Negli ultimi tempi il confronto tra gli antichisti italiani e croati ha dato luogo a numerose iniziative comuni, l’ultima delle quali è rappresentata dal volume qui esaminato in cui gli studiosi delle due sponde hanno affrontato alcuni temi che potessero risultare di comune interesse: “non sono una novità le strettissime relazioni tra alto e medio Adriatico, in particolare con la Dalmazia costiera che ebbe come uno dei suoi centri prima l’antica Narona, quindi Salona e poi l’attuale Spalato.” Così si esprime Maurizio Buora, curatore del volume, nella breve pagina di premessa al volume (p.9).
Arnaldo Marcone, nella relazione introduttiva al convegno (pp. 11-16), pone bene in luce come ogni discorso che riguardi la storia antica di questi territori, pur tenendo presenti fattori di lunga durata come quelli messi in evidenza da Fernand Braudel (secondo il quale l’Adriatico è, tra i mari del Mediterraneo, il più coerente in quanto riassume al suo interno tutti i problemi), non debba sottovalutare gli elementi di rottura, trasformazione e accelerazione dei processi economici, politici e militari determinati dalla proiezione di Roma verso l’Adriatico, volti a promuovere l’organizzazione e l’evoluzione del sistema portuale in quella zona.
Gli interventi veri e propri si aprono con la comunicazione di Gianfranco Paci (“Narona: le iscrizioni delle mura e la storia della città sul finire dell’età repubblicana”, pp. 17-34) a cui si deve l’analisi di quattro epigrafi di Narona (odierna Vid, in Dalmazia) e di tre epigrafi di Lissus (odierna Lezhë, in Albania), che si riferiscono alla costruzione delle mura di questi due centri: la serie di Narona, a parere dell’autore, dovrebbe precedere di qualche anno, o forse di parecchi, la serie di Lissus collocabile cronologicamente tra gli ultimi anni della vita di Cesare e il 24 a.C. a causa della menzione di C. Iulius Meges liberto di Cesare o forse di Ottaviano.
La relazione di Paolo Liverani (“Narona: la distruzione dell’augusteo”, pp. 35-50) si riferisce ad una delle più straordinarie scoperte recenti dell’archeologia dalmata, l’Augusteum di Narona con il suo eccezionale corredo scultoreo costituito da statue-ritratto degli imperatori e dei loro congiunti da Augusto a Vespasiano. In particolare lo studioso affronta il problema della distruzione violenta del complesso avvenuta negli ultimi anni del IV secolo d.C. e di poco posteriore a quella dell’Augusteum di Eretria, nell’isola di Eubea, la quale sarebbe stata determinata a suo parere dalle tensioni create nella prefettura dell’Illirico (in cui erano comprese tanto Narona quanto Eretria) dalla presenza destabilizzante di foederati di stirpe gotica, l’episodio più noto delle quali è la strage di Thessalonica del 390 d.C.
Ante Rendic Miocevic (“Tracce del culto imperiale nel retroterra dell’Adriatico orientale: esempi dalla Croazia centrale e nordoccidentale”, pp. 51-80) riesamina in modo sistematico un complesso di monumenti onorari, soprattutto epigrafici, che provengono da un territorio molto vasto, corrispondente all’altopiano giapidico della Lika e alla regione saviana compresa tra Siscia (odierna Sisak) e Andautonia (odierna Scitarjevo, a sud-est di Zagabria) e si riferiscono ad Augusto, Traiano, Adriano, Marco Aurelio, Settimio Severo, Caracalla, Plautilla, Gordiano III, Decio, Erennia Etruscilla, Floriano e Diocleziano.
L’ambito del sacro è oggetto dell’interessante contributo di Franca Maselli Scotti (Presenze di culto mitraico nell’alto Adriatico, pp. 81-106), la quale compie una ricognizione complessiva delle attestazioni di culto mitraico presenti lungo l’intero arco dell’alto Adriatico, da Monastero di Aquileia a San Giovanni del Timavo, da Trieste al castelliere di Elleri, da Parenzo a Pola. L’espansione di questo culto nella regione considerata si evidenzierebbe a partire dal II secolo d.C., nei materiali scultorei, epigrafici, ceramici e monetali. Difficile è, invece, determinare la scomparsa di tale religione, in cui va distinto il culto pubblico, più suscettibile di interferenze politiche, da quello privato; infatti, mentre per Aquileia non ci sono elementi sicuramente riferibili alla distruzione di un mitreo, essi sono ravvisabili nel mitreo del Timavo, intorno alla metà del V secolo d.C. e in quello di Elleri, dove la presenza di una moneta di Magnenzio nella struttura fornisce un importante terminus post quem. Quanto alla sfera privata, la studiosa fa infine notare che ad Aquileia indizio del permanere del mitraismo in quest’ambito sono tre lucerne con la raffigurazione del corax rinvenute nelle botteghe della zona orientale del foro, distrutte probabilmente nella metà del V secolo d.C.
Monika Verzar-Bas (Rapporto tra Aquileia e Salona, pp. 107-133) offre un’ampia sintesi di quella che lei definisce una “koiné” adriatica, della quale individua tre principali articolazioni: a) quella pubblica, cui sono pertinenti opere urbanistiche e architettoniche di varia natura, tra le quali monumenti ornati da clipei con protomi divine o da plutei con rappresentazioni di Giove Ammone, Medusa e Dioniso; b) quella religiosa, concernente in particolare, oltre al culto imperiale, la venerazione della Magna Mater e di Venus Anzotica; c) quella privata, di cui vengono sottoposte a nuovo esame le tipologie funerarie della cd. “cesta di vimini”, del cippo “liburnico”, dell’altare decorato con fregio vegetale, della stele ad edicola con mezze figure, della stele a falsa porta e della stele ellenistica a vari piani.
Il tema delle ambre di Aquileia e Spalato è trattato da Elisabetta Gagetti (“locum in deliciis … sucina optinent. Le ambre di Aquileia e Spalato”, pp. 135-161) la quale divide i manufatti ricavati da questo prezioso materiale in quattro categorie o classi: 1) crepundia infantili, vale a dire piccoli oggetti variamente configurati, destinati alla sospensione; 2) strumenti per la filatura della lana; 3) anelli ricavati da un ciottolo d’ambra; 4) statuette a tutto tondo.
Appartiene sempre al campo delle arti suntuarie la comunicazione di Zrinka Buljevíc (“Novità sul vetro soffiato a stampo della Dalmazia con alcuni paralleli italici”, pp. 163-184; completa i dati contenuti in questa relazione una breve nota di Maurizio Buora, pertinente ad alcuni esemplari di bottiglie di L. Aemilius Blasius, pp. 205-209) che offre una sorta di “prosopographia della produzione” dei vetri a stampo lungo la costa dalmata, nel periodo compreso tra I e III secolo d.C., approfondendo soprattutto l’analisi di due tipologie di balsamari: i balsamari a forma di dattero (pp. 169-172) e i balsamari bicefalomorfi (pp. 173-174).
Luciana Mandruzzato (“Ennion e Aquileia”, pp. 185-195) e Alessandra Mercante (“Nota introduttiva allo studio dei calici altomedievali conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia”, pp. 197-203) anticipano i risultati di nuove indagini condotte su esemplari inediti venuti alla luce negli scavi condotti ad Aquileia, la prima sottolineando il significativo ruolo di Aquileia nella diffusione dei prodotti dell’officina ceramica di Ennion, la seconda ripartendo in due categorie tipologiche i frammenti vitrei di bicchieri aquileiesi databili fra la seconda metà del V secolo d.C. e i secoli centrali del Medioevo: 1) il bicchiere a calice Isings 111; 2) il bicchiere a calice tipo Poggibonsi E1.
Concludono i contributi di questa giornata di studi le relazioni di Sanja Ivcevic (“Le fibule salonitane del primo periodo della romanizzazione”, pp. 211-238) e Maurizio Buora (“Fibule dal territorio di Aquileia e dall’area di Salona dal I sec. a.C. al IV d.C. Un confronto”, pp. 239-259) che affrontano il tema della produzione e circolazione adriatica e balcanica di numerosi esemplari di fibule di classi diverse. La vastità e la complessità della documentazione presentata sottolineano una volta di più il forte spessore storico-economico e storico-sociale di queste indagini parallele, che rendono conto sistematicamente dei centri di produzione e di quelli d’irradiazione e recezione dei manufatti (in questo caso le fibule), nonché della condizione sociale dei loro proprietari.
Gino Bandelli con la solita acribia e chiarezza, tira le somme di un convegno che, per l’area geografica interessata e per le tematiche affrontate (gli esiti dei contatti culturali, artistici ed economici nell’Adriatico nordorientale) appare di fondamentale importanza per chiunque intenda compiere un’indagine su Aquileia e Spalato in epoca romana.