hdt. I, 46— relativo alla consultazione di Creso), per poi essere spostato per ordine di oracoli a Oropos. S. si interroga sull’esistenza di altri santuari oracolari di Anfiarao in Grecia anteriori a quello oropio, e pensa all’anteriorità non fliasia, ma argiva e spartana, sebbene prudentemente scelga di non identificarli con certezza come santuari oracolari in assenza di dati dirimenti, archeologici ed epigrafici.
Cerca successivamente di ricostruire la la fondazione del culto a Oropos. Si allinea con la Bearzot3 nel proporne un’introduzione tra il 424 e il 414 a.C., data della prima rappresentazione di una commedia aristofanea basata sull’eroe. Una parte degli storici ha riconosciuto in questa fondazione una iniziativa tebana: S., sulla scorta di una rilettura delle fonti (specialmente vari passi di Tucidide) pensa che l’iniziativa sia stata piuttosto ateniese.4 Gli argomenti proposti dal S. riaprono la questione della ‘paternità’ dell’iniziativa: la scarna documentazione archeologica ed epigrafica, tuttavia, non permettono a nostro parere ancora di prendere una posizione conclusiva, ma le proposte di S. — suffragate pienamente dai molteplici culti di Anfiarao fioriti in Attica tra l’ultimo quarto del V e la prima metà del IV sec. a.C. — obbligano a una riconsiderazione del problema. Ciò che sembra importante rilevare è la lettura in senso politico del culto di Anfiarao tra Attica e Beozia, non sufficientemente enfatizzata nei precedenti studi.
S. continua ripercorrendo la storia del santuario di Oropos nel corso del IV sec. a.C., fatta di continui passaggi di influenza tra Atene e Tebe, e insistendo sul ruolo divino e non eroico della figura, sulla scorta dei criteri enunciati dalla Verbanck-Piérard:5 la designazione del beneficiario come
Assai stimolante è l’analisi dell’altare di Anfiarao ad Oropos: la coppia Hestia-Hermes viene letta come funzionale all’integrazione di Anfiarao nella sfera civica, essendo Hestia il culto civico per eccellenza, il fuoco sacro custodito nel cuore civile della città, ed Hermes, a sua volta, il dio delle transizioni, dei passaggi tra mondi, tra sonno e veglia, ma anche delle frontiere, pertanto anche della controversa frontiera su cui si imposta Oropos.
Nel terzo capitolo ( Le territoire et la frontière) l’autore sviluppa ulteriormente il tema dell’uso del culto di Anfiarao in chiave politica nel corso delle lotte tra Atene e Beozia per il possesso dell’Oropia, perduta da Atene nel 411 a.C. S. è il primo a rilevare come nelle Supplici di Euripide, rappresentate tra il 424 e il 420, sia Teseo ad avere il compito di sottolineare la grandezza di Anfiarao; anche alla luce di altre considerazioni, la tragedia potrebbe essere letta come un tentativo di insistenza sull’alleanza tra Argo e Atene. Come si è già detto, l’autore legge l’introduzione di Anfiarao a Oropos come di matrice attica, legata ai rapporti tra Atene ed Argo, e rivede tutto il IV sec. a.C. nel santuario alla luce delle diverse influenze attiche e beotiche. Di seguito, continua a recensire altre testimonianze del culto di Anfiarao in Attica, sulla scorta del dato epigrafico e delle testimonianze iconografiche: esamina i casi di Ramnunte, in cui non esclude un’introduzione del culto di Anfiarao verso la fine del V sec. a.C., in parallelo alla ridefinizione dei confini attici NE e all’installazione — attica a suo avviso — di Oropos. Esamina poi il culto di Anfiarao nell’agorà di Atene. Relega invece in nota i culti di Anfiarao epigraficamente attestati al Pireo e ad Acarne: essi avrebbero forse potuto trovare maggiore spazio nel testo, specialmente con una interpretazione in chiave politica.
Gli ultimi tre capitoli si concentrano piuttosto sull’analisi dei riti praticati nei santuari anfiarei. Il capitolo IV ( Faire venir le dieu à soi) esamina i digiuni, le astinenze, da alimenti e da bevande (secondo S. facendo eco a modalità di tipo pitagorico), i diversi usi dell’acqua (soffermandosi in particolare sui dispositivi connessi all’acqua nel santuario di Oropos), e i sacrifici necessari a propiziarsi il dio. L’autore dedica speciale attenzione alla divisione dell’altare tra le diverse divinità, senza escludere la possibilità che alcune delle figure divine menzionate da Pausania preesistessero all’impianto del culto di Anfiarao, secondo un uso documentato anche altrove, come a Lebena. Un paragrafo a sé merita la trattazione dell’ eparché : a partire dalla definizione della cifra, del problema delle due redazioni e completando l’analisi con confronti dall’area beotica, S. arriva a concludere che la somma non dovesse essere molto elevata.
Il capitolo V ( Incubation) tratta, appunto, del rito incubatorio. L’osservazione di partenza, sulla base dei confronti con gli Asklepieia, è che l’incubazione non sia collegata a una forma architettonica specifica, ma sia piuttosto definita da una relazione stretta con la sfera del sacro. Analizza gli spazi architettonici destinati a tale pratica, e si sofferma in particolare sulla stoa, per la quale identifica le due sale poste alle estremità come enkoimeteria, scartando decisamente l’ipotesi di hestiatorion.6 Esamina i sacrifici, in particolare quello dell’ariete, e le altre offerte, attestate archeologicamente ed epigraficamente, osservando l’assenza di iscrizioni che menzionano i sogni avvenuti nel santuario, a differenza di Epidauro.
Il capitolo VI ( Rêves, images et récits, oracles et guérisons) va infine a occuparsi dell’aspetto onirico del culto. Parte dalla descrizione di un quadro di Filostrato (Philostr. Im. I, 27, 3) in cui, nel santuario di Anfiarao, presso la porta dei sogni, sta Aletheia in compagnia di Oneiros, per invitare a rammentare la funzione oracolare prima ancora che mantica del santuario, fatto che spiegherebbe meglio la prossimità tra Anfiarao ed Apollo ribadita dalle fonti letterarie. S. ricorda i casi di consultazione di Anfiarao in senso oracolare: Iperide, Per Euxenippo 14, cita l’incubazione di Euxenippo, consultazione avvenuta per ragioni pubbliche di confini; un giudeo affrancato agli inizi del III sec. d.C. dedica una stele in cui è riportato l’atto di manumissione presso l’altare, su ordine di Anfiarao e Igea, avendo ricevuto un sogno. S. rimarca come la presenza di Igea accanto ad Anfiarao possa essere indizio di confusione di identità tra Asclepio e l’eroe di Oropos, e investiga i casi accertati della funzione guaritrice di quest’ultimo. Si sofferma in particolare sul celeberrimo rilievo di Archino, datato nella prima metà del IV sec. a.C., la cui scena è inquadrata da due occhi, interpretabili, secondo l’opinione condivisibile dell’autore, come un riferimento alla visione che il supplice ha avuto in sogno. S. considera quasi un ‘polittico’ il rilievo, di eccezionale valore e per la sequenza terapeutica che descrive e per la conferma che, già nel IV sec. a.C., Asclepio e Anfiarao sono identici iconograficamente e funzionalmente, e rimangono differenti esclusivamente nel nome. Ad avviso di S., le prerogative salutari di Anfiarao inizierebbero solo con la fondazione di Oropos, e sarebbero un arricchimento funzionale alle necessità ateniesi del momento. Il culto di Anfiarao segue i passi di quello di Asclepio, non solo nell’iconografia ma soprattutto nelle modalità cultuali e negli apprestamenti idrico-architettonici.
Nelle conclusioni S. rimarca la politicità del culto di Anfiarao, il cui santuario oropio sarebbe funzionale alla definizione della dimensione territoriale di Atene, insieme a Capo Sunio, Eleusi, Brauron e il Falero. Di fatto, arriva a riconoscere a un culto salutare caratteristiche non solo individuali, ma pubbliche e politiche, almeno in un certo momento della sua esistenza. Ciò nulla toglie alla funzione precipuamente guaritrice dell’eroe, che lo rende una sorta di avatar di Asclepio.
Va sottolineato che si tratta del primo lavoro dedicato interamente ad Anfiarao. Esso va così a colmare una lacuna bibliografica importante. Dal punto di vista metodologico, l’autore prova ad analizzare tutte le evidenze documentarie, sebbene privilegi le fonti letterarie ed epigrafiche (a questo riguardo parla anche la qualità non eccelsa delle immagini dei documenti archeologici e la scelta di non riconsiderare le strutture architettoniche del santuario oropio in dettaglio). Crediamo che il risultato più innovativo sia la lettura in senso politico del santuario oropio, che rappresenta uno stimolante inizio per nuovi studi di figure eroiche. S. apre inoltre la strada verso una contestualizzazione in senso politico delle epigrafi sapientemente edite da Petrakos,7 soprattutto dei decreti e delle dediche, che contribuiranno a farci comprendere meglio le dinamiche attico-beotiche nel corso del primo secolo di vita del santuario. Rimane pertanto un volume da salutare con gratitudine perché ha mostrato come si possa contribuire alla ricostruzione di un contesto storico-religioso attraverso l’indagine di una delle molte divinità minori della salute, troppo spesso e troppo a lungo negletti a favore di Asclepio.
Notes
1. Sui rapporti politici tra Argo e Fliunte vedi G. J. Lolos, Studies in Topography of Sikyonia, PhD Thesis, UC Berkeley, 1998 e Idem, ‘The sanctuary of Titane and the city of Sikyon’, in ABSA 100, 2005, pp. 276-298.
2. Cfr. D. Musti – M. Torelli, (a cura di), Pausania. Guida della Grecia. La Corinzia e l’Argolide, Milano 1986, p. 201 per un quadro dell’area cultuale.
3. C. Bearzot, ‘Problemi del confine attico-beotico: la rivendicazione tebana di Oropòs’, in M. Sordi (a cura di), Il confine nel mondo classico, Milano 1987, pp. 80-100.
4. Oltre alla Bearzot, citata alla nota 3, cfr. anche R. Parker, Athenian Religion. A History, Oxford 1996, p. 149; M. Visser, ‘Worship your enemy: aspects of the cult of Heroes in ancient Greece’, in HThR 75, 1982, pp. 403-428, e chi scrive, ‘Eroi salutari della Grecia continentale tra istanze politiche ed universali’, in AnnIstOrNapoli 2005, pp. 163-196, che rivedrà la questione in un prossimo contributo alla luce delle importanti riconsiderazioni di Sineux.
5. A. Verbanck-Piérard, ‘Les héros guérisseurs: des dieux comme les autres!’, in V. Pirenne Delforge – E. Suarez de la Torre (a cura di), Héros et héroïnes dans les mythes et les cultes grecs, Actes du colloque organisé à l’Université de Valladolid du 26 au 29 mai 1999, Lièges 2000, pp. 281- 332.
6. Per conclusioni simili relativamente al tempio di Asclepio e al cd. tetragonos ktirio di Alipheira si veda M. Melfi [con S. Alevridis], ‘New archaeological and topographical observations on the Sanctuary of Asklepios in Alipheira (Arcadia)’ in E. Østby (a cura di), Ancient Arcadia. Papers from the Third International Seminar on Ancient Arcadia, Held at the Norwegian Institute at Athens, 7-10 May 2002, Athens 2005, pp. 273-284.
7. B. Petrakos,