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Il presente volume pubblica i risultati di un seminario dal titolo “Exile and Exiles” tenuto al Corpus Christi College di Oxford nel 2001, dal quale hanno preso sviluppo sei dei contributi qui presentati: il tema dell’esilio ha costituito negli ultimi decenni un fecondo campo di studi, che si arricchisce ora, oltre che per il presente volume collettivo, anche per la recente uscita di un saggio di taglio storico di Gordon P. Kelly, A History of Exile in the Roman Republic, Cambridge 2006, pp. 260 (recensito piuttosto favorevolmente da Cristina Rosillo López su questa stessa rivista: Bryn Mawr Classical Review 2007.03.27), che fornisce gli strumenti anche prosopografici per capire l’incidenza del fenomeno dell’esilio a vari livelli nella Roma repubblicana.
Il primo capitolo “The Discourse of Displacement in Greco-Roman Antiquity”, pp. 1-20, è dedicato dal curatore dell’opera Jan Felix Gaertner (G.) ad offrire una panoramica generale del problema affrontato nel volume, partendo da una disamina della ricca bibliografia critica sul tema dell’esilio nel mondo classico ed in particolare a Roma, seguita da una discussione su come interpretare precisamente il termine esilio; naturalmente si focalizza soprattutto sui saggi più ampi sul tema, che hanno visto la luce recentemente, vale a dire i volumi di Doblhofer ( Exil und Emigration, Wien 1987) e di Claassen ( Displaced Persons, London 1999), che sono sottoposti ad un vaglio critico piuttosto riduttivo, mettendone in luce soprattutto i limiti interpretativi. Devo dire che personalmente il volume di Doblhofer mi è sempre sembrato un valido contributo all’analisi del tema dell’esilio, per molti aspetti ‘pioneristico’, il cui punto più debole può essere effettivamente costituito da confronti troppo insistiti con la condizione degli esuli moderni durante il nazismo. Ma una volta che sia chiaro per i lettori il punto di vista da cui si parte nella disamina del motivo della lontananza dalla patria, sia essa da definire exile o displacement, il tema rimane sempre e comunque difficile da delimitare: certo ha ragione G. a sottolineare che la letteratura dell’esilio non è, e non voleva essere, ‘un genere letterario’, ma poi nella pratica dell’analisi dei fenomeni e degli autori risulta inevitabile confrontare gli atteggiamenti degli esuli, abbiano essi scritto lettere private come Cicerone o elegie come Ovidio per fare esempi notissimi. Nella mia esperienza personale di studioso di questi temi da più di due decenni, devo dire che la pratica letteraria mi ha sempre confortato in questo senso, cioè che esiste al di là dei generi letterari una consapevolezza di condizione psicologica che accomuna gli esuli antichi, almeno i romani, e che li spinge a ‘rileggere’ la propria situazione personale anche sulla scorta di una tradizione letteraria, non esplicitata, ma che emerge a livello di sostrato: valga per tutti il caso di Cicerone che nelle epistole dall’esilio, dove programmaticamente rifiuta il conforto degli studi filosofici ( ad Quint. fr. 1, 3, 5 Neque enim tantum virium habet ulla aut prudentia aut doctrina ut tantum dolorem possit sustinere), ma poi attinge a memorie poetiche di matrice tragica per disegnarsi al suo pubblico romano come un eroe della sofferenza (di molti passi ho discusso in un mio volumetto di commento alle “Epistole ciceroniane dall’esilio”, Firenze 1996 = 2003 2, che non è presente nella bibliografia di questo volume, ma di cui invece tiene conto Kelly nel saggio prima citato). Non si tratta di psicologismo direi, ma di prendere atto della prassi letteraria antica, come attesta Seneca nelle consolazioni scritte durante l’esilio, dove anche in questo volume si riconosce la presenza di Ovidio esule: vd. per esempio G. p. 172 e n. 91 e soprattutto Fantham, in particolare p. 183 e p. 191. Quindi il confine tra analisi letteraria e approccio psicologico, a mio parere, è molto labile e non credo che potrebbe essere altrimenti: il tentativo di G. di definirlo nel capitolo iniziale sembra costringere e ridurre la ricchezza dei temi dei saggi presenti nel volume, mettendo il lettore di fronte quasi ad un ‘programma’, che poi in realtà non appare rispettato, come del resto lo stesso G. è costretto ad un certo punto ad affermare (p. 14, n. 73) “I am leaving aside here the methodological objections against exile as a literary genre”. Inoltre possiamo aggiungere che programmaticamente il motivo dello spaesamento deve essere connesso anche con il tema dell’amore di patria, del radicamento sul suolo natale, che, come si evince anche dal finale “General Index”, s.v. nostalgia, patria, non appare invece che sporadicamente nell’Introduzione del curatore e negli studi contenuti nel volume: tra l’altro non è segnalato nemmeno in bibliografia un volume, a mio parere molto utile, come quello seppure non recentissimo di Madeleine Bonjour, Terre natale. Études sur une composante affective du patriotisme romain (Paris 1975), ampia e approfondita disamina di molti temi di ‘confine’ con la letteratura dell’esilio.
Come spiega ancora il curatore G. nel primo capitolo, il volume ha voluto coprire campi d’indagine rimasti in ombra negli studi ed in particolare ha offerto ampia trattazione ai precedenti greci, non solo storici, della tematica dell’esilio: è questo uno dei punti di forza di questo volume e mi piace notarlo anche prima di intraprendere una disamina dei singoli contributi, così come per l’ambito latino le indagini sono state estese anche a quegli autori che non hanno vissuto l’esilio in prima persona, ma che si sono occupati del tema più tangenzialmente. Certo in un volume che sembra ambire a presentarsi quasi come A Companion to the Ancient Exile rimangono quasi paradossalmente meno sviluppati i temi relativi all’ exulum trias latina, ed in particolare a Cicerone e Ovidio (il saggio senecano della Fantham centra invece perfettamente l’obiettivo), che sono rappresentati nel volume da due saggi, utili certo, ma dedicati a lumeggiare aspetti molto parziali delle due figure di esuli.
Passiamo ora ad esaminare i singoli contributi, elencati poi in fondo alla recensione.
Nel secondo capitolo “Early Expatriates: Displacement and Exile in Archaic Poetry” (pp. 21-49) Ewen L. Bowie focalizza la sua attenzione sul tema dell’esilio nella poesia arcaica greca: dopo aver delineato un quadro sintetico, ma molto chiaro del contesto storico, passa in rassegna gli autori a partire dagli esempi sporadici presenti in Omero, Archiloco, Semonide, Senofane, Ibico fino ad arrivare ad Alceo, il cui quadro biografico e la cui produzione letteraria permettono di constatare una non insignificante presenza del tema della lontananza dalla patria; l’analisi ben documentata dei frammenti di Alceo attraverso la traduzione è fruibile anche per lettori meno informati su testi, e contesti, peraltro molto problematici. Segnalerei in Alceo la compresenza del motivo della nostalgia con quello dell’invettiva (vd. p. 38), un tema quest’ultimo quasi del tutto assente dal complesso del volume (tre citazioni marginali, come si evince dal General Index), come è confermato dalle due sole presenze di passi dell’ Ibis ovidiana, un poemetto caratterizzato appunto dall’eccezionale asprezza di toni: sulla stretta pertinenza dell’ Ibis alle tematiche dell’esilio importante il lavoro di G. Williams, The Curse of Exile. A Study of Ovid’s Ibis, Cambridge 1996 (citato in bibliografia generale), cui mi permetto di aggiungere un mio recente studio, in cui metto in luce come la componente aggressiva ovidiana possa risalire anche a matrice giambica affine all’archilochea (vd. “Le tentazioni giambiche del poeta elegiaco: Ovidio esule e i suoi nemici” in R. Gazich (a cura di) Fecunda licentia. Tradizione e innovazione in Ovidio elegiaco Atti delle giornate di studio. Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia-Milano 16-17 Aprile 2002, Milano 2003, pp. 119-149). Infine conclude il saggio di Bowie un’analisi relativa a Teognide, Tirteo e Solone: in particolare Teognide costituisce un interessante esempio di come alcune tematiche si irradino fino a Ovidio (cf. p. 44 s., n. 76, cui aggiungerei anche le puntualizzazioni offerte da G. Rosati “Ancora su Teognide in Ovidio : le notizie sul poeta esule”, SemRom 3, 2000, 337-340).
Nel terzo capitolo “Exile: the Making of the Greek Historian” (pp. 51-70), John Dillery, dopo opportune precisazioni sul valore da dare all’esilio negli storici greci, si occupa dei problemi posti dagli esili di Erodoto, Tucidide, Senofonte, dove in particolare nel caso di Tucidide l’allontanamento dalla propria città rappresenta un allargamento di orizzonti ed una sorta di presa di coscienza contigua a quella del cosmopolitismo filosofico, che tradizionalmente nasce nel nome di Socrate cittadino del mondo ( mundanus come lo definisce Cicerone in un noto aneddoto di Tusc. 5, 108: Socrates quidem cum rogaretur, cuiatem se esse diceret, ‘mundanum’ inquit: totius enim mundi se incolam et civem arbitrabatur; l’aneddoto è anche in Plutarco, come leggiamo a p. 74 del volume).
I due successivi capitoli quarto e quinto sono rivolti ad indagare gli approcci filosofici al tema dell’esilio: Robert Bracht Branham, nel suo saggio intitolato “Exile on Main Street: Citizen Diogenes” (pp. 71-85), indaga sul cinismo di Diogene, mentre Heinz-Guenther Nesselrath in “Later Greek Voices on the Predicament of Exile: from Teles to Plutarch and Favorinus” pp. 87-108, completa il panorama fino a Favorino, che col suo
Il sesto capitolo presenta uno studio di Sarah T. Cohen “Cicero’s Roman Exile” (pp. 109-128), che come si vede si concentra su quella particolare attitudine ciceroniana del 46 a. C., paradossale per molti aspetti, che considera il ‘vero’ esilio quello in patria, dal momento che è la patria stessa che non esiste più: dopo una rapidissima disamina dell’attitudine ciceroniana verso l’esilio, in primis il proprio esilio rivissuto da Cicerone al suo ritorno come un sacrificio personale simile ad una deuotio, l’autrice si focalizza sul tema appunto della legittimità del governo romano e sui rapporti anche con Clodio che Cicerone sembra voler ‘riscrivere’ in un’opera come i Paradoxa Stoicorum, una tesi non nuova peraltro svolta anche utilizzando una bibliografia ciceroniana limitata a pochi titoli rispetto ad un tema piuttosto studiato anche recentemente.2
Molto utile è il capitolo settimo in cui Stephen J. Harrison si occupa di “Exile in Latin Epic” (pp. 129-154), tracciando un rapido, quanto efficace percorso diacronico attraverso quello che definisce “ktistic or foundational exile”, cioè l’allontanamento di un eroe dalla patria per fondare una nuova città: si occupa dell’ Eneide di Virgilio, in cui ovviamente il protagonista fato profugus segna del tema molti aspetti del poema insieme al destino condiviso di altri esuli come Didone, Antenore, Evandro, Metabo3 e poi l’indagine continua con Ovidio, Lucano (pp. 138-142, con interessanti osservazioni sugli slittamenti semantici e contenutistici del ‘fuggire’ in Lucano), Silio, Valerio Flacco e Stazio. Le Metamorfosi di Ovidio sono secondo Harrison p. 135 un’opera in cui è centrale il tema dell’esilio, perché “exile as a permanent move of domicile is surely a kind of metamorphosis”, ed inoltre per il dialogo a distanza con l’ Eneide e per l’ipotesi piuttosto concreta di una rielaborazione ovidiana durante l’esilio: del resto il poeta stesso nel suo esilio vuole aggiungere al finale della sua opera maggiore anche il destino dell’esule ‘metamorfizzato’ (nel noto passo di trist. 1, 1, 117 ss.). Quindi c’ è un Ovidio esule come Enea, il cui peso, credo, non vada sottovalutato4 e non lo sottovaluta un critico attento e sensibile come Harrison, quando cita per esempio a p. 136 versi relativi all’episodio di Dedalo in met. 8, 183 ss., il cui significato ideologico politico e attualizzante mi sembra evidente.5 Nell’evoluzione dell’epica imperiale di Valerio Flacco e di Stazio non può non entrare in gioco il tema dell’esilio per le figure di Medea e di Polinice: al di là del genere letterario, comunque rilevante mi sembra anche l’influsso della tragedia di Seneca (vd. solo un cenno in Harrison p. 149), che aveva scelto analoghi plot mitici e dato ampio spazio al motivo dell’esilio anche nelle storie di Edipo e Tieste.6
Nel capitolo ottavo il curatore G., che ha recentemente edito (Oxford 2005) un esaustivo commento al primo libro delle Epistulae ex Ponto, intitola “Ovid and the ‘Poetics of Exile’: how Exilic is Ovid in Exile Poetry?” (pp. 155-172), un saggio incentrato sul tentativo di dimostrare che, al di là delle affermazioni ovidiane che la propria poesia dell’esilio non è più degna della sua ars, Ovidio esule appare ancora poeta doctus e utilizza tematiche e stile non inferiori a quelli delle opere precedenti. Mi sembrano condivisibili le conclusioni del saggio, capillarmente documentato: vd. per es. p. 171 “Metre and style in the Tristia and the Epistulae ex Ponto cannot be explained by a pose or even a condition of poetic decline, and they are not related to a poetics of exile or to a general characteristics of exile or exilic literature”.
Nel capitolo nono intitolato “Dialogues of Displacement: Seneca’s Consolations to Helvia and Polybius” (pp. 173-192), Elaine Fantham tratta esaustivamente dei due dialoghi senecani scritti dalla Corsica, intendendo il ‘displacement’ (vd. p. 176) non solo come lontananza, spaesamento, ma anche in relazione al genere consolatorio e allo spostamento di focus operato da Seneca, che si allontana dalla sua persona per catalizzare il suo sguardo sulle sofferenze di Elvia e di Polibio. Un’attenta analisi permette di cogliere con finezza la complessa operazione affrontata da Seneca nel rivolgersi ai suoi destinatari, ma anche nel foggiare una sua immagine verso il pubblico romano.7 Quello che possiamo definire ‘il condizionamento del destinatario’ è molto evidente nell’ ad Polybium, dove, come sottolinea bene la F., non c’è ironia, né l’adulazione può essere solo indicativa di debolezza: vd. per es. p. 192 “The issue is not of sincerity, but one of effective persuasion and a double audience.”
Paolo Desideri, che ha dedicato studi importanti a Cassio Dione a partire dal fondamentale volume del 1978, nel capitolo decimo, dal titolo “Dio’s Exile: Politics, Philosophy, Literature” (pp. 193-207), comincia col trattare il dibattuto tema dell’esilio di Dione, che lo studioso considera un dato storico in base ad evidenze esterne, e che non appare solo un elemento retorico, che emerge nei discorsi scritti come alcuni ritengono; interessanti le considerazioni svolte a p. 195 s. sui risvolti economici e sociopolitici dell’esilio, che dimostrano il coinvolgimento personale di Dione; ulteriori approfondimenti mettono in luce che le riflessioni di Dione incardinano la tematica dell’esilio in parametri più generali di valutazione filosofica (l’esilio come simbolo della condizione umana) o politica (in relazione al tema del ‘buon governo’, ai rapporti con sovrani ‘illuminati’ come Traiano). Infine viene analizzato il tredicesimo discorso, “Ad Atene, sul suo esilio”, che D. attribuisce all’ultima fase dell’esilio dioneo, un’analisi molto chiara e documentata, che non è possibile qui riassumere nei dettagli: certo è che l’esilio non è che una particolare sfaccettatura del complesso rapporto che lega gli intellettuali greci al potere politico romano.
Infine il capitolo undicesimo tratta di una fase importante della sterminata fortuna ovidiana: Ralph J. Hexter “Ovid and the Medieval Exilic Imaginary” (pp. 209-236) traccia in breve una storia molto complessa e ricca di suggestioni, come quella della rilettura in termini ovidiani di un tema come l’esilio, molto presente nella storia civile e nell’immaginario medievale, dall’età carolingia fino a figure come Petrarca, cui sono dedicate le pp. 231-235, anche se, a dire il vero, in fam. 2, 3 lettera a Severo Apenninicola (corrige a p. 232 Appennincola) emerge soprattutto il debito nei confronti di Seneca e non di Ovidio. Per noi italiani suona strana la mancanza di Dante in uno studio come questo, anche solo come precedente dello stesso Petrarca; del resto recenti studi hanno dimostrato come Ovidio esule sia imitato anche da Dante e presente nella sua produzione: basti citare M. Picone, “Dante, Ovidio e la poesia dell’esilio”, Rassegna europea di letteratura italiana, 14, 1999, pp. 7-23 e R. Wilson, “Exile and Relegation in Dante and Ovid”, Annali d’Italianistica 20, 2002, pp. 55-72. Comunque Hexter, data l’ampiezza delle tematiche ammette di aver fatto ricorso solo a pochi studi in inglese (vd. p. 232, n. 68): credo utile segnalare a questo proposito almeno il saggio d’insieme di R. Starn, Contrary Commonwealth. The Theme of Exile in Medieval and Renaissance Italy, Berkeley-Los Angeles-London 1982.
In conclusione il volume, stampato con cura e sostanzialmente privo di significativi refusi, offre un quadro ricco e problematico sul tema dell’esilio, e, pur con qualche esiguo limite interpretativo e con le lacune bibliografiche che abbiamo talvolta sottolineato, costituirà un utile strumento sia sul versante storico-letterario che storico in senso stretto.
Sommario
J. F. Gaertner, The Discourse of Displacement in Graeco-Roman Antiquity
E. L. Bowie, Early Expatriates: Displacement and Exile in Archaic poetry
J. Dillery, Exile: the Making of the Greek Historian
R. Bracht Branham, Exile on Main Streeet: Citizen Diogenes
H.-G. Nesselrath, Later Greek Voices on the Predicament of Exile: from Teles to Plutarch and Favorinus
S. T. Cohen, Cicero’s Roman Exile
S. J. Harrison, Exile in Latin Epic
J. F. Gaertner, Ovid and the ‘Poetics of Exile’: How Exilic is Ovid in Exile Poetry?
E. Fantham, Dialogues of Displacement: Seneca’s Consolations to Helvia and Polybius
P. Desideri, Dio’s Exile: Politics, Philosophy, Literature
R. J. Hexter, Ovid and the Medieval Exilic Imaginary.
Notes
1. Per Cicerone ricordo solo due luoghi: Cic. ad Att. 3, 5 Inimici mei mea mihi, non me ipsum ademerunt, con le note del mio commento alle “Lettere dall’esilio” prima citato, in cui richiamo Biante di Priene, mentre parad. Stoic. 28 Itaque pulsus ego civitate non sum, quae nulla erat sembra dipendere da Telete
2. In particolare mi sembrano da segnalare sullo stesso tema qui discusso G. Guttilla, ” La consolatio politica di Cicerone”, Annali Liceo Garibaldi Palermo 5-6 (1968-9), 294-348; S. Krésic, “Grandeur et misère de l’exil. Destinée de Marcellus exilé, d’après la Correspondance de Cicéron”, Revue de l’Université d’Ottawa 40 (1970), 290-314; H. Zehnacker, ” Officium consolantis. Le devoir de consolation dans la correspondance de Cicéron de la bataille de Pharsale a la mort de Tullia”, REL 63 (1985), 69-86, oltre al mio articolo citato a n.1. Per quanto riguarda la nota 9 di p. 112 sulla figura di Metello Numidico e sulla lettera scritta da Rodi e citata da Gellio, che risulta un interessante precedente per Cicerone, il tema era stato ampiamente discusso da me per la prima volta in un articolo del 2000, utilizzato nel già citato volume di Kelly: “Orgoglio di esule: su due frammenti di un’epistola di Q. Cecilio Metello Numidico”, Maia 52 (2000), 249-258.
3. Maggior spazio, credo, poteva meritare la figura di Andromaca, come è dimostrato bene anche dal contributo di M. Bettini, “Ghosts of exile: doubles and nostalgia in Virgil’s parva Troia ( Aeneid 3.294ff.)”, ClAnt 16 (1997), 8-33.
4. Mi permetto di rimandare ad un mio articolo ” Diuersa per aequora. Il viaggio dell’esule”, in S. Rocca (a c. di), Latina Didaxis XIX. Atti del Congresso (Genova- Bogliasco 16-18 Aprile 2004), Genova 2004, 111-128.
5. Sui risvolti ‘politici’ dell’episodio, vd. R. Roncali, “Ovidio, il mito di Dedalo e il tiranno”, Quaderni di Storia 23 (1997), 45-58; R. Degl’Innocenti Pierini, “Dedalo, Catone e un’eco ovidiana ( met. 8, 185 s.) in Seneca ( prov. 2, 10)”, Maia 54 (2002), 19-26.
6. Ho affrontato il tema in “Il tema dell’esilio nelle tragedie di Seneca”, Atti del III Seminario di studi sulla Tragedia romana (Palermo 17-19 settembre 1990), Quaderni di Cultura e di tradizione classica 8 (1990), 71-85, poi con aggiornamenti e modifiche in “Tra filosofia e poesia. Studi su seneca e dintorni”, Bologna 1999 (saggio non presente nel volume: altri lavori sull’esilio nelle tragedie di Seneca sono citati da G. a p. 17 n. 91).
7. Per esempio nel raffigurarsi come un capro espiatorio nei confronti della propria famiglia, la cui sorte viene salvaguardata proprio dal sacrificio dell’esule lontano: si veda quanto ho osservato in “In nome della madre. Pathos tragico e retorica degli affetti nella Consolatio ad Helviam matrem di Seneca”, Paideia 52 (1997), 109-120. Non tiene conto di questa particolare immagine la trattazione di Seneca nel vol. di T. M. Compton, “Victim of the Muses. Poet as Scapegoat, Warrior and Hero in Greco-Roman and Indo-European Myth and History”, Cambridge (Mass.)-London 2006, pp. 306-309 (recensito su questa rivista da Mary R. Lefkowitz: Bryn Mawr Classical Review 2007.02.09).