BMCR 2008.01.17

Nomenclator metricus graecus et latinus. Vol. I: A-Delta. ALPHA-OMEGA, Reihe A, Bd. CCXVIII.1

, , Nomenclator metricus graecus et latinus. Alpha-Omega. Reihe A, Lexika, Indizes, Konkordanzen zur klassischen Philologie, 218. Hildesheim: Olms-Weidmann, 2006-. volumes 1 ; 30 cm.. ISBN 348713215X. €118.00.

Nel 1929 vedeva la luce ad Heidelberg il Nomenclator metricus di Otto Schroeder; un libro di appena 47 pagine dedicate, come recita il sottotitolo, alla ‘alphabetisch geordnete Terminologie der griechischen Verswissenschaft’. Lo scopo che si prefiggeva l’opuscolo era quello di liberare ogni successivo manuale di metrica greca dall’onere (definito propriamente Ballast, ‘zavorra’, p. 5) di spiegare la terminologia in uso; da un lato il proposito si rivelò fallimentare perché diversi manuali anche recenti contengono un glossario, dall’altro era ambizioso l’obiettivo di eliminare il dibattito -sempre vivace- sull’uso dei termini tecnici antichi e moderni.

Di tutt’altro genere sono le intenzioni del primo volume di un’opera che riprende solo nel titolo il modello di Otto Schroeder, il Nomenclator metricus graecus et latinus curato da Giuseppe Morelli. Come puntualmente si annota nella ‘Premessa’, questo nomenclator è ‘un indice sistematico dei termini tecnici impiegati in ambito metrico dalle fonti antiche, greche e latine, illustrati attraverso le testimonianze superstiti’ (p. V). Si tratta, è evidente, di un progetto particolarmente gravoso che il curatore, con i suoi collaboratori (L. Cristante, P. d’Alessandro, S. di Brazzano, M. Elice, P. Scattolin e R. Schievenin) hanno assunto, per la realizzazione del primo volume che qui si recensisce, insieme ad altri sette studiosi (E. Cerbo, D. Corazza, B. Moretto, L. Munzi, C. Pettenà, F. Romanini e A. Tessier), per un totale di quattordici nomenclatori. Sono ancora le parole della ‘Premessa’ a chiarire l’entità e l’organizzazione dell’opera: il nomenclator è distribuito in due sezioni contenenti l’una i termini greci (con gli equivalenti latini) l’altra i termini relativi alla sola tradizione latina. Per ciascuna voce o per ciascuna suddivisione delle voci più complesse sono riportate in ordine cronologico le attestazioni greche e, separate da esse, quelle latine. Sembra il caso di notare en passant che è giocoforza in un’opera così articolata stabilire dei criteri per l’ordinamento dei dati, criteri che potrebbero lasciare inesausto qualche desideratum forse eccessivo: solo per fare un esempio, sarebbe stato interessante disporre le attestazioni in ordine cronologico indipendentemente dalla lingua in cui sono espresse, lasciando al lettore l’opportunità di cogliere l’evoluzione e l’intreccio di diverse componenti all’interno della tradizione grammaticale. Tuttavia, trattandosi di opere la cui datazione non è in molti casi assegnabile ad uno specifico livello, l’ordine che ne sarebbe scaturito avrebbe creato più dubbi che chiarezza.

Per tornare all’organizzazione dell’opera, il volume appena uscito è il primo della prima sezione, quella greca; esso contiene i termini che vanno da ἀγωγή fino a δωρικὸς στίχος; ad esso dovrebbero seguire i volumi che completano la sezione greca e realizzano per intero quella latina. La ‘Premessa’ non scende in dettagli ulteriori, per cui solo per esperienza diretta si capisce che le voci legate ai metra prototypa sono tutte distinte da lemmi diversi (dimetro, trimetro, tetrametro, variamente combinati con acataletto, catalettico, brachicataletto, ipercataletto etc.), mentre quelle legate ad un nome di poeta sono organizzate sotto un unico lemma; mi riferisco alle voci ἀλκαικὰ μέτρα, ἀλκμανικὰ μέτρα, ἀρχιλόχεια μέτρα per esempio.

Con estrema cautela il curatore avverte ‘che l’opera non presume affatto di essere esaustiva né per quanto riguarda i lemmi considerati, né per quanto riguarda il materiale registrato sotto ciascun lemma’ (p. V). Questo risulta comprensibile specie per certi termini di larghissimo uso in cui la completezza comporta una mole notevole di materiale; tale completezza così faticosamente raggiunta si rivelerebbe alla fine di dubbia utilità. Bene hanno fatto quindi i nomenclatori a ‘fornire soltanto un’ampia campionatura’ (p. VI).

Fin qui le intenzioni dichiarate dal curatore, le norme-guida tenute in conto da tutti quelli che vi han posto mano. È il caso di porsi ora dalla parte del lettore interessato. Ci si chiede quindi: esisteva nulla di simile? Quest’opera costituisce un progresso nella disciplina o solo uno strumento di lavoro? In che rapporto è da porre il nomenclator coi glossari che si trovano nei manuali di metrica, veri discendenti dell’opuscolo di Schroeder? Da queste domande non può che scaturire un’impressione ottima dell’impresa. Innanzitutto va detto che un nomenclator del genere non esisteva; ciò non significa che aver colmato tale lacuna sia automaticamente un dato positivo, è piuttosto un valore aggiunto rispetto all’innegabile utilità di avere a portata di mano quelle fonti antiche che, sparse in opere diversissime tra loro, ci permettono di capire come gli antichi organizzarono la disciplina metrica. L’interesse che muove il lettore può essere quindi duplice: da un lato, allo studioso dei grammatici antichi il nomenclator offre la possibilità di seguire il diffondersi e l’evolversi di certe dottrine su termini specifici; dall’altro, il nomenclator mette a disposizione del metricista esegeta di oggi quelle categorie con le quali gli studiosi antichi hanno definito e pensato la versificazione. In che rapporto sia poi questo sistema con la prassi poetica antica è un altro problema. Il fare poetico non presuppone, almeno fino ad una certa data, un’elaborata teoria metrico-grammaticale; questa infatti è sorta per descrivere al meglio e nel dettaglio la versificazione dei poeti, in concomitanza con la produzione di quelle antiche edizioni che diedero l’avvio alla tradizione.1 Non si tratta tuttavia di qualcosa di totalmente artificioso ed infondato. È noto infatti che la circolazione di esemplari con notazioni musicali di alcuni testi può aver costituito un significativo supporto per il κωλίζειν dei filologi alessandrini e quindi anche la concomitante formazione di un’esegesi metrica.2

Queste caratteristiche rendono del tutto inopportuno l’accostamento ai glossari pubblicati in appendice ai manuali (non solo per completezza ed esaustività), i quali in maniera autoreferenziale spiegano il significato dei singoli termini tecnici usati nella trattazione, offrendo uno spaccato sul sistema teorico seguito; diversamente accade in quelle metriche che preferiscono attenersi all’impianto teorico degli antichi,3 quello stesso impianto che interagisce attraverso un complesso scambio con la creazione delle antiche edizioni della poesia, quello che cioè ha raccolto una tradizione, l’ha bene o male elaborata e l’ha trasmessa ai nostri giorni, in certi casi con una coesione evidente e significativa, lungo le varie tappe della trasmissione del testo.4 Il nomenclator costituisce il perfetto complemento di una metrica che si ponga nell’ottica or ora descritta, che è l’unica rispettosa della trasmissione concreta del testo. Sia detto ancora una volta che il non tener conto della colometria dei manoscritti nella costituzione del testo poetico significa rinunciare ad un elemento della tradizione che non si vede perché dovrebbe ricevere da parte dei moderni un trattamento diverso dal nudo testo verbale. Si tratta di accantonare un lavoro risalente ai filologi antichi, che avevano ereditato dalle generazioni precedenti materiale, poi elaborato secondo una sensibilità versificatoria, che si riflette in buona parte della tradizione grammaticale che riempie le pagine del nomenclator.

L’assenza di commento o brevi spiegazioni delle singole voci o di quelle più significative non è motivo di detrimento alcuno per il nomenclator, che anzi, proprio per questo, si presenta oggi come strumento indispensabile per il moderno studioso di metrica greca.

Segnalo in coda alcune rare mancanze che risultano ad un semplice confronto che ho condotto con l’ index metrico degli Scholia metrica vetera in Pindari carmina, edidit A. Tessier, Leipzig 1989. Non si trova traccia nel nomenclator dell’ ἀντίσπαστος πεντάσημος dell’ Olimpica 14. Crea qualche difficoltà l’assenza di un rinvio che permetta di ritrovare l’ ἀλκμαιώνειον δεκασύλλαβον tra gli ἀλκμανικὰ μέτρα.

Mi chiedo da ultimo se non avrebbe potuto trovar posto nel nomenclator l’avverbio διαφόρως in Schol. in Aristoph. Equ. 1264a, p. 258 Jones-Wilson, che in apparenza possiede un valore del tutto generico, ma che nei fatti qualifica la responsione più che come una regola che impone dei vincoli (per cui la violazione è detta responsione libera) o detta la perfezione (responsione impura) come qualcosa che può avvenire anche in maniera differente. Sulla stessa linea sembrano essere lo schol. in Aristoph. Nub. 949a, p. 183 Holwerda ( περίοδος τοῦ χοροῦ ἔχουσα μὲν ἀντίστροφον, ἐν διεχείᾳ δέ, διαφόρως κεκωλισμένην) e forse anche lo schol. in Aristoph. Pac. 939a, p. 142 Holwerda, dove si legge φέρεται ὡς διάφορον riferito a questioni di responsione in presenza di una situazione testuale piuttosto complicata.

Notes

1. Cfr. R. Pretagostini, ‘Le teorie metrico-ritmiche degli antichi. Metrica e ritmo musicale’, in G. Cambiano-L. Canfora-D. Lanza, Lo spazio letterario della Grecia antica I La produzione e la circolazione del testo Tomo II L’ellenismo, Roma 1993, pp. 369-391.

2. Su cui cfr. da ultimo L. Lomiento, rec. a L. Prauscello, Singing Alexandria. Music Between Practice and Textual Transmission, Leiden 2006 comparsa su BMCR 2007.04.57.

3. Uno per tutti B. Gentili-L. Lomiento, Metrica e ritmica. Storia delle forme poetiche nella Grecia antica, Milano 2003.

4. Sull’importanza delle antiche edizioni per la metrica C. Questa, Numeri innumeri. Ricerche sui cantica e la tradizione manoscritta di Plauto, Roma 1984, pp. 23-129; La colometria antica dei testi poetici greci, a cura di B. Gentili e F. Perusino, Pisa-Roma 1999.