In questo libro Antonio Aloni riprende e sviluppa decenni di riflessione e di analisi sull’epica greca, di cui rendono testimonianza una serie di studi già pubblicati sia in rivista sia in volume.1 Ma oltre a compendiare i risultati di ricerche precedenti, Aloni avanza qui anche nuove ipotesi sui modi, i luoghi e i contesti in cui i poemi omerici hanno assunto la forma in cui oggi li conosciamo. Il libro si articola in una serie di brevi capitoli che hanno come filo conduttore, dapprima, il ruolo della città di Pilo e della famiglia dei Neleidi nell’ Iliade e nell’ Odissea. Quindi, attraverso la linea genealogica che riconnette i Neleidi ai Pisistratidi, l’attenzione si sposta sul ruolo che i tiranni di Atene hanno svolto nella registrazione e nella trasmissione dell’epos omerico. Le performance rapsodiche nelle Panatenee di epoca pisistratide vengono individuate, sulla scorta di ben note ma forse non sempre opportunamente valorizzate testimonianze antiche,2 come lo snodo cruciale, a cavallo tra oralità e scrittura, nella tradizione della poesia epica. D’altra parte il Sigeo, avamposto ateniese nella Troade, nonché possesso quasi privato della famiglia dei Pisistratidi, viene indicato come il luogo di una fondamentale rielaborazione dei temi e delle storie del patrimonio epico omerico.
Il libro si articola in quattordici brevi capitoli, completati da una Bibliografia, un “Indice dei nomi dei luoghi e delle opere” e un “Indice dei passi citati e delle testimonianze”. I capitoli 1-8 ricostruiscono il profilo della città di Pilo e dei Neleidi nelle tradizioni connesse ai poemi omerici, a partire dalle diverse localizzazioni proposte già nell’antichità per la città di Nestore. Il ruolo tutt’altro che marginale svolto da Nestore e dai Neleidi non solo nell’ Iliade ma anche nell’ Odissea è evidente a ciascun lettore di Omero e, tuttavia, non sempre adeguatamente sottolineato e indagato nelle sue implicazioni. Secondo Aloni tali implicazioni sono tanto profonde da non potersi escludere che “una delle ragioni della struttura complessa dell’ Odissea, e forse anche del suo fascino letterario, dipendano proprio dalla volontà del cantore di dare spazio anche nell’ Odissea alla memoria di Pilo, ma soprattutto a Nestore e ai suoi figli” (p. 26). L’ipotesi di Aloni è che il ricordo di Nestore sia diffuso nei poemi “in modo non casuale”, rispondendo a un “preciso disegno relativo al poema e ai suoi destinatari” (p. 77). In effetti l’elogio pressoché incondizionato di Nestore e della sua saggezza che pervade l’ Iliade, ma soprattutto l’ampio spazio riservato alla sua famiglia nell’ Odissea, sembrano indicare un’attenzione non occasionale del cantore (o dei cantori) dei poemi omerici per la famiglia dei Neleidi. Nelle due epopee, ai Neleidi viene riservato uno spazio quantitativamente e qualitativamente superiore rispetto a quello di altre stirpi eroiche non direttamente implicate nella trama. Vi fu un momento, argomenta Aloni, in cui le tradizioni peloponnesiache relative a Pilo si integrarono con l’epopea troiana di origine ionico-microasiatica. L’insieme degli indizi raccolti da Aloni porta in direzione di un momento e di un luogo geografico ben determinato: il Sigeo, possesso ateniese in Troade a partire dal VI secolo, ma soprattutto territorio profondamente legato al genos Pisistratide, tanto da diventare la terra d’esilio di Ippia dopo il rovesciamento del regime dei tiranni.
I capitoli 9-13 sono dedicati ad approfondire e a motivare questa ipotesi. Gli ateniesi vantavano di possedere il Sigeo come bottino conquistato nella guerra di Troia (cfr. Aesch. Eum. 397-402, in versi che, secondo Aloni, potrebbero conservare memoria del ritorno del Sigeo al dominio diretto degli ateniesi, dopo la fine delle guerre persiane): qui le tradizioni epiche relative all’impresa troiana sarebbero state riformulate in una maniera che enfatizzava il ruolo dei Neleidi, antenati dei Pisistratidi. Complesse relazioni genealogiche legano infatti i Neleidi ai clan aristocratici ateniesi e in particolare ai Pisistratidi. Un celebre passo di Erodoto (5, 65) ricorda che i Pisistratidi “erano orginariamente di Pilo e discendenti di Neleo” e che lo stesso tiranno ateniese avrebbe tratto il suo nome da un “Pisistrato figlio di Nestore”. Ma Aloni richiama opportunamente l’attenzione sulle discrepanze tra alcune testimonianze, che sono assai più significative delle analogie: tra i figli di Nestore, infatti, Esiodo (fr. 35, 10-13 Merkelbach-West) non cita affatto un Pisistrato; un figlio di Nestore con questo nome lo ritroviamo invece, tra le testimonianze a noi note, solo nell’ Odissea (3, 415), con una menzione che occupa lo spazio di un intero verso. Un’incongruenza, osserva Aloni (p. 74), “in generale trascurata” ma probabilmente significativa di un diverso orientamento della tradizione esiodea rispetto all’epica omerica.
Del resto, il ruolo dei Pisistratidi nella trasmissione dell’epos omerico appare incontrovertibile. Allo stesso Aloni dobbiamo ricerche approfondite e originali sulla politica culturale dei Pisistratidi, sul loro ruolo nella riforma delle recitazioni rapsodiche alla Panatenee e nella fissazione per iscritto del testo omerico.3 Anche in questo libro Aloni analizza da un lato la testimonianza dell’ Ipparco pseudo-platonico (228 b-c) sulle recitazioni “in sequenza” dei poemi omerici imposte dai tiranni durante le Panatenee; e dall’altro ricorda l’uso politico della scrittura nell’Atene dei Pisistratidi, testimoniato sia dai detti incisi sulle cosiddette Erme di Ipparco sia da iscrizioni come quella che Pisistrato il Giovane fece incidere nel Pizio in ricordo del suo arcontato (un distico elegiaco: IG I 3 948=CEG 305). Sulla base di queste riflessioni, Aloni conclude ancora una volta, come già aveva fatto nei suoi studi precedenti, a favore di una trascrizione pisistratide dei poemi (o, quantomeno, dell’ Iliade) come momento aurorale della trasmissione scritta del testo omerico. Ma in questo libro l’autore rivede alcune sue tesi degli anni scorsi e privilegia il Sigeo, piuttosto che le performance festive della madrepatria ateniese, come luogo di una riformulazione cruciale dei contenuti del canto. Ed è indubbio che il Sigeo, strategicamente, per così dire, collocato presso lo Scamandro, dovette essere, negli anni a cavallo tra il VI e il V secolo avanti Cristo, un luogo cruciale. Oltre a Ippia, infatti, tra gli esuli del Sigeo ritroviamo i nomi di alcuni protagonisti della politica culturale dei tiranni: Onomacrito, e forse anche Cineto, il rapsodo a cui la tradizione attribuiva l’Inno ad Apollo e che potrebbe avere svolto un ruolo rilevante nella redazione definitiva dei poemi omerici.4 E forse non sarà un caso neppure che, come ricorda Aloni, proprio nell’ Inno omerico ad Apollo il viaggio dei marinai cretesi destinati ad accompagnare il dio verso Delfi fosse indirizzato dapprima verso “la sabbiosa Pilo e gli uomini della stirpe pilia” (v. 397).
Aloni si muove sulla scorta di una lunga consuetudine col testo omerico. Il merito principale del suo libro è forse quello di ricostruire alcuni momenti fondamentali nella tradizione del testo omerico non sulla base di paradigmi astratti, di sociologismi o antropologismi di maniera, ma con uno sforzo di comprensione storica integrale, che leghi la tradizione poetica ai contesti concreti del suo farsi e del suo manifestarsi. A partire innanzitutto dai luoghi geografici: Pilo, Atene, il Sigeo. Resta questa, tutto sommato, la maniera migliore e più corretta in cui porre i termini della questione omerica: la via più rispettosa della vivace realtà storica dell’epos greco, nella concretezza della sua relazione con precisi uditori e con contesti storicamente e geograficamente determinati. In questo tipo di approccio, i vantaggi che ne derivano per la nostra comprensione del testo omerico sono di gran lunga superiori ai limiti in cui fatalmente si incorre, collegati soprattutto alla lacunosità della documentazione che non sempre permette una ricostruzione precisa dei contesti di riferimento.
Il libro si conclude (capitolo 14) con un’affascinante “ipotesi conclusiva” che, pur nel suo carattere di raffinato esercizio letterario, trae linfa proprio da questa concretezza di riferimenti storici che anima tutto il libro. L’ipotesi riguarda la Mnesterefonia, la cui connessione con il complesso dell’ Odissea è talvolta apparsa problematica agli interpreti di Omero. Non è forse possibile, si chiede Aloni, che questa grandiosa celebrazione della vendetta, questa minuta e compiaciuta descrizione di una sanguinosa rivalsa su un gruppo di usurpatori abbia preso forma in un piccolo gruppo di esiliati, tra uomini pieni di risentimento, ansiosi di riconquistare la propria città con le armi, quali erano i seguaci di Pisistrato radunati al Sigeo?
In virtù di queste suggestioni originali, e della sintetica concretezza con cui delinea le fasi originarie della storia del testo omerico, Da Pilo a Sigeo rappresenta, in conclusione, un punto di riferimento obbligato per chi d’ora in poi vorrà affrontare la questione omerica.
Notes
1. Bisognerà ricordare almeno Tradizioni arcaiche della Troade e composizione dell’Iliade, Milano 1986; L’aedo e i tiranni. Ricerche sull’Inno omerico ad Apollo, Roma 1989; Cantare glorie di eroi, Torino 1998.
2. A distanza di quasi trent’anni restano rilevanti in merito le pagine dedicate da M.S. Jensen, The Homeric Question and the Oral-Formulaic Theory, Copenhagen 1980, pp. 128 ss., alla “Pisistratean recension” dei poemi omerici.
3. Osservazioni importanti erano contenute già in L’intelligenza di Ipparco. Osservazioni sulla politica culturale dei Pisistratidi, “Quaderni di Storia” 19 (1984), pp. 109-148.
4. Si veda ancora M.S. Jensen, The Homeric Question cit., pp. 136-146.